«Hard» Brexit, il barometro valutario segna tempo instabile
Il barometro della Brexit prevede «tempo incerto». Le lancette dei mercati, da un lato, non segnano di certo l’uscita «soft» della Gran Bretagna dall’Ue. Ma, dall’altro, non stimano con decisione neanche lo scenario della «hard» exit. Il tempo è instabile, per l’appunto.
Come rendersene conto? Una strada è analizzare l’andamento delle quotazioni della sterlina. Certo può obiettarsi: sono le scelte della politica ad influenzare, soprattutto in questo periodo in Europa, i cambi valutari. Quindi: osservare la variabile «A» (sterlina) che è conseguenza della variabile «B» (Brexit) per determinare quest’ultima appare a molti senza senso. Tuttavia, proprio perchè la modalità d’uscita di Londra dall’Ue è tra gli elementi chiave delle strategie d’investimento sulla moneta, monitorare la dinamica del cambio ci dice molto su cosa il mercato preveda.
In tal senso Hsbc ha costruito un vero e proprio «Brexometer». Un barometro monetario che individua dei livelli-soglia tra la divisa britannica e il dollaro statunitense. Valori in grado di definire se il tempo volge all’«hard» Brexit oppure no. Così gli esperti, basandosi sul differenziale dei tassi tra Uk e Usa e le quotazioni del pound ben prima che la parola referendum fosse pronunciata, sono giunti alla conclusione che il cambio intorno a 1,55 implichi lo scenario (ormai impossibile) della «no Brexit». Agli antipodi, invece, c’è l’ipotesi dell’addio «cruento». Dell’uscita di Londra dall’Ue senza fare «prigionieri». Già: ma quale, allora, il livello del cross cui può associarsi l’ipotesi descritta? La risposta è difficile. Seppure può farsi il seguente ragionamento: dopo il voto di giugno il pound è tracollato, scivolando da quota 1,48 a 1,30. Passato lo shock ha navigato, per circa tre mesi, nell’area 1,28-1,35. Successivamente, ad autunno inoltrato, il premier inglese Theresa May, con una eco di thatcherismo fuori tempo massimo, ha iniziato ad esporre la sua rod map per la Brexit. La sterlina, inevitabilmente, ha ulteriormente accentuato la debolezza. Di lì, il 7 ottobre, si è arrivati al flash crash sui mercati asiatici: un algoritmo, probabilmente in reazione al commento del presidente francese Francois Hollande che ipotizzava l’«hard» Brexit, ha spinto la divisa Uk fino a 1,1491. Certo: la quotazione è stata momentanea (successivamente il cross si è mosso tra 1,20 e 1,27). E però significativa: in un momento di fortissimo stress, quando ancora l’intervento del Parlamento britannico era sullo sfondo, il pound non è sceso oltre quel livello. A fronte di ciò Hsbc individua, un po’ più in basso (1,10), proprio la quotazione agli antipodi del «no» Brexit Una «hard» exit che, sedondo il «Brexometer», è sicura fino al livello di 1,25 del cambio. Per, poi, via via sfumare con l’eventuale ripresa di vigore della sterlina.
Ebbene: ieri la moneta britannica, al di là dei movimenti intraday, si è confermata proprio intorno a 1,25. Non solo: da metà gennaio la divisa di Londra si è rafforzata. Insomma: il barometro indica che sulla «hard» Brexit il tempo è incerto.