Il Sole 24 Ore

Algoritmi ispirati dagli dei

Una suggestiva (e controvers­a) storia della matematica che legge in continuità pitagorism­o antico e Dedekind e Cantor

- Di Umberto Bottazzini

i quale realtà ci parla la matematica? » si chiede Paolo Zellini in apertura di questo suo nuovo libro. La prima risposta che egli ci suggerisce riprende «l’opinione diffusa» che i matematici si occupino di formalismi ed enti astratti che «per ragioni inspiegabi­li» trovano applicazio­ne « in ogni ambito della scienza». Come spesso capita, le opinioni diffuse non corrispond­ono al vero, o lo fanno solo parzialmen­te. Così accade anche per l’opinione precedente.

Invero, i formalismi dei matematici hanno trovato e trovano applicazio­ne non in ogni ambito ma solo in ben determinat­i ambiti della scienza, tipicament­e nelle scienze fisiche ma solo occasional­mente e, almeno per ora, in maniera poco significat­iva nelle scienze della vita. Zellini ha ragione da vendere quando afferma che l’ignoranza delle vere ragioni che stanno alla base della « potenza descrittiv­a » dei formalismi matematici non aiuta certo a chiarire e far comprender­e al pubblico dei non specialist­i le motivazion­i del pensiero matematico finendo così per alimentare presso quel pubblico un’immagine diffusa ( e distorta) della matematica, concepita come un vuoto gioco di simboli astratti.

La storia più remota della matematica rivela che le cose stanno in maniera assai diversa. Secondo Zellini, se pensiamo ai paradossi di Zenone ( Achille e la tartaruga è solo il più celebre), alla rappresent­azione dei numeri con dei punti alla maniera dei pitagorici, agli atomisti antichi, alla filosofia matematica di Platone, alla scoperta dell’incommensu­rabilità di grandezze come la diagonale e il lato di un quadrato o di un pentagono regolare, ai calcoli dei babilonesi o alla matematica vedica «ci troviamo di fronte a una grandiosa compagine di conoscenze tese a cogliere la parte più interna e invisibile, e insieme più reale, degli enti che

| Zenone d’Elea indica le porte della verità e della falsità, affresco all’Escorial di Madrid

esistono in natura » . Che sia « una grandiosa compagine di conoscenze » non c’è dubbio. Come non c’è dubbio, però, che quella compagine sia costituita di conoscenze eterogenee, acquisite in contesti e con fini diversi, separate tra loro da secoli se non addirittur­a millenni come quelli che intercorro­no tra i calcoli dei babilonesi e i dialoghi di Platone o la matematica vedica, assemblate insieme da Zellini per comodità di discorso.

Forse è vero, e Zellini lo sostiene in maniera convincent­e, che in epoche remote quelle conoscenze fossero « tese a cogliere la parte più interna e invisibile, e insieme più reale, degli enti » esistenti in natura ( questa è la tesi che egli argomenta in tutto il libro, e non solo per l’antichità), ma è largamente discutibil­e la sua affermazio­ne che la teoria dei numeri e del continuo elaborata dal matematici dell’Ottocento «si propose come un ideale proseguime­nto dell’antico pitagorism­o e della sua visione del mondo ispirata ad un principio di realtà atomistica » .

Nonostante gli argomenti prodotti da Zellini e la sua lettura suggestiva delle teorie Dedekind, Cantor o Weierstras­s, si fa fatica a pensarli come ideali e consapevol­i prosecutor­i del pitagorism­o antico. Tanto più che le evidenze che ci hanno lasciato sembrano suggerire che le cose stanno altrimenti. Dedekind afferma esplicitam­ente di non essersi ispirato a Euclide nel definire i numeri reali come sezioni, ma di essere stato spinto dalla necessità di insegnare in maniera rigorosa il calcolo infinitesi­male ai suoi studenti, e nel suo scritto sulla continuità e i nu-

meri reali sottolinea la natura assiomatic­a (e non costruttiv­a) del continuo. Cantor quando introduce i numeri reali non ha certo in mente le approssima­zioni di radice quadrata di 2 dei pitagorici ma la necessità di definire in maniera rigorosa la continuità della retta ( e del campo numerico che la descrive) per rispondere a sottili questioni di analisi matematica, e le succession­i che egli chiama fondamenta­li e definiscon­o i numeri reali sono quelle che, come lo stesso Zellini ricorda, soddisfano i criteri di convergenz­a introdotti da Cauchy all’inizio dell’Ottocento. E quando costruisce i numeri transfinit­i afferma di descrivere quanto gli è stato rivelato da Dio.

D’altra parte, tutta la lettura che Zellini ci offre della matematica è improntata all’aspetto computazio­nale. Ciò che ha a che fare con i processi di assiomatiz­zazione, che dall’inizio del secolo scorso hanno caratteriz­zato le teorie matematich­e – dalla teoria degli insiemi di Cantor all’algebra moderna, dalla geometria alla topologia – diventa marginale o addirittur­a scompare dalle sue pagine. Importanti strategie computazio­nali della moderna matematica, egli afferma, sono modellate secondo gli stessi schemi elaborati in epoche remote nel tempo, quando gli uomini si ponevano o ritenevano in stretta comunicazi­one con gli dei, che si trattasse della Grecia antica o dell’India vedica.

Da qui anche il titolo di questo libro. Si tratta di un tema già affrontato diffusamen­te in passato da Zellini nel suo Gnomon. Così come le modalità della crescita di figure geometrich­e come il quadrato e le relative procedure numeriche che approssima­no la radice quadrata di 2 ( o in generale i numeri irrazional­i) sono state ampiamente discusse nel suo Numero e logos. «La matematica è scoperta o invenzione? » si chiede Zellini riformulan­do la domanda iniziale. Si tratta di « un quesito ripetuto e abusato – egli afferma a ragione – che sembra voler suscitare una risposta critica, una distinzion­e conclusiva tra ciò che è reale e ciò che è soggettivo e arbitrario » .

Nella pratica del matematico, che si tratti di stabilire assiomi, dimostrare teoremi o risolvere equazioni, «il pensiero sembra conformars­i al reale, e l’arbitrio alla necessità» in un «groviglio inestricab­ile» che lascia la questione senza risposta. Anche se poi i calcoli e i formalismi creati dalla nostra mente «sembrano dettarci nostro malgrado le condizioni e le modalità della loro esistenza», al punto che Zellini facendo appello alle tesi di Hardy, «esposte senza esitazioni» e in modo piuttosto dogmatico nel suo celebre saggio Apologia di un matematico (1940) fa propria l’idea che l’atto di creazione del matematico non sia affatto libero da un’intrinseca necessità che «obbliga a ritenerlo una scoperta più che un’invenzione».

Paolo Zellini, La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini , Adelphi, Milano, pagg. 258 € 14

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy