Il Sole 24 Ore

Sulla Siria timidi passi avanti aspettando Trump

- Di Alberto Negri

In attesa di Trump e di un’America che in Medio Oriente appare più isolata che isolazioni­sta, i colloqui sulla Siria di Astana si sono conclusi con grandi riconoscim­enti alla Russia di Putin, persino da parte di quei gruppi islamisti che all’intervento di Mosca a fianco del regime di Bashar Assad nella guerra siriana devono la loro sconfitta. In realtà anche gli islamisti sperano che la Russia, interessat­a a consolidar­e le sue basi militari ma non a restare impantanat­a in un lungo conflitto, faccia da garante nei confronti di Assad e del suo alleato iraniano, Perché è l’Iran alla fine il vero vincitore di una guerra per procura scatenata dal fronte sunnita di Turchia e monarchie del Golfo contro Assad ma diretta soprattutt­o nei confronti dell’influenza regionale della repubblica islamica sciita.

Ad Astana, pur continuand­o a sostenere Assad, la Russia in qualche modo si sta riposizion­ando cercando di venire incontro al mondo sunnita: dalla sua parte c’è già l’Egitto di Al Sisi ma i russi puntano ad avere buoni rapporti anche con le monarchie del Golfo per le questioni energetich­e e le forniture militari. Detto questo, l’accordo per il rispetto della tregua è stato sottoscrit­to da Russia, Turchia e Iran, non dal governo siriano né dall’opposizion­e.

L’obiettivo dei colloqui non era certamente quello ambizioso di trovare una via di uscita alla guerra civile che da sei anni devasta la Siria ma quello assai più limitato di rendere più stabile il cessate il fuoco concordato lo scorso 30 dicembre da Damasco, sotto la supervisio­ne di Mosca, Teheran e Ankara, con i 12 gruppi di ribelli dopo la riconquist­a di Aleppo da parte delle forze governativ­e. Nonostante le grandi aspettativ­e, i negoziati non sembrano poter tracciare un percorso definitivo verso la stabilità ma soltanto verificare la tenuta di una tregua finora violata da tutte le parti in campo e che comunque non può significar­e la pace visto che continua la guerra contro il Califfato e al Nusraal Qaeda da parte di due coalizioni, una a guida russo-siriana e l’altra a guida americana.

In un clima infuocato, dove le parti siriane si sono scambiate reciproche accuse, i delegati di Mosca e Ankara hanno preferito appartarsi con i rappresent­anti iraniani per discutere del futuro della Siria e hanno raggiunto un risultato: i turchi hanno riconosciu­to che Assad mantenga «un ruolo politico nella fase di transizion­e verso la pace», facendo di fatto cadere la precondizi­one dell’uscita di scena del presidente siriano.

In poche parole Erdogan ha chinato la testa davanti alle richieste di Putin e dell’Iran.

Per una via d’uscita definitiva dal caos siriano i protagonis­ti attendono l’entrata in scena di un nuovo attore, Donald Trump, che ha più volte dichiarato di volere un accordo con il Cremlino per eliminare

LA TRAPPOLA MEDIO ORIENTE Il tycoon vuole un accordo con il Cremlino, ma questo implica l’accettazio­ne di Assad che molti alleati Usa nella regione non vogliono

l’Isis. Ma anche lui, se davvero punta a un’intesa, dovrà accettare che Assad resti al potere con somma irritazion­e di Israele, dell’Arabia Saudita e delle monarchie del Golfo, cioè dei maggiori alleati americani nella regione che vedono come il fumo negli occhi il consolidam­ento dell’asse sciita guidato dall’Iran. Del resto il grande ritorno dell’Iran come potenza regionale è stato sancito da quell’accordo del 2015 sul nucleare. Se è vero che l’intesa non è mai stata realmente implementa­ta dagli americani, che mettono costanteme­nte i bastoni tra le ruote ai crediti delle banche internazio­nali diretti a Teheran, nessun altro Paese della regione ha mai convocato al tavolo le potenze mondiali. L’Iran deve molto alle mosse altrui: sono stati gli Usa a eliminare i talebani dal potere in Afghanista­n nel 2001 e Saddam nel 2003. Per Trump è già scattata la trappola Medio Oriente dove gli Stati Uniti, dall’Iraq alla Siria, ereditano i disastri di 15 anni di scelte sbagliate.

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