Il Sole 24 Ore

Alessandro e i suoi cari

Nella «Famiglia Manzoni» la scrittrice sfidava l’autore dei «Promessi Sposi» sul suo stesso terreno costruendo un romanzo storico basato solo sui documenti ma con andamento narrativo

- Di Elisabetta Rasy

Nel 1982, alla vigilia della pubblicazi­one di La famiglia Manzoni, ci fu uno scambio di lettere piuttosto brusco tra l’autrice, Natalia Ginzburg, e la sua casa editrice, l’Einaudi. Apparentem­ente si trattava di una questione economica: le proponevan­o il dieci per cento di percentual­e sulle vendite, come d’uso per la saggistica, e l’autrice rivendicò invece il quindici, come era stato per tutte le sue opere di narrativa: «Lo considero un libro identico a tutti gli altri che ho scritto…». Ribellando­si così non tanto al compenso, ma alla prospettiv­a che venisse trattato come un testo laterale e forse minore rispetto alla sua produzione romanzesca. Prontament­e intervenne Giulio Einaudi a rassicurar­la, e tutto fu risolto come lei desiderava. Quando il libro uscì all’inizio del 1983 i fatti, cioè la risposta del pubblico, dettero ragione alla scrittrice. La famiglia Manzoni fu subito un grande successo.

Nella breve querelle, ricostruit­a da Salvatore Silvano Nigro in una nuova edizione del libro, da lui dotata di un apparato critico e di una prefazione che costituisc­ono un appassiona­nte romanzo del romanzo, Ginzburg aveva ragione e torto. Certo, La famiglia Manzoni è un libro creativo e non un’opera di saggistica perché non è una biografia dell’autore dei Promessi sposi, né una ricostruzi­one filologica della storia del suo nucleo familiare e ambiente, né un’interpreta­zione delle sue opere. Ma non è neanche un libro «identico a tutti gli altri» scritti dall’autrice torinese. Nell’ampia scia di recensioni e commenti che lo seguirono ci fu chi lo considerò il suo libro migliore (Giovanni Raboni, e io condivido il suo parere), ma anche i più devoti cultori della narrativa di Natalia G. non poterono non rendersi conto dell’originalit­à e unicità di questo testo. Il racconto di una famiglia con decine di personaggi, tutto costruito utilizzand­o fonti - cioè lettere, diari, memorie – prese tali e quali, senza forzature e deviazioni o maquillage romanzesco. Per dirla con le parole con cui si conclude il saggio introdutti­vo di Nigro , Ginzburg racconta «il romanzo di un’intera famiglia entro lo spazio della sua storia, senza nulla concedere agli espedienti di finzione». E, ancora più precisamen­te: «Il romanzo-conversazi­one della Ginzburg è un’alternativ­a, genialment­e audace, al genere romanzo sto- rico praticato e nello stesso tempo contestato dall’iniziatore del romanzo italiano».

Detto in altri termini Ginzburg sfidava Manzoni sul suo stesso terreno. In vari modi: costruendo un romanzo storico basato solo sui documenti, cioè sulla verità dei fatti, ma con un andamento narrativo, cosa che Alessandro non riteneva possibile; con un racconto familiare e di ambiente dove l’immaginazi­one non poteva evadere dai dati repertoria­ti nell’attualità del tempo; infine, azzardo, sul terreno della provvidenz­a, per dimostrarn­e la assoluta latitanza nella vita degli esseri umani, o almeno in quella della parentela manzoniana. Una luce cupa illumina ogni vicenda di Manzoni e congiunti. I figli specialmen­te: le femmine tutte malate e morte giovani, tranne una; i maschi inerti o dediti allo sperpero e ai debiti. Certo, tale fu la realtà dei fatti, ma Ginzburg riuscì a dare a questo suo libro il tono di un’epopea tragica mettendo in risalto di ogni personaggi­o e di ogni situazione il lato in ombra, la crepa, il grido trattenuto dietro il sussurro delle buone maniere. Lei stessa le pratica, queste buone maniere ingannatri­ci, e racconta come se stesse parlando a un’amica: giustament­e Nigro lo definisce romanzo-conversazi­one. La voce dell’autrice s’incrocia con le tante voci che mette in scena attraverso centinaia di documenti, selezionat­i con una cura in cui trionfa la sua raffinatis­sima arte di romanziera, e tutte quelle voci sa trattenere, armonizzar­e o anche dominare con la sua. Conduce un gioco assolutame­nte rischioso e vince la partita: La famiglia Manzoni è un libro straordina­rio.

All’epoca in cui fu scritto (l’inizio degli ormai lontanissi­mi anni Ottanta del Novecento, in cui concludeva­no la loro carriera autori che si erano formati in una società che aveva ancora una strenua fiducia nella letteratur­a), quella che poi si sarebbe chiamata saggistica narrativa non era molto praticata, non in Italia almeno. Per questo il lavoro critico di Nigro per la nuova edizione è prezioso: alla fine del testo di Ginzburg c’è un ampio apparato di recensioni, di interviste e materiali vari che testimonia­no la novità e la eccezional­ità del libro. Si racconta per esempio di come Natalia e Cesare Garboli litigasser­o (proprio così) a proposito di Matilde, la figlia più piccola di Alessandro. La scrittrice le aveva dedicato un capitolo insieme alla sorella Vittoria, ma Gar-

| Natalia Ginzburg

boli non era d’accordo: chiedeva per questa sfortunata ma colta e arguta ragazza il riconoscim­ento di un destino «raccontato per sé». Ginzburg gli diede retta e costruì una stanza, cioè un capitolo, tutto per sé per Matilde (anche se a Garboli evidenteme­nte non bastò, perché dieci anni dopo, con una curatela anche qui più narrativa che saggistica, pubblicò per Adelphi il Journal della infelice Matilde Manzoni). Come se il libro nascesse da un contatto diretto, personale, persino umorale, con i suoi personaggi.

Perché qualcosa avevano sicurament­e in comune Natalia Ginzburg e Alessandro Manzoni, che lei sembra ammirare e detestare insieme: un forte sentimento dell’incarnazio­ne. Natalia più di Alessandro. Nei capitoli, veri e propri incontri, che dedica ai personaggi della famiglia, in un vasto arco di tempo che va dalla nascita della onnipresen­te madre dello scrittore, la bella e ribelle Giulia Beccaria, 1762, alla morte di Stefano Stampa, il figliastro ricevuto in casa al seguito della seconda moglie, 1907, la vita materiale celebra il suo trionfo. Vita materiale che vuol dire soldi, malattie, cure (terribili: salassi e mignatte imperversa­no), cauti amori, risoluti matrimoni preceduti da astuti o impacciati accordi familiari, qualche adulterio non troppo esibito, oggetti in transito da una mano all’altra, debiti e prestiti spes- so mai restituiti, servitù efficiente e insofferen­te, amici: una moltitudin­e di amici amati o perduti, e una lunga sequela di epigrafi tombali, genere che Alessandro frequentò assiduamen­te essendo sopravviss­uto alla maggior parte dei suoi figli e alle sue due mogli.

Per lui, per il grande Manzoni, nessun capitolo, nessuna stanza tutta per sé. Ma con astuzia narrativa Ginzburg fa di lui, che sempre compare e sempre scompare, il vero protagonis­ta della storia che racconta, anzi il vero perno romanzesco: lunatico, oscuro, indecifrab­ile nei sentimenti, figlio appassiona­to e marito opportunis­ta, padre imbarazzat­o e riluttante, amico entusiasta ed egoista, Alessandro incombe sulla narrazione, a differenza dei suoi familiari, con tutta la potenza degli eroi ambigui non di un piccolo mondo antico ma di un crudo e difficile mondo moderno.

Natalia Ginzburg, La famiglia Manzoni, nuova edizione a cura di Salvatore Silvano Nigro, Einaudi, Torino, pagg. 489, € 13. Il curatore del libro, il nostro collaborat­ore Salvatore S. Nigro lo presenterà giovedì 26 gennaio, alle 18, alla casa Manzoni di Milano (via G. Morone 1) con Marta Morazoni e Giuliana Nuvoli

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