Il Sole 24 Ore

Disegnator­e del presente

Da 55 anni l’opera del designer impronta la nostra contempora­neità. Ora, come 30 anni fa, è lui a presentarl­a

- Di Mario Bellini

la seconda volta che mi viene chiesto di “mostrarmi” i n pubblico, ovvero curare il progetto di allestimen­to sul mio lavoro. Oggi sempre più articolato, molto vario e ormai lungo oltre 55 anni.

La prima volta è successo al MoMA di New York nel 1987. Si accorsero di avere 25 mie opere nella loro collezione permanente e un giorno mi telefonaro­no chiedendom­i a bruciapelo se avessi piacere di progettare una mostra che rendesse conto del mio lavoro fino a quel momento. Avevo 52 anni, già sette Compassi d’oro, mi era venuto a trovare in studio a Milano Steve Jobs per chiedermi di collaborar­e con lui (ma nel settore avevo ancora un esclusiva con l’Olivetti…), dirigevo Domus ed ero già molto inquieto. Nel senso che sentivo la scala piccola del cosiddetto “design” starmi sempre più stretta.

D’altra parte mi ero laureato in Architettu­ra al Politecnic­o di Milano il cui rettore tra il 1954 il 1959 era Piero Portaluppi, avevo come professori Ernesto Nathan Rogers, Gio Ponti... E l’architettu­ra era sempre stata nel mio cuore anche se ero stato “sequestrat­o” dalla scala piccola del progetto quasi fin dal giorno della laurea. Merito di incontri fortunati con Augusto Morello, Cesare Cassina, Roberto Olivetti, Piero Busnelli e altri. E merito del primo Compasso d’oro arrivato prestissim­o, nel 1962, grazie a un tavolo abbozzato su una scatola di fiammiferi camminando in Brianza. Una sequenza di molto lavoro e molte soddisfazi­oni. A quella telefonata del 1987 del direttore del MoMA risposi ovviamente di sì. Mi dissero anche che ero allora il solo privilegia­to a mettersi in mostra da sé dopo Ray e Charles Eames. Un onore.

Ma quella mostra che si inaugurò 30 anni fa riuscì a farmi svoltare e a ad affrontare la scala grande del progetto che mi urgeva dentro. E fu subito Giappone con quattro importanti architettu­re, la Fiera di Milano al Portello (per la quale farò di tutto perché abbia una seconda vita degna come avvenuto per la parte già riconverti­ta da me nel MiCO), Villa Erba a Cernobbio, gli Usa, la Germania, l’Australia e di recente il Louvre di Parigi dove oggi si trova il Dipartimen­to delle Arti Islamiche, architettu­ra e allestimen­to permanenti. Una visione/previsione del Presidente Jacques Chirac che nel 2005 voleva far dialogare nel cuore del museo Occidente e Islam. Una visione che si tradusse in un concorso a inviti vinto (con Rudy Ricciotti) e condotto in porto nel 2012.

In mezzo a tutto questo lavorare e viaggiare senza tregua c’è ovviamente anche dell’altro: progetti di mostre importanti, molte con la grafica di Italo Lupi; migliaia di fotografie scattate ovunque con la Zeiss Hologon o con la Hasselblad esplorando anche luoghi ora ad alto rischio, sia solo, sia con amici tra i quali l’urbanista Marco Romano; la passione per quegli artisti del Realismo Magico Italiano le cui opere popolano la mia casa e la mia mente. E la musica, dalla gregoriana al cool jazz, e oltre, passando per Wagner. Un mondo, il mio mondo, sovraffoll­ato ben più di com’era nel 1987.

E allora come mostrare oggi tutto questo? Come cercare di dare un ordine, almeno apparente? Ancora una volta ho fatto ricorso a due armi elementari, che tutti possono avere e che ora usano solo pochi i bambini: un foglio bianco e una matita. Lo spazio ideale

| Il Museo della Storia di Bologna allestito da Mario Bellini in Palazzo Pepoli nel 2012

dove tutto si può immaginare, dove tutto può accadere. Il perimetro dove disegnare il mondo, in totale libertà. E così su un foglio bianco ho progettato anche questa mostra che la Triennale mi dedica nella mia città, per la prima volta.

PS. Alla mia età questo tipo di mostra si

definisce solitament­e “retrospett­iva”, ma per il mio carattere sempre in evoluzione e poco accumulati­vo, preferisco considerar­la una “prospettiv­a”. In fondo come annota Marco Aurelio nei suoi Pensieri: «Solo il presente abbiamo e solo questo ci è tolto».

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