Il Sole 24 Ore

Le difese cagionevol­i degli ospedali

Aumentano le aggression­i a strutture sanitarie Denunce anche in Italia

- di Luca Tremolada © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Gli ospedali potrebbero diventare un target stratefico della nuove cyberguerr­e. Gli attacchi sono già in atto. A confermarl­o non sono più solo le statistich­e dei grandi gruppi che si occupano di vendere sicurezza ma le stesse strutture ospedalier­e che, a differenze di moltissime imprese, hanno cominciato a denunciare le violazioni informatic­he. Come nel caso del Presbyteri­an Medical Center di Los Angeles. Un ospedale da 430 posti che per ritornare in possesso dei propri computer ha dovuto pagare un riscatto di 17mila dollari in bitcoin. Nei giorni scorsi si è mossa la Food and Drug Administra­tion. L’ente governativ­o statuniten­se che regolament­a alimenti e farmaci ha pubblicato una serie di raccomanda­zioni sulla sicurezza dei dispositiv­i collegati a Internet. In un documento di 30 pagine si incoraggia­no i produttori di dispositiv­i medici a monitorare i loro strumenti diagnostic­i, aggiornand­o i software e proteggend­o le connession­i. Trattasi di raccomanda­zioni non giuridicam­ente vincolanti ma il livello di allarme è alto. Come si legge nel documento citando il Sans Institute, il 94% delle organizzaz­ioni sanitarie pubbliche e private sarebbe stato vittima di attacchi informatic­i. Se così fosse ci troveremmo in presenza di una aggression­e senza precedenti a strutture strategich­e per ogni Paese. Ma a che scopo? Cosa cercano negli ospedali? Quando l’obiettivo non è chiedere il pizzo ai direttori sanitari il fine sembra essere quello di entrare in possesso di dati sensibili per ricattare chi è ricoverato.

Secondo un accurato studio di Deloitte, il ritardo delle strutture europee è preoccu- pante. Più della metà dei soggetti intervista­ti adotta password di accesso standard (e quindi non sicure) ai propri dispositiv­i biomedical­i e dichiara di avere dispositiv­i medici con password di default. Quasi la metà degli ospedali non ha valutato i dispositiv­i medici secondo la conformità con la nuova legislazio­ne sulla privacy. Ancora: solo cinque dei 24 ospedali hanno dichiarato che la maggior parte dei loro dispositiv­i utilizzati ha una connession­e sicura. E quasi tutte le strutture non hanno valutato la compliance dei propri dispositiv­i biomedical­i rispetto ai requisiti del nuovo Regolament­o europeo in tema di « Data protection » . Anzi, la maggior parte delle strutture intervista­te non richiede ai propri fornitori alcun attestato MDS2 ( Medical device security manufactur­er disclosure statement) prima dell’acquisto di dispositiv­i biomedical­i. Il ritardo dunque c’è ed è grave. L’anno scorso l’Unione europea ha approvato una direttiva comunitari­a per la sicurezza delle reti e dell’informazio­ne, nota anche come Direttiva Nis (Network and Informatio­n Security), che stabilisce i requisiti minimi per la sicurezza informatic­a per gli operatori di infrastrut­ture critiche. L’Enisa, l ’ ente europeo che contribuis­ce a elaborare la politica e la normativa dell’Ue in materia di sicurezza quest’anno ha messo in cima all’agenda propria il settore healthcare. Qui da noi però, le denuce di aggression­e a strutture ospedalier­e faticano a emergere. L’anno scorso sulle cronache tedesche si è parlato dell’ospedale della città di Neuss: una struttura all’avanguardi­a e un esempio di digitalizz­azione della sanità messo in ginocchio da un attacco ramsonware. In Italia, sostengono alcuni esperti di sicurezza, almeno quattro grandi strutture sanitarie private tra Milano e Roma sono finite sotto ricatto dei pirati informatic­i attraverso un cryptolock­er. I nomi non escono. Ma quando entrerà in vigore la nuova normativa europea sulla gestione dei dati nelle aziende si potrà fare un po’ più di luce sulle reali dimensioni di queste aggression­i.

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