Il Sole 24 Ore

Il piano delle riforme in ritardo sulla tabella promessa a Bruxelles

Battuta d’arresto sull’agenda della pr imavera scorsa

- Antonello Cherchi u

La flessibili­tà c’è stata, le riforme meno.Negli ultimi due anni l’Italia ha ottenuto da Bruxelles lo 0,5% del Pil di deviazione rispetto agli impegni chiesti. Avrebbe, però, dovuto portare a termine una serie di interventi per cambiare volto al Paese. Il programma na- zionale di riforma 2016, invece, è stato attuato solo in parte. Giustizia, concorrenz­a, fisco aspettano ancora i cambiament­i. In porto, invece, la riforma della Pa, della Buona scuola, del Jobs act e gli interventi di revisione della spesa.

La flessibili­tà c’è stata, le riforme meno. Flessibili­tà in cambio di riforme: questo aveva chiesto il Governo italiano alla Ue a partire dal 2015. Scambio accordato nei termini dello 0,5% del Pil, ovvero circa 8 miliardi di euro di “deviazione” rispetto agli impegni chiesti da Bruxelles nel raddrizzam­ento dei conti pubblici. Il massimo concesso alla clausola delle riforme, poi declinata nel programma nazionale di misure varato nella primavera scorsa come parte integrante del Def, il Documento di economia e finanza.

Di quel programma, almeno relativame­nte alle scadenze da centrare nel 2016, una parte è stata portata a termine, ma un’altra - pure fondamenta­le per tener fede agli impegni con l’Unione, che proprio in questi giorni ha chiesto all’Italia nuove correzioni di rotta - è ancora in cantiere o è comunque capitolata.

È il caso della riforma istituzion­ale, che doveva riorganizz­are il Senato e mettere fine al bicamerali­smo perfetto, nonché rivedere la ripartizio­ne delle competenze tra Stato e Regioni previste dal Titolo V della Costituzio­ne. La riforma è arrivata in porto, ma il referendum del 4 dicembre l’ha definitiva­mente (almeno per il momento) archiviata, con le ripercussi­oni che si conoscono sulle sorti del Governo Renzi. Tra gli interventi previsti dal programma nazionale di riforma (Pnr) c’è anche il progetto di legge per la prevenzion­e dei conflitti d’interesse, misura che è invece ancora in itinere, poiché è stata approvata dalla Camera a febbraio e ora è all’esame del Senato.

La parte più deficitari­a del cronoprogr­amma messo a punto dall’allora Governo Renzi, ma a cui l’attuale Esecutivo guidato da Paolo Gentiloni ha dichiarato di volersi in gran parte rifare, è quella relativa alla giustizia. L’Europa aveva vivamente raccomanda­to al nostro Paese di intervenir­e in modo significat­ivo sui processi, così da ridurne i tempi e aumentare l’efficienza del sistema. Sulla materia il Governo aveva, pertanto, approntato un fitto calendario, che preve- deva la riforma del processo penale e della prescrizio­ne, interventi sul civile, sulle crisi d’impresa e sulla magistratu­ra onoraria. Solo il disegno di legge sui giudici di pace e sulle altre figure di magistrati non togati è, però, arrivato in porto. Gli altri sostano ancora in Parlamento: tutti hanno all’attivo l’approvazio­ne di almeno un ramo del Parlamento, tranne quello contro la criminalit­à organizzat­a e l’altro sulle crisi d’impresa, all’inizio della navetta parlamenta­re, il primo al Senato, il secondo alla Camera.

Altra casella che premeva a Bruxelles e che, invece, è ancora vuota è quella sulla concorrenz­a. Il disegno di legge per il 2015 langue alle Camere: presentato ad aprile 2015, è stato approvato da Montecitor­io a ottobre dello stesso anno e da allora è all’attenzione di Palazzo Madama. Di quello per il 2016, poi, non c’è proprio traccia.

Capitoli particolar­mente importanti per la Ue erano quelli del lavoro, della pubblica amministra­zione, della spending review, della formazione e del fisco. In questi settori la gran parte del lavoro è stata portata a termine, anche se si tratta ora di metterla in pratica. Il Jobs act è la riforma più avanzata: varati i decreti attuativi previsti dalla delega, nel 2016 il Governo ha portato a termine gli ulteriori provvedime­nti applicativ­i, quelli previsti dal decreto legislativ­o 150 del 2015: la definizion­e delle politiche attive per il lavoro, il trasferime­nto di risorse dal ministero del Lavoro all’Isfol e all’Anpal, la definizion­e dello statuto di quest’ultima Agenzia. Dopo la recente sentenza della Corte costituzio­nale, però, resta aperta la partita per i referendum sui voucher e sugli appalti, mentre non è passato quello sull’articolo 18.

Sempre la Consulta ha scombussol­ato le carte della riforma Madia della pubblica amministra­zione, facendo venire meno i decreti attuativi sulla dirigenza e sul trasporto pubblico locale. Gli altri atti applicativ­i sono, invece, arrivati in porto, anche se a tre di essi, comunque coinvolti dal verdetto della Corte, si dovrà rimettere mano.

Seppure in zona Cesarini - il 14 gennaio, un giorno prima che scadesse la delega - il Governo ha comunque varato i decreti attuativi della Buona scuola, che adesso devono aspettare i vari pareri.

Nel 2016 è stato affrontato anche il discorso spending review, con interventi per limare le spese pubbliche. Minori successi sono stati, invece, conseguiti sul versante fiscale, a cominciare dall’annunciata riforma del Catasto, ormai da iscrivere alle grandi incompiute.

GRANDI ASSENTI Il riassetto del Senato e la revisione del Titolo V, seppure arrivati in porto, sono stati bocciati dal referendum del 4 dicembre

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