Abusi di mercato, doppia sanzione da «rivedere»
Le norme della Convenzione europea non hanno efficacia diretta esecutiva nel nostro ordinamento e vanno rispettate ex articolo 117 della Costituzione mediante una interpretazione comunitariamente orientata, ove possibile, a differenza del regime previsto dagli articoli 224 e 256 del Trattato europeo per le sentenze della Corte di giustizia.
Ne consegue che la vincolatività di tale giurisprudenza non può condurre a disapplicare il diritto nazionale quando esso ha un contenuto che non consente in alcun modo una interpretazione conforme a detta giurisprudenza. In tal caso si impone al giudice di sollevare una questione di costituzionalità (Corte costituzionale 349/2007). La Corte costituzionale (348/2007) ha precisato che la Convenzione europea non crea un ordinamento giuridico sovrannazionale e non produce norme direttamente applicabili negli stati contraenti.
Nel quadro giuridico così delineato la Corte di cassazione – sezione tributaria civile – ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 187 ter, punto 1 del Dlgs 58/1998 del Tuf (Testo unico delle disposizioni di intermediazione finanziaria) in considerazione del principio espresso dalla sentenza del Cedu del 4 marzo 2014 e della applicazione del principio del ne bis in idem di cui agli articoli 2 e 4 del protocollo 7 Cedu. L’articolo 187 ter citato punisce con sanzione amministrativa chiunque fornisca informazioni, voci e notizie false o fuorvianti in merito a strumenti finanziari con “manipolazione del mercato”. La sanzione è formalmente qualificata come amministrativa e coesiste con quella penale come emerge dal testo di legge che puntualizza «salvo le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato».
La sentenza della Cedu del 2014 ha ritenuto che le sanzioni amministrative comminate dalla Consob debbano essere considerate a tutti gli effetti come penali e non meramente amministrative quando esse appaiono eccessivamente severe, con conseguente violazione del principio citato del ne bis in idem. Si deve verificare la natura sostanziale dell’illecito commesso, del fatto nella natura storico-naturale, la severità della sanzione tale da farla ritenere alla stregua di una sanzione penale. Ma la Corte di cassazione ha ritenuto, contrariamente alle pronunce Cedu, non sussistente una violazione del principio del ne bis in idem quando si tratti di sanzione amministrativa riconducibile a un piano diverso, in un sistema progressivo e non paritario. La Corte ha fatto riferimento alla soglia di punibilità e alla sussistenza di procedimenti aventi regole processuali diverse.
Frattanto l’orizzonte si è allargato con l’intervento della sentenza della Corte costituzionale 200/2016 in tema ne bis in idem che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 649 Codice di procedura penale che vieta la duplicazione di processi penali aventi ad oggetto il medesimo fatto. La Corte ha precisato che il fatto deve essere interpretato solo come condotta realizzata come mero fatto storico. L’apprezzamento della sola condotta ai fini del giudizio sulla perfetta coincidenza del fatto rassicura al massimo grado l’imputato già giudicato in via definitiva che per tal via si sottrae a un nuovo processo penale. La portata del vincolo della Cedu è compatibile con il citato articolo 649.
L’identità del fatto storico sussiste quando vi sia corrispondenza storica nella configurazione del reato considerato in tutti i suoi elementi costitutivi e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.
Sussiste pertanto il contrasto tra l’articolo 649 nel caso in cui si esclude la medesimezza del fatto per la sola circostanza che ricorre un concorso formale di reati tra res judicata e res judicanda e l’articolo 4 del protocollo alla Cedu che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo.
Tale sentenza, secondo la miglior dottrina, non può che essere letta con estremo favore poiché attribuendo rilievo esclusivamente ai fattori storici oggetti di processo, pone nuovamente l’accento sulla necessità di applicazione traversale del principio del ne bis in idem. Un principio sacrosanto in uno stato di diritto.
Ma tale applicazione “traversale” rimane allo stato delle cose una rispettabile aspirazione politica poiché giuridicamente manca nell’ordinamento italiano il presupposto per tale applicazione, vale a dire l’equiparazione alla sanzione penale della sanzione amministrativa particolarmente grave. Difatti ancora una volta la Cassazione ha fatto riferimento alla diversità di procedimenti aventi regole diverse. La sentenza 220/2016 si riferisce al diritto penale in senso stretto. L’applicazione “traversale” del principio del ne bis in idem è una rispettabile aspirazione politica fino a che non intervenga una sentenza della Corte costituzionale favorevole o una legge innovativa. Ma la Corte costituzionale ha dichiarato il ricorso inammissibile e pertanto per ora il doppio binario sanzionatorio previsto per gli abusi di mercato e per alcune infrazioni tributarie resta in piedi (il verdetto è stato diffuso con un comunicato stampa dopo una camera di consiglio su Il Sole 24 ore 9 marzo 2016, pagina 35). Non c’è ancora violazione del ne bis in idem. Resta ancora valida la giurisprudenza della Cassazione.