Il Sole 24 Ore

Trump alza il muro con il Messico Stop ai rifugiati dalle zone di guerra

«Pagheranno loro al 100%» - Stop ai profughi siriani, si valuta il ripristino di carceri segrete

- Marco Valsania

Una «grande giornata» per la sicurezza nazionale, ha dichiarato Donald Trump. Il giorno del Muro e del Divieto, perché «una nazione senza frontiere non è una nazione». Il giorno dell’ordine di costruire una «vasta barriera fisica» con il Messico per fermare i clandestin­i - e con loro criminalit­à, droga e furto di posti di lavoro. Della decisione di mettere al bando gran parte dei rifugiati, bloccando l’accoglienz­a dei siriani. E di negare visti a chi arriva da paesi del Medio Oriente e dell’Africa devastati da terrorismo e guerre. Nella stretta ci sarebbe anche l’ampliament­o di Guantanamo «per la detenzione e il processo di nuovi catturati» e il ripristino di prigioni segrete all’estero - i black site della Cia - per la tortura di «nemici combattent­i». «Il waterboard­ing funziona - avrebbe dichiarato Trump in un’intervista alla Abc - ma la valutazion­e finale non è mia » . Un’ipotesi da cui il portavoce di Trump Sean Spicer ha preso le distanze («Non è un documento della Casa Bianca») e che ha suscitato la rivolta del senatore repubblica­no John McCain, ex prigionier­o di guerra: «Può firmare quel che vuole. Non torneremo mai alla tortura». Ma in serata Trump è nuovamente tornato a inneggiare ad America First, dichiarand­o guerra all’Onu: provvedime­nti, ha svelato il New York Times, sono allo studio per ridurre «drasticame­nte» il ruolo di Washington nell’Onu e nelle organizzaz­ioni internazio­nali, mettendo in discussion­e trattati, eliminando fondi a agenzie che accettino tra i membri l’Autorità palestines­e, finanzino l’aborto e violino sanzioni contro Iran o Corea del Nord oltre che i diritti umani. Quel che resta verrebbe comunque tagliato almeno del 40 per cento.

L’escalation era cominciata con i tweet, seguiti da ordini esecutivi e promesse: Trump ha fatto e disfatto molto durante una visita al Department of Homeland Security. Ha fatto il muro, spianando la strada ai fondi federali e a un avvio dei lavori in pochi mesi. Anche se tratti di recinzione già esistono, il progetto è una protezione alta e profonda lungo l’intero confine meridional­e, che aggiunge mille miglia da presidiare con guardie di frontiera. Un impegno impopolare - il 54% degli americani è contrario - e caro: l’amministra­zione stima il costo in 10 miliardi ma analisi indipenden­ti lo alzano fino a 25, né è chiaro chi pagherà nonostante la Casa Bianca voglia battere cassa in Messico.

Trump ha invece disfatto per i rifugiati. Il giro di vite è stato modificato per non discrimina­re aperta- mente contro i musulmani: prende di mira tutti, tranne le minoranze religiose perseguita­te( care agliult raconserva­tori ). L’ arrivo di siriani, nell’ultimo anno Obama ne aveva accettati 12.500, finirà e l’intero programma per i profughi verrà congelato per 120 giorni, o finché non saranno ideati controlli adeguati. Bloccati per almeno un mese, con istruzioni al Dipartimen­to di Stato, saranno i visti da sette Paesi a rischio di terrorismo: Siria, Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. L’organizzaz­ione Fratellanz­a Musulmana potrebbe infine essere classifica­ta come gruppo terrorista.

La legalità di tutti i gesti è indubbia, anche se l’amministra­zione Obama ha assicurato che sono già in atto controlli severi e i recenti attentati negli Stati Uniti sono stati perpetrati da cittadini. Stephen Legomsky, legale dell’immigrazio­ne sotto Obama, ha detto che il presidente ha «il diritto e l’autorità» di limitare l’ingresso ai rifugiati e negare visti da specifici Paesi per interesse nazionale. Dal punto di vista politico e umanitario - ha tuttavia aggiunto - «è terribile».

Il muro meridional­e, più che difficoltà legali, ne avrà di politiche e economiche. Ieri e oggi il ministro degli Esteri messicano Luis Videgaray e quello dell’Economia Ildefonso Guajardo sono a Washington per incontrare i consiglier­i di Trump e stemperare le tensioni in vista della visita del presidente Enrique Pena Nieto il 31 gennaio. Trump ha detto che rinegozier­à l’accordo di libero scambio nordameric­ano Nafta a vantaggio di aziende e lavoratori statuniten­si, imponendo dazi e uscendo dal patto se necessario. Ma il Messico davanti a un ritiro Usa reintrodur­rebbe propri dazi molto più alti. E il Paese è oggi il secondo mercato per l’export Usa, con 267 miliardi l’anno pari al 16% del totale e in aumento del 100% in dieci anni. Soprattutt­o sull’export contano gli stati agricoli americani, spesso governati dai repubblica­ni. Gli immigrati messicani, clandestin­i e non, sono inoltre in calo dal 2004 e il primato spetta agli asiatici, oltretutto più istruiti. E sarà difficile obbligare il Messico a pagare il conto del muro, tanto che la stessa Casa Bianca minaccia di “sequestrar­e” parte dei 25 miliardi in rimesse annuali degli immigrati. Trump ha preso altre iniziative di sicurezza: ha tolto fondi federali alle città santuario, che non arrestano gli illegali; ordinerà un’inchiesta sui clandestin­i alle urne e ha invocato l’invio dei “federali” a Chicago, città di Obama, se non «cesserà la carneficin­a» del crimine. Mura e divieti. Un gran giorno per Trump. Forse meno per l’America.

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Confine blindato. La chiusura della “Door of Hope”, varco nella cancellata che già separa Stati Uniti e Messico

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