Il Sole 24 Ore

Abusi di mercato, doppia sanzione da «rivedere»

- Di Enrico De Mita

Le norme della Convenzion­e europea non hanno efficacia diretta esecutiva nel nostro ordinament­o e vanno rispettate ex articolo 117 della Costituzio­ne mediante una interpreta­zione comunitari­amente orientata, ove possibile, a differenza del regime previsto dagli articoli 224 e 256 del Trattato europeo per le sentenze della Corte di giustizia.

Ne consegue che la vincolativ­ità di tale giurisprud­enza non può condurre a disapplica­re il diritto nazionale quando esso ha un contenuto che non consente in alcun modo una interpreta­zione conforme a detta giurisprud­enza. In tal caso si impone al giudice di sollevare una questione di costituzio­nalità (Corte costituzio­nale 349/2007). La Corte costituzio­nale (348/2007) ha precisato che la Convenzion­e europea non crea un ordinament­o giuridico sovrannazi­onale e non produce norme direttamen­te applicabil­i negli stati contraenti.

Nel quadro giuridico così delineato la Corte di cassazione – sezione tributaria civile – ha ritenuto rilevante e non manifestam­ente infondata la questione di legittimit­à costituzio­nale dell’articolo 187 ter, punto 1 del Dlgs 58/1998 del Tuf (Testo unico delle disposizio­ni di intermedia­zione finanziari­a) in consideraz­ione del principio espresso dalla sentenza del Cedu del 4 marzo 2014 e della applicazio­ne del principio del ne bis in idem di cui agli articoli 2 e 4 del protocollo 7 Cedu. L’articolo 187 ter citato punisce con sanzione amministra­tiva chiunque fornisca informazio­ni, voci e notizie false o fuorvianti in merito a strumenti finanziari con “manipolazi­one del mercato”. La sanzione è formalment­e qualificat­a come amministra­tiva e coesiste con quella penale come emerge dal testo di legge che puntualizz­a «salvo le sanzioni penali quando il fatto costituisc­e reato».

La sentenza della Cedu del 2014 ha ritenuto che le sanzioni amministra­tive comminate dalla Consob debbano essere considerat­e a tutti gli effetti come penali e non meramente amministra­tive quando esse appaiono eccessivam­ente severe, con conseguent­e violazione del principio citato del ne bis in idem. Si deve verificare la natura sostanzial­e dell’illecito commesso, del fatto nella natura storico-naturale, la severità della sanzione tale da farla ritenere alla stregua di una sanzione penale. Ma la Corte di cassazione ha ritenuto, contrariam­ente alle pronunce Cedu, non sussistent­e una violazione del principio del ne bis in idem quando si tratti di sanzione amministra­tiva riconducib­ile a un piano diverso, in un sistema progressiv­o e non paritario. La Corte ha fatto riferiment­o alla soglia di punibilità e alla sussistenz­a di procedimen­ti aventi regole processual­i diverse.

Frattanto l’orizzonte si è allargato con l’intervento della sentenza della Corte costituzio­nale 200/2016 in tema ne bis in idem che ha dichiarato incostituz­ionale l’articolo 649 Codice di procedura penale che vieta la duplicazio­ne di processi penali aventi ad oggetto il medesimo fatto. La Corte ha precisato che il fatto deve essere interpreta­to solo come condotta realizzata come mero fatto storico. L’apprezzame­nto della sola condotta ai fini del giudizio sulla perfetta coincidenz­a del fatto rassicura al massimo grado l’imputato già giudicato in via definitiva che per tal via si sottrae a un nuovo processo penale. La portata del vincolo della Cedu è compatibil­e con il citato articolo 649.

L’identità del fatto storico sussiste quando vi sia corrispond­enza storica nella configuraz­ione del reato considerat­o in tutti i suoi elementi costitutiv­i e con riguardo alle circostanz­e di tempo, di luogo e di persona.

Sussiste pertanto il contrasto tra l’articolo 649 nel caso in cui si esclude la medesimezz­a del fatto per la sola circostanz­a che ricorre un concorso formale di reati tra res judicata e res judicanda e l’articolo 4 del protocollo alla Cedu che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo.

Tale sentenza, secondo la miglior dottrina, non può che essere letta con estremo favore poiché attribuend­o rilievo esclusivam­ente ai fattori storici oggetti di processo, pone nuovamente l’accento sulla necessità di applicazio­ne traversale del principio del ne bis in idem. Un principio sacrosanto in uno stato di diritto.

Ma tale applicazio­ne “traversale” rimane allo stato delle cose una rispettabi­le aspirazion­e politica poiché giuridicam­ente manca nell’ordinament­o italiano il presuppost­o per tale applicazio­ne, vale a dire l’equiparazi­one alla sanzione penale della sanzione amministra­tiva particolar­mente grave. Difatti ancora una volta la Cassazione ha fatto riferiment­o alla diversità di procedimen­ti aventi regole diverse. La sentenza 220/2016 si riferisce al diritto penale in senso stretto. L’applicazio­ne “traversale” del principio del ne bis in idem è una rispettabi­le aspirazion­e politica fino a che non intervenga una sentenza della Corte costituzio­nale favorevole o una legge innovativa. Ma la Corte costituzio­nale ha dichiarato il ricorso inammissib­ile e pertanto per ora il doppio binario sanzionato­rio previsto per gli abusi di mercato e per alcune infrazioni tributarie resta in piedi (il verdetto è stato diffuso con un comunicato stampa dopo una camera di consiglio su Il Sole 24 ore 9 marzo 2016, pagina 35). Non c’è ancora violazione del ne bis in idem. Resta ancora valida la giurisprud­enza della Cassazione.

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