«Su Brexit si esprima il Parlamento»
La Corte Suprema dà torto al Governo: per avviare l’iter serve il passaggio alle Camere
p «I cambiamenti prodotti dal referendum possono essere realizzati in un solo modo: per volontà del Parlamento». Lord Neuberger presidente della Corte Suprema ha scritto l’ultima pagina della querelle tutta anglo-britannica sui poteri dello Stato. O meglio sull’istituzione a cui tocca trasformare in realtà normativa la volontà popolare espressa dal referendum sull’adesione del 23 giugno scorso. La pretesa dell’esecutivo di Theresa May di appellarsi alla cosiddetta “prerogativa reale” per evitare il passaggio a Westminster è stata liquidata dai giudici supremi con le stesse argomentazioni adottate dai colleghi dell’Alta Corte nel novembre scorso. O meglio da otto giudici su undici, a conferma di una sentenza che ha spaccato il collegio costringendolo a un pronunciamento non unanime. Lord Neuberger nella lettu- ra del dispositivo della sentenza ha riconosciuto il valore della royal prerogative anche relativamente a trattati internazionali, ma non in un caso del genere che sradica «i diritti stessi» dei cittadini britannici essendo la partecipazione all’Ue «fonte del processo legislativo» del Regno Unito.
Il verdetto non cambierà il destino ultimo delle relazioni anglo europee. La Brexit, cioè, si farà, salvo capovolgimenti imprevedibili, ma come si farà e soprattutto quando si farà sono d’improvviso scenari meno definiti. La data del 30 marzo indicata da Theresa May per innescare l’articolo 50 di recesso dall’Unione europea potrebbe non essere rispettata. Le modalità stesse della Brexit, soprattutto, sono, in una certa misura, alla mercè del Parlamento. Il ministro David Davis, responsabile del negoziato per l’uscita dall’Ue, ha dato garanzie in Parlamento precisando, subito dopo la sentenza, che «nel pieno rispetto della Suprema Corte nei prossimi giorni sarà presentato un breve disegno di legge per avviare l’articolo 50» e che il calendario non cambia. In altre parole la fine di marzo resta la deadline dell’esecutivo per cominciare la marcia fuori dall’Ue. E già dopodomani il disegno di legge sarà portato in aula. In teoria l’approvazione potrebbe avvenire a metà marzo.
Tuttavia l’iter parlamentare è contrassegnato da decine di trappole che possono far slittare i tempi dell’uscita britannica dall’Ue a dopo il 2020, quindi dopo la fine della legislatura in corso. Un’eventualità in grado di riaprire tutti gli scenari. È un’ipotesi, avanzata anche dallo studio legale Clifford Chance, che nasce da una considerazione: la spaccatura fra Comuni e Lords. I Pari del Regno sono i più recalcitranti alla Brexit nonostante abbiano dato garanzie sul rispetto della volontà dei cittadini. Se i Lords votassero contro la legge varata dai Comuni, il provvedimento dovrebbe essere riesaminato anche se, in caso di reiterazione della norma stessa da parte dei deputati, la Camera Alta non avrebbe più voce in capitolo. Potere limitato, dunque, ma sufficiente, in teoria, per dilatare i tempi di un destino che i giudici stessi non hanno affatto messo in discussione. «Il referendum – ha detto in sostanza Lord Neuberger – è evento di straordinaria importanza, ma non stabilisce che cosa debba accadere dopo». Né – si direbbe – chi abbia i poteri di trasformare la volontà popolare in legge, né quando farlo, né come farlo.
I remainers più che cantar vittoria possono almeno concedersi una boccata d’ossigeno, ma lo stesso non possono fare scozzesi e nordirlandesi. Le due autonomie del Regno si erano infilate nel giudizio, la Scozia sventolando la cosiddetta Sewell convention che conferisce a Edimburgo il diritto di esprimersi su questioni che la riguardano e Belfast appellandosi all’accordo anglo-irlandese sull’assetto dell’Ulster. In entrambi i casi per i giudici le obiezioni non sussistono perché è il Regno Unito nella sua interezza a cui è necessario fare riferimento. «Le assemblee autonome – hanno detto i giudici – non hanno potere di veto sulla materia». Basterà questo per innescare spinte verso un nuovo referendum per il distacco di Edimburgo da Londra ? «È sempre più chiaro – ha commentato la first minister e leader nazionalista Nicola Sturgeon – che la Scozia deve scegliere fra il Governo di Westminster, arroccato a destra, e l’indipendenza». Per cominciare Nicola Sturgeon schiererà i suoi cinquanta deputati in un voto contro la Brexit. Saranno alleati di LibDem e di decine di deputati eurofili cross party anche se la linea ufficiale Tory e Labour è per un voto a favore del divorzio anglo-europeo nel rispetto del referendum. Con delle differenze, ovviamente. I socialisti d’Inghilterra stanno mettendo a punto articolati emendamenti per controllare l’iter del negoziato e avere la certezza di un voto finale.
LA REAZIONE DI EDIMBURGO Per Nicola Sturgeon, primo ministro, «è sempre più chiaro che la Scozia deve scegliere tra un Governo arroccato a destra e l’indipendenza»