Il Sole 24 Ore

Fine delle illusioni

- di Alberto Negri

Q uando si cominciano ad alzare muri è perché non ci si fida troppo neppure dei propri guardiani. Quanto a fiducia, il presidente americano Donald Trump non fa eccezione.

ETrump non si fida tanto di chi lo circonda, se non dei famigliari, del genero Jared Kushner e dei generali Mattis e Flynn, due silurati che ha ripescato ai margini del sistema. Tillerson, segretario di Stato, deve garantirlo con il grande capitale ma ai suoi occhi è una sorta di viaggiator­e di commercio di alto bordo.

Trump è già un paradosso per i canoni americani. I cinesi a Davos sono diventati i portabandi­era dei liberisti, Trump dei protezioni­sti. Il nuovo presidente è un pò come l’imperatore cinese Zhu Zhanji che dopo il 1424 fece affondare la flotta cinese, la più grande del mondo, e distrusse le carte nautiche per concentrar­si nella ricostruzi­one della Grande muraglia. In tre giorni alla Casa Bianca ha alzato tre muri, uno concreto, quello con il Messico (per altro già esistente), ha stracciato l’accordo Trans pacifico di libero scambio e messo uno stop ai rifugiati siriani.

Un tempo quando veniva eletto il presidente americano era presentato dai media, con una retorica ridondante, come il “leader del mondo libero”, sorvolando magari sul fatto che gli Usa sostenesse­ro alcuni dei peggiori dittatori o le improponib­ili monarchie del Golfo. In un certo dobbiamo essere grati a Trump che consegna alla storia questa immagine alquanto sbiadita e costellata di disastri recenti.

“America First” nella sua visione significa che non si metterà come gli altri a fare, gratis, il difensore del mondo libero e dei valori occidental­i. Le altre nazioni verranno giudicate per il contributo che daranno agli interessi degli Usa, non per come trattano le minoranze o gli immigrati.

Uno degli aspetti più visibili e significat­ivi dell’irrigidime­nto delle politiche nei confronti di migranti e rifugiati è la costruzion­e di barriere e muri tra uno stato e l’altro. Nel 2015 ne venivano censiti circa 65, tra muri di cemento e barriere di filo spinato, elettrific­ate o meno. Nel numero non erano ancora incluse quella ungherese di Viktor Orban, il muro in costruzion­e a Calais, voluto da un delle più antiche democrazie del mondo, né la barriera che l’Austria intende erigere al Brennero. Orban non vedeva l’ora dell’ingresso alla Casa Bianca del nuovo presidente per procedere anche alla separazion­e del diritto magiaro da quello dell’Unione europea e dare il via all’arresto dei richiedent­i asilo, parificati quindi a presunti criminali, in attesa che venga esaminata la loro domanda.

Trump, sia ben chiaro, non si sta inventando nulla: fu Clinton a varare l’operazione “Gatekeeepe­r” per frenare le ondate messicane. Ma ogni volta la questione veniva accompagna­ta da spruzzate di retorica umanitaria come del resto facciamo pure noi in Europa.

Nell’ottica di Trump ora si va diretti alla separazion­e tra la politica estera americana e la questione dei diritti umani in nome della sicurezza e degli interessi di Washington. È questo il vero Muro che sta costruendo il neo-presidente: l’interrogat­ivo è se il mondo di Trump sarà più o meno pericoloso rispetto a quello di prima.

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