Sessant’anni di gesti e sferzate
Il sottotitolo, prima di aprire il libro e d’iniziare la lettura, c’ispirava sconforto. «A tu per tu con i più grandi»….Oh, no: com’è possibile? Ancora, un libro d’interviste e di “conversazioni”? Ma basta sollevare la copertina, sfogliare il frontespizio, soffermarsi sull’Indice sommario prima ancora di entrare nel testo, e subito il libro si rivela per ciò che è: un esempio di
Mémoires in stile alto-europeo. Naturalmente, ciò che stiamo per dire suona banale, pur essendo vero ed evidente: il libro è esattamente il contrario di ciò per cui il sottotitolo ci innervosiva, poiché è una vera autobiografia che associa due qualità. Lo stile elegante, leggerissimo e velocissimo, sorridente e implacabile, passa glissando (in apparenza) e incidendo (in realtà) su un terreno con molte rose e innumerevoli spine. Ci rammenta libri di un tempo: Un siècle de musique française di Camille Bellaigue, oppure Musique et musiciens di Guy de Charnacé, o ancora
Petits mémoires de l’Opéra di Charles de Boigne: ma qui, nell’amplissimo orizzonte disegnato dall’autrice, l’aggettivo “petits” sarebbe il meno indicato. L’altra qualità è la passione con cui una gran signora del giornalismo musicale percorre il mondo per onorare la musica e i musicisti, soprattutto il suo campo prediletto che è il teatro d’opera (erroneamente detto da molti “opera lirica”), affrontando fatiche di viaggio, di tempo e di spazio. Velocità, puntualità e inappuntabilità sono d’obbligo, e lo stile di cui si diceva è lo specchio di questo “non frustra vixi”. L’autrice lo dichiara, nella prima pagina, senza un’ombra della fastidiosa retorica in cui siamo scivolati noi, nelle righe che precedono. Che una vita vissuta con energia, discrezione e senza rumore, con tante occasioni di alta felicità intellettuale, insomma, «che tutto questo ben di Dio avuto, donato, sperimentato, goduto, penato eccetera andasse perduto non sarebbe stata una buona cosa. E siccome sono una che “tiene tutto”, diari, agende, note, biglietti, programmi e, quel che più conta, tutti i miei articoli (la bellezza di oltre 8mila, pubblicati in quasi 60 anni di giornalismo) e, quando li raccontavo, i soliti tutti mi dicevano: «Ma perché non li scrivi, i tuoi ricordi, esperienze, incontri, spettacoli e tutto il resto, mi è sembrato giusto e doveroso metterli insieme, riguardarli, ripulirli, tagliarli, sveltirli, qua e là rimpinguarli, sistemarli».
Leggendo queste pagine si sente invidia. Una famiglia europea (Carla Maria Casanova è nata a Monza sabato 1° agosto 1936, ramo materno belga), un’educazione di alta classe, una vocazione per lo scrivere sperimentata nel giorno dell’undicesimo anno su un “diario per cinque anni” sul quale l’amica che glielo regalò scrisse «nulla dies sine linea», il talento nell’individuare infallibilmente la bellezza e nel goderne, l’ingrandire il proprio sapere godendo nell’imparare: ma insieme, non meno bella, la libertà, l’indipendenza a prezzo di qualche zona di solitudine nell’anima, e al costo di quei dispiaceri immancabilmente inflitti alle persone troppo nobilmente amanti della verità e, per ragioni quasi esclusivamente di ordine estetico (il più alto, urgente e decisivo), amanti della giustizia. L’aspetto più amabile di questo libro, fusione di “chronique de ma vie” e di aureo giornalismo musicale, è la civiltà con cui l’autrice vibra garbatissime sferzate, lasciando ogni volta (nessuno s’illuda) il segno. Un segno che è, per ritornare al titolo, anche un gesto.