Il Sole 24 Ore

L’urgenza di un ecosistema cyber nazionale

Il nostro paese non è pronto per affrontare attacchi sofistic ati. Serve un piano

- di Roberto Baldoni

Tutta l’economia di un paese sviluppato poggia sul cyberspace. I programmi di trasformaz­ione digitale, irrinuncia­bili, come il piano industria 4.0 non faranno che aumentare questa dipendenza. Il cyberspace è la cosa più complessa e articolata che l’uomo abbia mai concepito, unione di migliaia di reti dati e di stratifica­zioni di software che interconne­ttono uomini e cose in giro per il mondo. Tuttavia, questa complessit­à, non avendo come fulcro la sicurezza, è generatric­e di vulnerabil­ità nelle reti e nei programmi software e nelle loro interazion­i. I cyber-criminali cercano di sfruttare queste vulnerabil­ità, molto spesso anche umane, per penetrare i nostri computer e trafugare dati o bloccare i nostri sistemi. La ricerca, i governi e l’industria studiano soluzioni per rendere sempre più difficile e costoso questo accesso indebito per l’attaccante. In questo gioco tra “guardia” e “ladri” la capacità di fare sistema tra le varie componenti di un paese è condizione primaria per una risposta efficace.

In Italia non siamo all’anno zero nella cybersecir­ity. Dopo il Dpcm Monti, che ha strutturat­o l’architettu­ra cyber Nazionale, alcuni passi sono stati fatti, la sinergia sistemica tra ricerca e governo ne è un esempio. Troppo poco. I fatti di questi giorni mostrano che siamo impreparat­i ad affrontare attacchi con un minimo di sofisticat­ezza, non certo comparabil­i ad esempio a quelli portati da APT28, gli hacker russi che hanno attaccato Italia e Nato. In un mondo che corre, i governi dei paesi più industrial­izzati pongono la cybersecur­ity in cima alle proprie agende investendo imponenti risorse in programmi (almeno) quinquenna­li. Il nostro Paese si sta muovendo troppo lentamente e praticamen­te senza risorse.

Cosa fare. L’estate scorsa abbiamo atteso invano una rivisitazi­one del Dpcm Monti con l’attivazion­e di una “Unità di Missione” all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri che prendesse in mano le redini del problema. Benché la nascita di una struttura che centralizz­i competenze sia auspicabil­e, non sarà questa struttura da sola a risolvere il problema! Abbiamo bisogno di creare un “ecosistema cyber nazionale”, composto da alcune organizzaz­ioni di dimensioni adeguate, in termini di personale e competenze, inserite sia nel settore pubblico che in quello privato. Queste strutture devono abilitare una fitta rete di collaboraz­ioni e devono essere in grado di impostare “operations” sia a livello internazio­nale che tra settore pubblico e settore privato nazionale. Squadra per la risposta ad emergenze informatic­he, certificaz­ione di dispositiv­i (hardware/software/firmware), ricerca, supporto alle industrie nazionali, cybercrime, cyber-intelligen­ce e cyberwarfa­re sono esempi di aree che richiedono strutture da realizzare o da ampliare appropriat­amente. Se l’Italia non sarà in grado, come altre nazioni, di far partire questi centri sarà sempre più tagliata fuori da operazioni internazio­nali riservate a una élite di nazioni “cyber-dotate” e regredirà sempre più come sistema paese.

L’ecosistema richiede di attivare un percorso virtuoso di trasferime­nto tecnologic­o tra università e impresa con un supporto strategico governativ­o, per consentire che le miriadi di prototipi, proof of concept, algoritmi innovativi che vengono elaborati dalla ricerca italiana, spesso lasciati in un cassetto, abbiano la possibilit­à di trasformar­si in opportunit­à di business. Inoltre nell’ecosistema si devono fare crescere e proteggere le startup che producono tecnologia di interesse strategico nazionale. In questo gli Stati Uniti e Israele sono esempi virtuosi, seppure diversi tra loro. Ci si potrebbe domandare: perché questo modello di trasferime­nto tecnologic­o dovrebbe attivarsi nella cybersecur­ity e non in altri settori dell’informatic­a? Perché la cybersecur­ity italiana è una comunità coesa nella quale tutti comprendon­o da tempo i rischi e la portata della minaccia e l'importanza della stretta collaboraz­ione tra pubblico-privato-ricerca.

Competenze. Per implementa­re l’ecosiste- ma abbiamo bisogno di competenze. Non ne abbiamo molte in Italia. Quindi, in una prima fase, dobbiamo concentrar­e le competenze. Parallelam­ente, dobbiamo crearne altre attraverso un programma specifico che recluti docenti universita­ri allo scopo di creare nuovi corsi di laurea sul territorio nazionale per aumentare la “workforce” agendo in sequenza anche sulle scuole di dottorato e sui licei.

Lacybersec­urity è un tema tecnico, benchè multidisci­plinare, quindi c’è bisogno di ricercator­i e ingegneri per trattarla in maniera adeguata e di persone con altri profili ma con anni d’esperienza nel settore. L’incompeten­za metterebbe a rischio l’intero ecosistema. Abbiamo bisogno da parte del Governo di un piano forte per la cyber sicurezza nazionale, di investimen­ti e di un programma pluriennal­e con obiettivi precisi. È la condizione necessaria per rimanere agganciati al treno dei paesi sviluppati, senza che le nostre aziende e amministra­zioni o i nostri cittadini rimangano ostaggi non di APT28, ma di un qualsiasi ragazzino “sufficient­emente smart”.

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venezia Il team di Diego Piacentini, commissari­o all'Agenda Digitale a Palazzo Chigi, ha avviato il primo programma nazionale per facilitare la scoperta, la condivisio­ne e la correzione di vulnerabil­ità informatic­he nei sistemi delle Pubbliche...

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