Italicum e Consulta, se il «baluardo» del premio diventa il male minore
L’orientamento è l’illegittimità del ballottaggio, incerta la decisione sui seggi aggiuntivi per chi supera la soglia al pr imo turno Renzi conta sul mantenimento della soglia: eviterebbe una campagna elettorale con lo spettro della grande coalizione
Alla fine, come era prevedibile, sarà la Consulta a decidere sulla riforma elettorale. E la questione centrale sarà il ballottaggio. Tutto il resto è secondario.
Meccanismo del premio di maggioranza con annesso ballottaggio, capilista bloccati, opzione per il capolista candidato in più collegi di scegliere in quale collegio essere eletto. Su questi tre punti dell’Italicum voluto da Matteo Renzi per la Camera (per il Senato resta in vigore, salvo modifiche in Parlamento, il proporzionale Consultellum) dovrà esprimersi la Corte costituzionale a partire da martedì. Ed è chiaro che il nodo più importante è il primo, quello del meccanismo del premio. Dalla decisione della Consulta dipenderà infatti in buona parte la sopravvivenza o meno nel nostro Paese del sistema elettorale maggioritario con cui si è votato, nelle varianti del Mattarellum e del Porcellum, negli ultimi 23 anni. Per il resto i capilista bloccati non dovrebbero essere toccati, mentre per la questione delle pluricandidature, non incostituzionali di per sé, la Consulta potrebbe indicare la soluzione dell’automatismo: a scegliere in quale collegio risultare eletto non sarebbe più il candidato bensì un criterio oggettivo come a il numero di voti in percentuale.
Il ballottaggio resta. L’ipotesi che il meccanismo del ballottaggio previsto dall’Italicum tra le prime due liste se nessuna raggiunge il 40% dei voti non venga toccato dai giudici costituzionali c’è, anche se poco probabile. A ben vedere questa ipotesi è quella che allontanerebbe di più le urne anticipate, che il leader del Pd Renzi vorrebbe a giugno, perché resterebbe in piedi un sistema fortemente asimettrico tra Camera e Senato costringendo il Parlamento ad intervenire e i gruppi parlamentari ad una difficile trattativa. Ma il salvataggio del ballottaggio darebbe di contro a Renzi più forza per imporre un si- stema non proporzionale, magari il Mattarellum, oltre alla soddisfazione personale e politica di poter dire che l’Italicum è di per sé una buona legge e che il problema nasce dal mancato superamento del bicameralismo paritario.
Via il ballottaggio, resta il premio. L’ipotesi più accreditata in ambienti parlamentari è tuttavia quella dell’abolizione del ballottaggio. Non perché il doppio turno sia illegittimo in sé (è previsto ad esempio per l’elezione dei sindaci), quanto piuttosto per la forte asimmetria che si verrebbe a creare tra i sistemi di Camera e Senato: ballottaggio e bicameralismo paritario sono per la maggior parte dei costituzionalisti inconciliabili. In questo scenario i giudici manterrebbero però il premio di 340 seggi (circa il 55%) per la lista che supera il 40% dei voti. Il riferimento è la sentenza 1/2014: allora il premio di maggioranza del Porcellum venne abolito dalla Consulta perché non era prevista una soglia minima di voti per farlo scattare. E una soglia del 40% è per così dire una signora soglia. Tanto che difficilmente un partito (o anche una coalizione) potrebbe raggiungerla in un sistema politico ormai tripo larizzato come il nostro. Ma l’obiettivo del 40%, ritenuto raggiungibile da Renzi, è comunque plausibile. Il che permetterebbe a tutti di impostare una campagna elettorale in autonomia. E al Pd, in particolare, di giocarsela fino in fondo senza lo spettro della grande coalizione con Fi alle porte. Resterebbero anche in questo caso due sistemi disomogenei, dal momento che il premio di maggioranza oltre il 40% sarebbe in vigore solo alla Camera, masi tratterebbe comunque di due sistemi a base proporzionale. Il partito che dovesse superare il 40% alla Camera avrebbe, oltre a una forte legittimazione popolare, la chiave per formare il governo dovendo tuttavia andare a cercarsi i numeri mancanti in Senato. Un po’ come accaduto al Pd di Bersani nel 2013. Una soluzione non sgradita a Silvio Berlusconi, dal momento che i voti del suo partito resterebbero determinanti in una delle due Camera. Restano, in questo scenario, due punti di disomogeneità tra Camera e Senato: alla Camera il premio è attribuito alla lista e non alla coalizione mentre al Senato il sistema di soglie distinte tra chi si coalizza (3%) e chi corre in proprio (8%) incentiva la formazione delle coalizioni. Ma nulla vieterebbe di votare con i due sistemi di soglie: le urne a giugno volute da Renzi resterebbero in campo.
Via ballottaggio e premio. C’è infine una terza ipotesi di scuola, ossia che i giudici costituzionali cancellino ballottaggio e il premio di maggioranza per chi supera il 40% con l’obiettivo di rendere omogenei i sistemi di Camera e Senato. Resterebbe un proporzionale quasi puro, solo attenuato dalle soglie di sbarramento, ossia il tanto temuto (dal Pd di Renzi) ritorno alla Prima Repubblica. Ma per far questo la Consulta dovrebbe in un certo senso contraddirsi cambiando a sorpresa orientamento giurisprudenziale rispetto al 2014, quando era stata chiaramente indicata la soglia come condizione per attribuire il premio.
LO SCENARIO «MINIMO» C’è anche l’ipotesi che la Consulta non tocchi il ballottaggio, ma in questo caso il Parlamento sarebbe costretto a intervenire