Factchecking ad armi pari
Facebook e Google sono già partite: per la verifica delle notizie dubbie è questione di tecnologia E di collaborazione
La tecnologia può salvarci dalle fake news? Per i media potrebbe essere la grande occasione di rilancio del proprio ruolo. L’ultima indagine del Reuters Institute ha indicato che per il 70% dei professionisti dei media intervistati l’esplosione di notizie non verificate, possibile grazie alle piattaforme social, potrebbe rafforzare la centralità dei media.
Il problema è che mentre la produzione di un “hoax” virale in rete richiede spesso più fantasia che tempo, le operazioni di factchecking condotte da professionisti richiedono in media 13 ore, come ha sottolineato il fondatore di Storyful, Mark Little, e spesso non sono nemmeno conclusive. In un mercato che vede le redazioni assottigliarsi per la crisi è inoltre difficile immaginare di aumentare l'efficacia del factchecking senza una svolta tecnologica. Non a caso il 46% degli intervistati da Reuters ha ammesso una preoccupazione crescente rispetto all’anno scorso sull’impatto che avranno le piattaforme come Facebook, Twitter e gli altri social network.
A Menlo Park sono già corsi ai ripari e stanno guardando a come espandere il Facebook Journalism project che riunisce intorno a un tavolo i grandi media e gli uomini di Zuck. «Abbiamo ascoltato la nostra community e iniziato a discuterne con i nostri partner globali – spiegano – e la preparazione dei tedeschi ci ha permesso di avviare un test anche in Germania. Pensiamo di annunciare altri paesi a breve». Tra gli strumenti messi in campo da Facebook c’è la possibilità di taggare le notizie che si considerano controverse e l’isolamento dei produttori di fake news, ma anche sistemi per invitare l’utente a riflettere prima di condividere notizie già segnalate come controverse. Dietro a tutto questo c’è poi anche il lavoro – riservatissimo - sugli algoritmi che governano ciò che vediamo nei nostri news feed e che per molti rimane il centro del problema (si veda anche l’articolo qui a fianco).
Anche molte testate hanno cominciato a investire sul fronte delle tecnologie di verifica. Un mese fa il Washington Post di Jeff Bezos ha pubblicato “Real Donald Context”, un’estensione per i browser Chrome e Firefox che offre in maniera automatica a chi legge un tweet del neopresidente una valutazione della sua veridicità e la contestualizza. Associated Press sta sperimentando come usare sistemi di intelligenza artificiale per una prima valutazione dell’attendibilità di un trending topic dei social. Insieme ai computer scientist dell’Università del Texas e di Google, il creatore di Politifact, Bill Adair, ha collaborato allo sviluppo di “Claimbuster”, un sistema di verifica automatica delle affermazioni per ora abbastanza scarno, ma che ha il pregio di indicare la strada verso una più stretta collaborazione tra ricercatori e media.
«In questo senso il Journalism Project di Facebook va nella giusta direzione – osserva Claire Wardle, ricercatrice presso First Draft, la non profit specializzata sulla verifica e parte del progetto di Zuckerberg – perché mette l’enfasi sulla collaborazione. Se le redazioni saranno in grado di lavorare a stretto contatto con gli ingegneri e i product manager di Facebook credo che vedremo veri progressi sia per i giornalisti che per tutti gli utenti». Attualmente finanziata dal Google News Lab, First Draft la settimana scorsa ha lanciato NewsCheck, anch’esso un plugin per browser che guida l’utente in una lista di passaggi per aiutarlo nella verifica. “Non è un'idea nuova, abbiamo semplicemente trasformato la nostra lista di quattro punti fondamentali (provenienza, fonte, data e luogo) per il fact-checking di foto e video in uno strumento interattivo. Spesso si pensa che basti verificare uno di questi elementi per considerare un contenuto affidabile, ma non basta. Se una foto non soddisfa tutti e quattro i parametri non possiamo considerarlo attendibile». Uno dei problemi del factchecking – sia per le macchine che per gli umani – è la variabilità del materiale. «Se si tratta di una vecchia foto di un terremoto possono bastare dieci secondi e un motore di ricerca – osserva Wardle - ma se si tratta di un video di bombardamenti in Siria ci possono volere anche tre giorni».
La verifica automatica non è però una sfida impossibile ma da pianificare. Full Fact, la non profit britannica per il factchecking guidata da Will Moy ha già preparato una road map che distingue ciò che si può già fare oggi combinando gli strumenti già sul mercato e le sfide per le quali bisogna investire ancora in ricerca. Tra ciò che è immediatamente automatizzabile, nell’arco del 2017, c’è il monitoraggio di Twitter, delle pubblicità di Facebook e dei sottotitoli televisivi, il riconoscimento di affermazioni ufficiali e la creazione di brevi e semplici testi leggibili dagli utenti. Tra i problemi più difficili, ma comunque risolvilibili nei prossimi 5-6 anni, ci sono invece il monitoraggio del parlato da radio e tv, il riconoscimento e l’attribuzione generale di nuove affermazioni, gli strumenti in tempo reale, la creazione di contenuti e strumenti più persuasivi per i lettori e, soprattutto, superare le capacità di verifica di un umano che usa internet.
Gli specialisti di Full Fact sono però ottimisti e avvertono che, anche su questi fronti, un buon fact-checking “fatto a macchina” non è un sogno fantascientifico e non richiede grandissimi investimenti, ma soprattutto collaborazioni interdisciplinari, a patto di superare la frammentazione dei progetti e degli standard. Le fake news hanno i giorni contati.