Graham Vick giocoso e femminista
Il regista inglese ambienta a scuola il «Così fan tutte» di Mozart restituendone gli aspetti più seduttivi. Ottimo sestetto di voci
Con Graham Vick l’alchimia riesce sempre: raccontare un’opera come se nessuno l’avesse mai sentita. Anche il Così fan tutte, di cui si cita a memoria il libretto, con l’aspide, l’Idra e il basilisco e l’Aura amorosa e i sublimi monosillabi di « Fa di me quel che ti par » . Con Vick tutto diventa nuovo, scavato dall’interno. Ricercato nelle ragioni profonde, teatrali e umane. Senza storie parallele, sopra alla storia vera. Il suo Mozart per l’Opera di Roma è essenziale, divertente, poetico. Serrato come un esperimento scientifico.
Lo scopo di Così fan tutte è la dimostrazione tautologica del titolo: nell’arco di una giornata le due sorelle ferraresi tradiranno i rispettivi fidanzati, scambiandoseli. L’opera è femminista, ha ragione il regista inglese: perché i due ragazzi, Guglielmo e Ferrando, giocano in nome del denaro; le ragazze, Fiordiligi e Dorabella, in nome della libertà del cuore. Per tutti e quattro l’esperienza sarà scuola, “la scuola degli amanti”, come campeggia in evidenza sulla lavagna in proscenio, a sipario già aperto. Mentre Così fan tutte è scritto a lettere colorate, con il tocco naïve e giocoso che im- pronterà tutto lo spettacolo.
Geniale è il taglio visivo della scena di Samal Blak, una semplice aula scolastica d’antan, candida, con le mezze pareti ad altezza di bambino lavabili ( e infatti qui gli scolari e il maestro don Alfonso le decoreranno a iosa) mossa in avanti, verso il pubblico, grazie a una angolatura sghemba: in quel trampolino sopra la buca d’orchestra finiranno a turno tutti, nei momenti più scuri del racconto, quando le parole non sono più solo tra i sei cantanti, ma vengono dritte verso ciascuno di noi. Non c’è mai bisogno di alzare gli occhi ai sovratitoli, sul boccascena: tutto si capisce, tutto arriva, tutto parla.
Infatti si ride in continuazione in questo Così fan tutte così saporito del gusto del libretto, davvero il più geniale, screziato nei registri, porno e classicissimo insieme. Profondamente italiano proprio perché ricco di ammiccamenti, in ogni momento esaltante la bellezza pura della conversazione. Così, con gli accenti sempre e ovunque tanto giusti, lo abbiamo sentito solo qui.
Finalmente poi - altro pregio di questo spettacolo - il quartetto è formato da quattro personalità diverse, nei timbri, nel fisico: da subito sentiamo chi sia Fiordiligi, con la sua bellezza algida, e chi Dorabella, meno limata e dunque subito più cedevole. Ma fascinosa di voce, tanto da sedurre solo con quella. Giusta anche un po’ rotondetta, come una liceale. Come liceali appaiono all’inizio i due ragazzi, seduti ciascuno al banchetto da vecchia scuola, solamente con le seggiole colorate ( e che carine sono, chissà dove le avrà scovate Vick). E mentre Ferrando si presenta più maturo, coi pantaloni lunghi - perché più maturo è di voce, è baritono, e arriverà primo alla conquista - Guglielmo è ancora adolescente, con le braghette al ginocchio, tenero nell’ingenuità. Commovente nella disperazione, scopertosi tradito.
In tutto il primo atto la scuola è un gioco: si scrive sui muri, ci si traveste ( coi caftani neri e le barbe ostentatamente finte, da finti
turchi). Si mima il “bel naso” picchiando un cuscino gonfio cavalcato tra le gambe. E Despina spezza in due la pietra mesmerica, goliardicamente fallica. In tutto il secondo, il puzzle scomposto nella scuola degli
amanti si radicalizza e seriamente si ricompone. Sono soprattutto le due ragazze a travestirsi, lasciando lo scamiciato e i pantaloni rossi da studentesse e indossando, per gli incontri nel giardino ( finto, basta qualche fiore disegnato da Don Alfonso sui muri) due abiti sexy da donne. Sono loro a giocare la carta del travestimento che dice la verità. Un orologio, sulla parete, spietato nella corsa del tempo, chiude la scuola e inizia la vita.
Così voleva Mozart e così restituisce alla perfezione il sestetto meraviglioso di Francesca Dotto, Chiara Amarù, Juan Francisco Gatell, Vito Priante, Pietro Spagnoli e Monica Bacelli, memorabile Despina ( non fosse che per quella minima pausa tra “senza” e “amanti”). Ricca, solida la direzione di Speranza Scappucci, centrata nella costruzione di una tinta esatta, chiara e luminosa, su un fraseggio incalzante, sempre alato. Questa volta quasi più originale come bacchetta che al fortepiano. Certo, il mago resta Vick: Don Alfonso è lui. Roma lo ha prenotato per tutta la Trilogia, con un prossimo Don Giovanni e poi Nozze . Tutto nuovo. Queste si chiamano proposte culturali. Dunque non ci si stupisca, se l’Opera in due anni ha raddoppiato l’incasso dei biglietti.
Così fan tutte di Mozart; direttore Speranza Scappucci, regia di Graham Vick; Roma, Teatro dell’Opera, fino al 27 gennaio