Ora il bilancio va oltre i numeri
La rendicontazione non finanziaria fa il proprio ingresso dalla porta principale, non più solo su base volontaria, nell’ambito dell’informativa societaria. Infatti, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 254/2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 gennaio, anche l’Italia ha recepito la direttiva comunitaria 95/2014 sull’obbligo, per imprese e gruppi societari di grandi dimensioni, di rendere pubbliche le informazioni di natura non finanziaria. Da quest’anno, di conseguenza, gli enti di interesse pubblico, come definiti dalla norma stessa in base a parametri quali il numero di dipendenti, il volume dei ricavi e il totale dello stato patrimoniale, saranno tenuti a redigere e comunicare una dichiarazione di carattere non finanziario con dettagli sull’impatto ambientale e sociale delle attività svolte, sulla sicurezza e gestione del personale, sul rispetto dei diritti umani, la governance, le politiche di genere e anti-corruzione.
I soggetti obbligati – società quotate, banche, assicurazioni e grandi gruppi – sono nel nostro Paese meno di 500 e, in fase di prima applicazione, potranno limitarsi anche a un raffronto sommario, meramente qualitativo rispetto agli esercizi precedenti. Il documento potrà essere incluso nella relazione sulla gestione dell’impresa, oppure prendere forma a sé stante. Ai fini della rendicontazione dovranno essere scelti e seguiti standard internazionali di uso comune, mentre l’avvenuta presentazione del report dovrà essere asseverata dalle società di revisione già incaricate della revisione legale del bilancio.
Il principio base dell’adempimento resta, come nella direttiva comunitaria, quello del comply or explain, che prevede la possibilità di non fornire alcune o tutte le informazioni richieste, purché la decisione sia adeguatamente motivata. Previsto anche un articolato corredo sanzionatorio, a carico sia degli amministratori, sia dei revisori. La Consob, cui faranno capo i poteri di controllo, dovrà ricevere i report, verificare eventuali carenze o non conformità e, dopo aver chiesto le necessarie integrazioni agli enti interessati, potrà nei casi più gravi far scattare le sanzioni.
Siamo alle soglie di una “rivoluzione” nel segno della sostenibilità e della trasparenza o l’aspetto meramente burocratico dell’adempimento finirà con il prevalere, vanificando le ragioni di fondo della direttiva, che puntano a valorizzare l’impatto sociale delle attività produttive?
L’avvio della regulation non giunge inatteso e non viene calato dall’alto in modo brusco. Le grandi imprese, in Italia come in Europa, già da anni curano e pubblicano, generalmente su apposite sezioni dei loro siti web, documenti definiti a vario titolo come report di sostenibilità o bilanci sociali, che contengono il genere di informazioni ora richieste per legge. Il nodo, semmai, è quello di razionalizzare e rendere minimamente uniformi informazioni di grande complessità e diversità. Sotto questo profilo, dunque, l’introduzione del non financial report appare, più che una spinta a un nuovo obbligo, uno stimolo alla standardizzazione delle metodologie e dei contenuti.
Appare facile pronosticare che risulteranno avvantaggiate le imprese già oggi all’avanguardia, ossia quelle che si sono esercitate più a lungo sulle pratiche di rendicontazione. Nel nostro Paese, per esempio, i gruppi dei comparti utilities e oil&gas risultano “veterani” in materia, anche in virtù delle sollecitazioni a cui sono sottoposti da parte dei rispettivi stakeholders. Più indietro, anche se è difficile generalizzare situazioni che sono sempre molto specifiche, risultano in media i settori dell’hi-tech e dei beni di consumo.
Un’altra considerazione largamente condivisa è che l’attuazione della direttiva era attesa da due anni e l’applicazione graduale, unita al numero limitato di soggetti obbligati, pone le premesse per un impatto soft. La misura che può fare la differenza, in realtà, è quella prevista dall’articolo 7 del decreto legislativo 254/16, dove si afferma che, su base volontaria, anche le aziende non tenute alla presentazione possono pubblicare dichiarazioni non finanziarie conformi.
In questi casi è di tutta evidenza che il reporting perde la natura di adempimento e assume la veste di strumento di benchmarking competitivo. Poiché la struttura produttiva del nostro Paese è composta in gran parte da Pmi e, anche fra le aziende più esposte alle istanze informative degli stakeholders, molte sono “multinazionali tascabili”, la vera sfida della rendicontazione non finanziaria si giocherà ancora una volta su questo terreno, ben oltre il ristretto perimetro delle società obbligate.