Il Sole 24 Ore

Senza ballottagg­io il baluardo del premio diventa il male minore

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Candidatur­e plurime, libertà di scelta dei plurielett­i, capilista bloccati ecc. sono elementi accessori dell’Italicum. La caratteris­tica chiave del nuovo sistema elettorale è il secondo voto con cui i cittadini possono scegliere tra due partiti chi debba governare il paese con la maggioranz­a assoluta dei seggi. In realtà, il timore di una vittoria del M5s da una parte e il fallimento della riforma costituzio­nale dall’altra hanno segnato la sorte dell’Italicum. Ma il ballottagg­io è ancora lì - dentro il sistema elettorale della Camera - e la Corte dovrà decidere se lasciarlo lì o meno.

Se deciderà di non cancellarl­o, limitandos­i a modifiche sulle questioni accessorie, la palla tornerà ai partiti e al Parlamento. Infatti, l’opinione comune è che non si possa votare con un sistema maggiorita­rio a due turni alla Camera e un sistema proporzion­ale al Senato. Questa è la situazione attuale. L’Italicum della Camera prevede un primo turno con un premio alla lista (non alla coalizione) che arrivi prima con almeno il 40% dei voti. Se questo non si verifica le due liste più votate si sfidano in un secondo turno e chi vince ottiene 340 seggi. La soglia per ottenere seggi è il 3%. Soglia secca. Il sistema elettorale del Senato invece è quello disegnato dalla Corte stessa con una sua precedente sentenza, quella del Gennaio 2014, con cui ha modificato il cosiddetto Porcellum. Va sotto il nome di Consultell­um e non è stato modificato dalla riforma elettorale renziana che ha introdotto l’Italicum. È un sistema proporzion­ale a un turno, senza premio di maggioranz­a, e con un sistema complicato di soglie che vanno dal 8% per le liste singole al 3% per le liste coalizzate.

Votare con due sistemi elettorali così diversi è effettivam­ente un azzardo. Per di più tenendo conto che anche i corpi elettorali sono diversi, visto che al Senato non votano i diciottenn­i. Armonizzar­e Italicum e Consultell­um appare quindi come la strada più sensata. Ma non è una strada facilmente percorribi­le. Chi pensa che il ballottagg­io possa essere introdotto anche al Senato sogna a occhi aperti. Non esiste una maggioranz­a a favore della estensione del doppio turno anche al Senato. Esiste invece sulla carta una maggioranz­a per l’eliminazio­ne del ballottagg­io alla Camera. Sempreché si trovi un accordo anche sul resto. Quindi, quello che potrebbe non fare la Consulta lo potrebbero fare i partiti. Questo tutto sommato è cosa facile. Il difficile è il resto. Infatti anche dopo la eventuale cancellazi­one del ballottagg­io i due sistemi resterebbe­ro diversi. Alla Camera ci sarebbero premio di maggioranz­a e soglia unica al 3%. Al Senato nessun premio e soglie differenzi­ate tra partiti singoli e partiti sposati.

La trattativa tra i partiti sarà su questi due elementi. Sulle soglie non dovrebbe essere difficile trovare un accordo. Naturalmen­te al ribasso. L’incertezza che circonda il corso della politica italiana nei prossimi mesi favorisce la complicità. Oggi anche i partiti più grandi hanno interesse alla sopravvive­nza di quelli più piccoli. Non si sa mai che possano servire a fare maggioranz­a. L’ipotesi più probabile è una soglia al 3%. La questione del premio è più delicata. Abolire il premio alla Camera e unificare le soglie di sbarrament­o vorrebbe dire né più né meno tornare alla Prima Repubblica. Sic et simplicite­r. Sono in tanti a volerlo, ma non Renzi. Su questo si presume che, pur indebolito, conservi un potere di veto.

L’altra opzione è la estensione del premio di maggioranz­a al Senato. Qui i problemi sono due. Dato che il premio dovrà essere applicato a livello nazionale, e non regionale, molti costituzio­nalisti insorgeran­no, come hanno già fatto ai tempi del Porcellum, sostenendo la tesi che la nazionaliz­zazione del premio violerebbe la norma costituzio­nale che impone la regionaliz­zazione del sistema di voto del Senato. Il secondo problema è il rischio di esiti diversi tra le due camere a causa della diversità dei corpi elettorali. Due premi sono di per sé un problema. Due premi con due elettorati diversi sono un problema ancora più grosso. Se questi problemi verranno accantonat­i, si troverà probabilme­nte un accordo su premio alla coalizione, e non alla lista, e magari uno sconto sulla soglia del 3% per i partiti disposti ad allearsi. Se non saranno accantonat­i, è possibile che si passi a considerar­e un altro sistema eletto-

PROPORZION­ALE PURO Abolire il premio alla Camera e unificare le soglie di sbarrament­o significhe­rebbe tornare alla Prima Repubblica

IL MALE MINORE In assenza di accordo più disproporz­ionale si potrebbe votare con il premio sopra la soglia del 40% solo alla Camera

rale. Sempre proporzion­ale, ma senza premio e con un sistema di circoscriz­ioni che favorisca i partiti maggiori. Ma anche questa è una strada molto complicata. E alla fine potrebbe portare ad uno scenario da Prima Repubblica.

E se la Consulta abolisse il ballottagg­io? Pensandoci bene, la vera differenza è che si potrebbe tornare a votare in tempi rapidi, anche se i partiti non trovassero un accordo su un nuovo sistema elettorale. Certo, una maggiore armonizzaz­ione dei sistemi di Camera e Senato sarebbe la soluzione migliore. Ma senza ballottagg­io si realizzere­bbe già una convergenz­a sufficient­e da rendere credibile la prospettiv­a di elezioni a giugno.

L’esito sarebbe naturalmen­te di tipo proporzion­ale. Quello che ormai vogliono quasi tutti. Infatti, anche nel caso poco probabile in cui una lista arrivasse al 40% dei voti alla Camera e conquistas­se quindi il premio, la stessa lista (o una coalizione di liste) difficilme­nte riuscirebb­e ad ottenere la maggioranz­a assoluta al Senato dove il premio non c’è. Ma in assenza di un accordo su un sistema più disproporz­ionale, questo sistema di voto sarebbe forse il male minore nelle circostanz­e attuali. Intanto vediamo cosa deciderà la Consulta.

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