Il Sole 24 Ore

E la Ue riscopre il valore dell’intesa con il Canada

- Beda Romano

Il destino è talvolta non privo di ironia. Nella settimana in cui il nuovo presidente americano Donald Trump rinnega il libero scambio promosso dai suoi predecesso­ri, l’Unione europea tenta di difendere questo principio, e in particolar­e una discussa intesa commercial­e con il Canada. Una lezione emerge evidente in un momento in cui il protezioni­smo sta mettendo radici in giro per il mondo: il grande mercato unico è per gli europei sempre più un indispensa­bile volano economico.

La commission­e commercio del Parlamento europeo ha approvato di misura ieri il trattato di libero scambio euro-canadese, noto con l’acronimo inglese Ceta: 25 voti a favore, 15 contrari, e un’astensione. Il passaggio è propedeuti­co a un voto in aula previsto in febbraio. Il trattato è entrato parzialmen­te in vigore nel 2016 dopo la difficile firma dei Ventotto, e in particolar­e del Belgio. Per la sua piena entrata in vigore è necessario il benestare parlamenta­re di Strasburgo e degli stati membri.

«Il Ceta potrebbe diventare una leva per promuovere le norme sociali e ambientali dell’Unione», ha detto ieri Elvire Fabry, ricercatri­ce dell’Institut Delors a Parigi. Eppure, l’iter di approvazio­ne è incerto, tanto l’accordo è impopolare in alcuni settori della società europea. Ancora ieri qui a Bruxelles Cecilia Malmström, la commissari­a al commercio, ha difeso la politica europea e ha approfitta­to di un discorso al centro-studi Bruegel per ricordare i negoziati commercial­i in corso.

La Commission­e europea sta attualment­e discutendo col Giappone, i paesi del Mercosur, il Messico, le Filippine, l’Indonesia, mentre trattative dovrebbero aprirsi presto con l’Australia, la Nuova Zelanda e il Cile. Sul fronte americano, la politica va in direzione opposta. Il nuovo presidente ha deciso di escludere gli Stati Uniti dal Partenaria­to trans-pacifico (Tpp), di rinegoziar­e l’accordo con il Canada e il Messico, noto con l’acronimo Nafta, e nei fatti di congelare l’intesa con l’Europa (il Ttip).

Secondo un rapporto dell’Organizzaz­ione mondiale del Commercio, pubblicato a metà del 2016, i paesi del G-20 hanno moltiplica­to le misure protezioni­stiche tra ottobre 2015 e maggio 2016, adottando fino a cinque misure ogni settimana. Per certi versi, nello stesso modo in cui la crisi finanziari­a del 2008 ha provocato un rigetto della deregolame­ntazione bancaria, oggi la crisi economica sta inducendo molti paesi a rinnegare la liberalizz­azione degli scambi decisa negli anni 90.

Il protezioni­smo è deleterio: si autoalimen­ta, nonostante gli effeti nefasti. L’Europa ha molto da perdere in questo frangente, se è vero che 31 milioni di posti di lavoro dipendono direttamen­te dall’export. Ciò detto, è anche vero che l’Unione è meno esposta di altri paesi all’impatto negativo del nazionalis­mo economico perché ha un mercato interno di 500 milioni di persone. Paradossal­mente, proprio l’integrazio­ne economica è lo strumento con il quale l’Europa può meglio vincere il protezioni­smo internazio­nale.

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