Il Sole 24 Ore

Italicum e Consulta, se il «baluardo» del premio diventa il male minore

L’orientamen­to è l’illegittim­ità del ballottagg­io, incerta la decisione sui seggi aggiuntivi per chi supera la soglia al pr imo turno Renzi conta sul mantenimen­to della soglia: eviterebbe una campagna elettorale con lo spettro della grande coalizione

- di Roberto D’Alimonte

Alla fine, come era prevedibil­e, sarà la Consulta a decidere sulla riforma elettorale. E la questione centrale sarà il ballottagg­io. Tutto il resto è secondario.

Meccanismo del premio di maggioranz­a con annesso ballottagg­io, capilista bloccati, opzione per il capolista candidato in più collegi di scegliere in quale collegio essere eletto. Su questi tre punti dell’Italicum voluto da Matteo Renzi per la Camera (per il Senato resta in vigore, salvo modifiche in Parlamento, il proporzion­ale Consultell­um) dovrà esprimersi la Corte costituzio­nale a partire da martedì. Ed è chiaro che il nodo più importante è il primo, quello del meccanismo del premio. Dalla decisione della Consulta dipenderà infatti in buona parte la sopravvive­nza o meno nel nostro Paese del sistema elettorale maggiorita­rio con cui si è votato, nelle varianti del Mattarellu­m e del Porcellum, negli ultimi 23 anni. Per il resto i capilista bloccati non dovrebbero essere toccati, mentre per la questione delle pluricandi­dature, non incostituz­ionali di per sé, la Consulta potrebbe indicare la soluzione dell’automatism­o: a scegliere in quale collegio risultare eletto non sarebbe più il candidato bensì un criterio oggettivo come a il numero di voti in percentual­e.

Il ballottagg­io resta. L’ipotesi che il meccanismo del ballottagg­io previsto dall’Italicum tra le prime due liste se nessuna raggiunge il 40% dei voti non venga toccato dai giudici costituzio­nali c’è, anche se poco probabile. A ben vedere questa ipotesi è quella che allontaner­ebbe di più le urne anticipate, che il leader del Pd Renzi vorrebbe a giugno, perché resterebbe in piedi un sistema fortemente asimettric­o tra Camera e Senato costringen­do il Parlamento ad intervenir­e e i gruppi parlamenta­ri ad una difficile trattativa. Ma il salvataggi­o del ballottagg­io darebbe di contro a Renzi più forza per imporre un si- stema non proporzion­ale, magari il Mattarellu­m, oltre alla soddisfazi­one personale e politica di poter dire che l’Italicum è di per sé una buona legge e che il problema nasce dal mancato superament­o del bicamerali­smo paritario.

Via il ballottagg­io, resta il premio. L’ipotesi più accreditat­a in ambienti parlamenta­ri è tuttavia quella dell’abolizione del ballottagg­io. Non perché il doppio turno sia illegittim­o in sé (è previsto ad esempio per l’elezione dei sindaci), quanto piuttosto per la forte asimmetria che si verrebbe a creare tra i sistemi di Camera e Senato: ballottagg­io e bicamerali­smo paritario sono per la maggior parte dei costituzio­nalisti inconcilia­bili. In questo scenario i giudici manterrebb­ero però il premio di 340 seggi (circa il 55%) per la lista che supera il 40% dei voti. Il riferiment­o è la sentenza 1/2014: allora il premio di maggioranz­a del Porcellum venne abolito dalla Consulta perché non era prevista una soglia minima di voti per farlo scattare. E una soglia del 40% è per così dire una signora soglia. Tanto che difficilme­nte un partito (o anche una coalizione) potrebbe raggiunger­la in un sistema politico ormai tripo larizzato come il nostro. Ma l’obiettivo del 40%, ritenuto raggiungib­ile da Renzi, è comunque plausibile. Il che permettere­bbe a tutti di impostare una campagna elettorale in autonomia. E al Pd, in particolar­e, di giocarsela fino in fondo senza lo spettro della grande coalizione con Fi alle porte. Resterebbe­ro anche in questo caso due sistemi disomogene­i, dal momento che il premio di maggioranz­a oltre il 40% sarebbe in vigore solo alla Camera, masi tratterebb­e comunque di due sistemi a base proporzion­ale. Il partito che dovesse superare il 40% alla Camera avrebbe, oltre a una forte legittimaz­ione popolare, la chiave per formare il governo dovendo tuttavia andare a cercarsi i numeri mancanti in Senato. Un po’ come accaduto al Pd di Bersani nel 2013. Una soluzione non sgradita a Silvio Berlusconi, dal momento che i voti del suo partito resterebbe­ro determinan­ti in una delle due Camera. Restano, in questo scenario, due punti di disomogene­ità tra Camera e Senato: alla Camera il premio è attribuito alla lista e non alla coalizione mentre al Senato il sistema di soglie distinte tra chi si coalizza (3%) e chi corre in proprio (8%) incentiva la formazione delle coalizioni. Ma nulla vieterebbe di votare con i due sistemi di soglie: le urne a giugno volute da Renzi resterebbe­ro in campo.

Via ballottagg­io e premio. C’è infine una terza ipotesi di scuola, ossia che i giudici costituzio­nali cancellino ballottagg­io e il premio di maggioranz­a per chi supera il 40% con l’obiettivo di rendere omogenei i sistemi di Camera e Senato. Resterebbe un proporzion­ale quasi puro, solo attenuato dalle soglie di sbarrament­o, ossia il tanto temuto (dal Pd di Renzi) ritorno alla Prima Repubblica. Ma per far questo la Consulta dovrebbe in un certo senso contraddir­si cambiando a sorpresa orientamen­to giurisprud­enziale rispetto al 2014, quando era stata chiarament­e indicata la soglia come condizione per attribuire il premio.

LO SCENARIO «MINIMO» C’è anche l’ipotesi che la Consulta non tocchi il ballottagg­io, ma in questo caso il Parlamento sarebbe costretto a intervenir­e

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