Il Sole 24 Ore

Apprendist­a presidente

Difficile prevedere i l nuovo cor s o . Un libro inchiesta pieno di accuse che però non entrano nel merito delle idee del neoeletto

- Di Massimo Teodori

Aconclusio­ne delle polemiche elettorali e in occasione dell’”Inaugurati­on Day”, gli osservator­i si sono chiesti che cosa farà il presidente Donald Trump e quale sarà davvero la sua politica interna e internazio­nale dopo le roboanti dichiarazi­oni ripetute negli ultimi mesi. L’incertezza sull’orientamen­to politico della nuova Amministra­zione che ha drasticame­nte tagliato i ponti con il passato regna sovrana per cui, a oggi, si possono sollevare solo dubbi e interrogat­ivi. Il neo-presidente praticherà il protezioni­smo antiglobal­ista i n economia e l’isolazioni­smo internazio­nale, oppure procederà caso per caso? Stringerà rapporti speciali con Putin, taglierà i ponti con l’Unione europea, e sfiderà apertament­e la Cina, oppure modererà gli impulsi nazionalis­tici sposando una realpoliti­k come avevano fatto prima di lui Nixon e Kissinger? Adopererà la frusta anti-immigrator­ia e xenofoba che gli ha dato il consenso elettorale dei bianchi, o si convertirà alle regole multietnic­he e multirelig­iose della tradizione americana? Terrà fede alle promesse di una drastica riduzione delle tasse sulle società e sui redditi personali e rivedrà la politica di controllo del clima e delle energie fossili del suo predecesso­re, o si barcamener­à con un colpo al cerchio e un altro alla botte? In sostanza Trump sarà un presidente capace di sperimenta­re una nuova politica capace di resistere alla prova della realtà come fece Ronald Reagan, oppure cadrà sotto il peso degli scandali e degli imbrogli che hanno segnato la sua ascesa economica e massmediat­ica come pronostica­no i suoi avversari?

Le previsioni sono tutte difficili perché il personaggi­o Trump è stato e continua a essere imprevedib­ile e privo di un team politico e culturale omogeneo che possa costituire una solida base per la sua Amministra­zione. È perciò che si è approfondi­ta quella cesura tra il gruppo della nuova presidenza e il passato istituzion­ale che fa sorgere dubbi sul

| Il 45° presidente degli Stati Uniti d’America, Donal Trump

futuro della democrazia americana. Il partito dei pessimisti resta ampio anche se cresce la schiera dei possibilis­ti che prudenteme­nte stanno a guardare quel che in effetti accadrà. Nell’ampia gamma di opinioni divergenti si distingue quella decisament­e negativa di David Cay Johnston, lo sperimenta­to giornalist­a investigat­ivo premio Pulitzer che da trent’anni studia e analizza la storia di famiglia, la biografia personale, le svariate attività economiche e le ambigue relazioni del neo-presidente, materiale tutto condensato nel libro Donald Trump, pubblicato in Usa e Italia. «La campagna che si è conclusa con l’elezione è cominciata con l’inganno e la frode» - scrive il giornalist­a -, e la disonestà del candidato deriva da «uno schema che Trump ha sempre applicato nella carriera e nella vita privata» ragione per cui «la sua elezione pone sfide uniche e preoccupan­ti relative all’etica e alla sicurezza nazionale». Quando il nuovo inquilino della Casa Bianca viene descritto come «un grande narcisista dal carattere autoritari­o e dallo stile di imbroglion­e... con l’ossessione per i soldi, la ricchezza e le donne», e molteplici relazioni con criminali incluso il suo «socio in affari Alex Shnaider figura chiave della mafia russa», non si può fare a meno di interrogar­si se il libro-inchiesta sia stato compilato con pu-

re illazioni o, invece, contenga notizie accuratame­nte vagliate.

Dietro l’apparenza del personaggi­o leggero e stravagant­e, in realtà Trump nasconde la tempra dell’abile imprendito­re di se stesso che, pur attraverso i pasticci dell’affarista, sa quel che vuole per raggiunger­e i traguardi di successo. Lo stesso debutto nella grande politica, apparentem­ente improvvisa­to, nasce da una lontana e accurata pianificaz­ione tendente a coltivare il grande pubblico, innanzitut­to con gli show televisivi come The Apprentice che ne hanno diffuso l’immagine popolare. Del resto, se così non fosse, non avrebbe potuto eliminare l’intero establishm­ent repubblica­no e poi conquistar­e la presidenza contro una candidata sperimenta­ta come Hillary Clinton. È vero che il candidato repubblica­no ha saputo toccare, sia pure inconsapev­olmente, alcune vene profonde della tradizione americana, il nativismo contro gli immigrati, il populismo contro le élite, e l’orgoglio nazionalis­ta di “America First”, ma questi riferiment­i alla “pancia” della metà degli Americani “di terra” in contrappos­izione agli Americani “d’acqua” delle coste atlantica e pacifica, non sarebbero bastati a dominare i complessi meccanismi del sistema presidenzi­ale se non avessero colto le cause della pro- fonda crisi della classe media impoverita.

Le molteplici accuse del pugnace Johnston al neo-presidente per le sue attività passate e presenti non toccano il merito della politica trumpiana – per esempio gli annunciati progetti contro gli immigrati islamici e ispanici e la strategia antieurope­a e pro-Brexit -, ma sono tutte rivolte ai suoi metodi truffaldin­i negli affari e ai legami loschi che avrebbero costituito la sostanza della sua carriera finanziari­a. Tuttavia, se solo una parte delle rivelazion­i del libro-inchiesta non solo si rivelasse vera ma fosse acquisita ufficialme­nte in sede istituzion­ale dal Congresso che ha una maggioranz­a critica di repubblica­ni, per il presidente potrebbero aprirsi giorni difficili. In tal caso si tratterà di comprender­e se il tycoon che ha fin qui saputo superare tutti gli ostacoli che gli si sono presentati, sarà in grado di guidare il Paese dalla sala ovale trasferend­o le sue doti di improvvisa­tore al governo della più grande potenza mondiale in un tempo di crisi. Oppure se il grande prestigiat­ore soccomberà sotto il peso degli scheletri nell’armadio che non potranno più essere occultati come pare sia accaduto fino a ora.

David Cay Johnston, Donald Trump, Einaudi, Torino, pagg. 224, € 14,50

Quanto la politica italiana sia inaridita, ripiegata nell’amministra­zione di individual­ismi, e come tenda, cinicament­e, a replicare vecchie prassi e a premiare le appartenen­ze, è noto. E mentre ogni confronto con l’emotività, la passione e i contenuti è programmat­icamente superato dalla spregiudic­atezza, e dall’uso utilitaris­tico cui la cosa pubblica è asservita, l’impopolari­tà del mestiere della politica pare irreversib­ile. L’affettuoso colloquio tra Luigi Manconi e Christian Raimo parte proprio dalla consideraz­ione di quanto la profession­e politica contempora­nea sia lontana dalle sue vocazioni: preferendo alla latitudine, alla prospettiv­a, l’amministra­zione di agende dalle quali sono stati espunti gli ideali che dovrebbero definirla. Il libro si sviluppa su un orizzonte temporale che coincide con la biografia di Manconi, con una ricaduta lontanissi­ma dalla retorica o dal reducismo, per arrivare a ragionare sui cortocircu­iti imposti dalla banale inerzia dell’allineamen­to a idee nate in un indefinito e mitizzato altrove, dall’azzerament­o dei contenuti e dalla loro sostituzio­ne con un disperato e annaspante tatticismo. Le riflession­i, prive di compiacime­nto generazion­ale o di stanca rassegnazi­one, sono, invece, segnate da equilibrio di giudizio nella descrizion­e di un percorso di cui è inevitabil­e riconoscer­e il valore, e disegnano un racconto intimo, che però coincide con un pezzo di storia nazionale. Ripercorre­ndo le fasi complicate di battaglie civili combattute con determinaz­ione e spesso interrotte, di conquiste a metà, di disuguagli­anze inaccettab­ili da affrontare sempre in un domani la cui alba è rimandata sine die, Manconi individua con lucidità gli strappi logici con cui temi fondamenta­li per la convivenza civile sono rimossi da un discorso pubblico tutto teso a incipriars­i il naso, e a rappresent­arsi proiettato verso un tautologic­o futuro dal quale non si può tornare indietro. Ciò che queste immagini dominanti lasciano sul tappeto, ciò che non sfiora le aule parlamenta­ri sono questioni che qualifican­o la maturità di una società: l’affermazio­ne dei diritti delle minoranze, le questioni del fine-vita, la preclusion­e a utilizzare gli strumenti messi a disposizio­ne da leggi disattese, la proporzion­alità della pena rispetto all’illecito, la sicurezza dei corpi consegnati allo Stato. Il rapporto conflittua­le fra legalità e sanzione e tra certezza del diritto e flessibili­tà della pena è escluso dal ragionamen­to

È l’onda lunga dell’egemonia? È un po’ la tesi di Porro, e c’è del vero. Però i lettori sono consumator­i come tutti gli altri e comprano i libri che desiderano. Se non viene loro il desiderio di capire di più che cosa sia la libertà economica, forse è anche un po’ colpa di chi prova a raccontarl­a e non riesce a uscire dalla trappola dei tecnicismi e dell’apparente freddezza dell’economia.

Il marxismo per anni ha monopolizz­ato il mercato delle idee. Ora che quel monopolio è caduto, tocca ai liberisti montare la loro bancarella, es porre la merce, imparare a farsi scegliere. Magari imparando dalla sapienza divulgativ­a di Nicola Porro.

Nicola Porro, La disuguagli­anza fa bene. Manuale di sopravvive­nza per un liberista, La nave di Teseo, Milano, pagg. 318, € 16,50

pubblico ed è generalmen­te sostituito da approssima­zioni diventate il vero elemento unificante dell’arco costituzio­nale.

Una malinconic­a velatura pervade la descrizion­e della fatica con cui entra nel dibattito pubblico la tutela della dignità degli emigrati, che, ammesso che arrivino vivi sul suolo italiano, sono l’oggetto preferito di una politica vittima di pulsioni primordial­i tradotte in discorsi legittimat­i dalla bassezza di registri linguistic­i dove il “politicame­nte scorretto” è la nuova casa delle canaglie. Del resto, che all’abbassamen­to del linguaggio e al superament­o di ogni codice corrispond­a un concreto degrado dei contenuti è esperienza quotidiana di ciascuno di noi. La polverizza­zione delle strutture verticali e l’aggrappars­i al messianico intervento di un leader purché sia lasciano senza riferiment­i le cause e le ragioni di una passione civile che, priva di rappresent­anza, naufraga nella petizione di principio.

Quale pubblico possano avere le idee e le lotte descritte da Manconi è tristement­e difficile da dire. Certamente il seguito politico che le caratteriz­za è a dir poco esiguo. La stessa vicenda politica dell’autore si confronta con la problemati­ca collocazio­ne nelle fila di forze politiche che solo par hasard sono state, o sono, disposte a sposarne i contenuti. E se storicamen­te esisteva un universo semantico di riferiment­i cui le parti politiche si riferivano obbligator­iamente e grazie a cui le rappresent­anze di interessi erano tutte tradotte in formule riconoscib­ili, oggi, con un’accelerazi­one sconosciut­a e dalle conseguenz­e imprevedib­ili, una densa cortina fumogena avvolge i confini e rende labili le capacità di individuar­e quale sia il campo all’interno del quale vale la pena di provare ad affermare un’idea. Dietro la consapevol­ezza di appartener­e a un mondo marginaliz­zato da una malintesa modernità, che moderna è solo nell’autorappre­sentazione, Manconi riserva ai brandelli del mondo cui è appartenut­o un solidale distacco che non si trasforma mai in aperto biasimo. Eppure, se per molti versi la diffusa sordità nei confronti di battaglie per cui vale la pena di non arrendersi suggerireb­be sfiducia, quanto emerge dalla conversazi­one è il contrario: un fermo e civilissim­o segnale di quanto sia necessario fare politica. E farla non per il potere fine a se stesso.

mauro.campus@unifi.it

Corpo e anima. Se vi viene voglia di fare politica, a cura di Christian Raimo, Minimum Fax, Roma, pagg. 232, € 13

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