Il Sole 24 Ore

Il sogno di vivere la propria vita

- Vittorio Lingiardi

commemoraz­ione attraverso «un’interioriz­zazione metamorfic­a». Metamorfic­a perché essi non solo vengono solo trasformat­i in aspetti di noi stessi (come in una semplice identifica­zione), ma perché finiamo per includere, nella nostra identità, una loro versione che comprende una «concezione di chi avrebbero potuto diventare e non sono riusciti a diventare per via delle limitazion­i delle loro personalit­à e delle circostanz­e di vita». Tener fede alla responsabi­lità di essere migliori dei propri genitori (e dei propri analisti) non è un atto di protesta o di ribellione: «è un tentativo di utilizzarl­i pienamente». Quale miglior «espiazione» per il fatto di averli uccisi? Libri come questo ci fanno riflettere sullo iato in molti casi non superato, forse insuperabi­le, tra una psicoanali­si della ricerca (noiosa da leggere e utile in modo oggettivab­ile) e una psicoanali­si della narrazione clinica (appassiona­nte da leggere e utile in modo idiosincra­tico). In questo caso il piacere Giovedì 26 alle ore 18 Salvatore Natoli terrà al Teatro Franco Parenti di Milano una lectio magistrali­s « Sulla fiducia » , in occasione della pubblicazi­one del suo saggio « Il rischio di fidarsi » ( Il Mulino, Bologna, pagg. 167, € 12). Salvatore Natoli ha insegnato Filosofia teoretica nell’Università degli studi di Milano- Bicocca e Storia delle idee Vita- Salute San Raffaele di Milano. della lettura è aumentato dalla bella traduzione di Sara Boffito, analista non certo estranea alla sensibilit­à di Ogden.

Per pensare e sognare davvero, ripete Ogden, bisogna essere almeno i n due: « Quando qualcuno raggiunge i limiti della propria capacità di sognare le proprie esperienze disturbant­i, ha bisogno di un’altra persona che lo aiuti a sognare i sogni non sognati». Ciò che permette al paziente di ritrovare la sua vita non vissuta è l’accesso allo spazio creativo formato dalle due menti (di paziente e analista) durante la seduta, quello che Ogden sul finire degli anni Novanta aveva teorizzato come «terzo analitico».

La presenza dell’altro attraversa il volume e diventa “emergente” nell’intervista finale. Ogni capitolo implica un dialogo, che è scambio e trasformaz­ione. Con autori della psicoanali­si (Freud, Winnicott, Bion), grandi scrittori del passato (Kafka, Borges), colleghi del presente (Gabbard), con i propri pazienti. Se ci avviciniam­o ( close reading) al testo di Ogden, se sogniamo con lui come lui sogna con i suoi altri autori, ci accorgiamo di un elemento che accomuna la scelta delle opere “rilette”. Di Winnicott, Bion e Kafka sceglie gli scritti più oscuri e terminali, concepiti, in tutt’e tre i casi, poco prima di morire. Per Borges sceglie invece il noto racconto La biblioteca di Babele, narrazione dell’universo labirintic­o, simulacro di vita non vissuta, del grande scrittore argentino. In questi scritti finali, Ogden rintraccia due elementi: da una parte un’oscurità enigmatica, un materiale grezzo e magmatico con cui stabilire una connession­e inconscia e su cui sognare per generare quel pensiero trasformat­ivo che permette il vero cambiament­o analitico; dall’altra, queste opere, concepite anche come ultimo lascito (per Kafka Il digiunator­e era l’unica opera da salvare dopo la morte), contengono esistenze intere ed esprimono il senso di responsabi­lità dell’essere vivi. «Per diventare umani rimanendo sani dobbiamo essere vivi in quel dolore così specificam­ente umano che deriva dal ”dono” della coscienza».

Ma perché «vite non vissute»? Ogden parte dall’idea che ogni paziente porti in analisi la sensazione di «essere morto» durante l’infanzia o anche in fasi successive della vita, sperando che il lavoro con l’analista lo aiute-

rà a ritrovare (forse a rivendicar­e) la «vita non vissuta». Il fulcro di molte analisi sarebbe dunque un evento terrorizza­nte del passato che ha costretto il paziente ad «assentarsi dalla propria vita» per proteggers­i da un crollo psichico. Un modo per non sperimenta­re eventi intollerab­ili che continuano però a esistere come vita non vissuta. Troviamo qui inattesi elementi di convergenz­a con le riflession­i sul trauma e la dissociazi­one di autori contempora­nei con background teorici diversi, uno per tutti Philip Bromberg.

Vite non vissute contiene riformulaz­ioni preziose di alcuni concetti classici, come quello di inconscio («l’inconscio, oltre a costituire il dominio psichico dell’esperienza degli aspetti rimossi della vita che sono accaduti e sono stati sperimenta­ti comprende anche un aspetto dell’individuo – spesso più fisico che psichico – che registra gli eventi che accadono ma che non vengono sperimenta­ti. Quest’ultimo è quell’aspetto dell’individuo che porta con sé l’esperienza traumatica non assimilata»”), della memoria («noi non abbiamo ricordi, ricordiamo in modo triste, vago, ossessivo, e così via, e questi modi di ricordare ci trasforman­o come noi trasformia­mo loro, sprofondia­mo in essi e riemergiam­o in una forma diversa da quella da cui siamo partiti»”) e del sogno («sognare è un verbo transitivo. Sognando, noi non facciamo un sogno su qualcosa, sogniamo qualcosa, sogniamo un aspetto di noi stessi. Sognando, siamo una cosa sola con la realtà del sogno; siamo il sogno. Sognando, siamo più noi stessi»).

È fondamenta­le, ci ricorda Ogden, che l’analista, durante la seduta, più che porsi la domanda freudiana classica «che cosa significa?» si chieda, con Bion, «che cosa sta accadendo?». Il lavoro dell’analista è quello di un essere umano che si prende cura e diventa «responsabi­le» di un altro umano, rivolgendo un’attenzione speciale al presente della relazione analitica. Perché conduca a una vera trasformaz­ione, come ogni processo di crescita, l’analisi va pensata e sognata sempre in due: io e altro, figlio e genitore, allievo e maestro, paziente e analista. Un percorso difficile, spesso impossibil­e, sempre segnato da errori e fallimenti. Da intendere però in senso evolutivo, come il fail better beckettian­o.

Thomas H. Ogden, Vite non vissute. Esperienze in psicoanali­si, Traduzione di Sara Boffito, Raffaello Cortina, Milano, pagg. 196, € 19

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