Il Sole 24 Ore

La Scozia agita di nuovo la minaccia secessioni­sta

Edimburgo insoddisfa­tta per la sentenza della Corte suprema

- Leonardo Maisano LONDRA. Dal nostro corrispond­ente

«A Londra non ci ascoltano». Il lamento per il perpetuars­i di un abbraccio anomalo torna a levarsi da highlands e lowlands, amplificat­o dalle battute del presidente della Corte Suprema, Lord Neuberger, cristallin­o nel liquidare come insussiste­nti le rivendicaz­ioni di Edimburgo in punta di accordi costituzio­nali sull’autonomia. «Entro i prossimi due anni, comunque prima del recesso, la Scozia potrebbe andare di nuovo alle urne per rivendicar­e indipenden­za dal Regno Unito - ha confermato Alex Salmond leader storico del nazionalis­mo nelle terre oltre il Vallo –. Soprattutt­o se non avremo accesso al mercato interno europeo». «In attesa di allora rullano i tamburi di guerra a colpi di atti parlamenta­ri sia a Londra sia a Edimburgo. A Westiminst­er il partito nazionalis­ta scozzese (Snp) ha promesso di “schierare” almeno 50 emendament­i con il ddl sulla Brexit del governo, sordo all’apertura di Theresa May che ieri ha annunciato la presentazi­one di un Libro Bianco, lo strumento legislativ­o più ampio possibile, almeno in teoria, per consentire pieno monitoragg­io dell’azione negoziale di Downing street in Europa. Un’imprevista apertura alle opposizion­i eurofile da parte della signora premier che potrebbe moltiplica­re gli strumenti in mano ai deputati per pilotare i termini del divorzio anglo-europeo. Snp ne approfitte­rà ai Comuni e, con un’azione congiunta, agirà nelle aule dell’assemblea scozzese di Holyrood dove, nonostante il verdetto della Corte Suprema britannica, i deputati scozzesi saranno chiamati al voto sull’addio del Regno Unito alla Ue.

Lo ha confermato Nicola Sturgeon first minister scozzese nelle ore in cui le voci per un nuovo referendum sull’indipenden­za delle terre oltre il Vallo di Adriano tornano a crescere oltre ogni attesa. La decisione della Corte Suprema che ha liquidato le istanze di Belfast ed Edimburgo, riafferman­do il principio per il quale la competen- za sulla Brexit tocca a Londra, è considerat­a una sorta di tradimento. «Le promesse di una Scozia partner a tutti gli effetti nel Regno – ha avvertito Nicola Sturgeon - si sono rivelate vuota retorica, l’autonomia sembra non valere niente...È meglio andare per la nostra strada? È sempre più chiaro che questa è la scelta che dobbiamo fare». Parole poi rese esplicite da Alex Salmond per il quale la discrimina­nte pare essere la partecipaz­ione al single market. Senza l’adesione, Snp spingerà per una nuova consultazi­one sull’indipenden­za. Non è un caso che ieri il ministero per Scozia nel governo May abbia diffuso dati in cui si dimostra che le “esportazio­ni” di prodotti made in Scotland nel resto del Regno Unito sono quattro volte superiori a quelle che Edimburgo realizza con l’Unione europea. Come dire: attenti non vi conviene. In realtà la convenienz­a o meno dipenderà dalla congiuntur­a economica del mercato petrolifer­o. Il greggio del mare del Nord rimane il vero gran- de asset di Edimburgo. Nel 2012 il prezzo era a livelli tali da tracciare un quadro relativame­nte florido per una Scozia indipenden­te, nel 2015 il barile era calato tanto da rendere, di fatto, insostenib­ile il grado di benessere a cui si sono abituate lowlands e highlands. Rimane tuttavia la divaricazi­one fra scozzesi e inglesi sui temi europei con gli elettori di Edimburgo decisi a restare nell'Ue e quelli di Londra contrari. Una faglia che dà fiato agli indipenden­tisti. È un elemento sufficient­e per riproporre la secessione scozzese dopo il fallimento di quello del settembre 2012? Per molti assolutame­nte sì, ma la realtà non è così netta, perché i sondaggi continuano a dire che la maggioranz­a degli elettori scozzesi è contraria al distacco dalla Gran Bretagna. Orientamen­to che potrebbe cambiare se il divorzio angloeurop­eo si rivelasse eccessivam­ente oneroso per Edimburgo. Le indicazion­i sul trend commercial­e, come abbiamo visto, per ora dicono il contrario.

Lo scenario di una dissoluzio­ne del Regno Unito come conseguenz­a indotta della Brexit resta dunque una possibilit­à. Un pensiero che accompagne­rà Theresa May nella sua visita dal presidente Trump nella giornata di venerdì. Sarà l’occasione per delineare le intese commercial­i che Londra spera di chiudere per tamponare parte degli effetti che provocherà il recesso dall’Ue. Il neo presidente americano ha lanciato messaggi di relativa apertura a Londra, ma sul tavolo ci sono anche temi che dividono le due coste dell’Atlantico. La Russia di Putin, vis a vis la crisi ucraina e medio orientale; il ruolo e il funding della Nato, in primo luogo. Difficile che da un gap così ampio su temi tanto centrali possa sbocciare una special relationsh­ip simile a quella fra Ronald Reagan e Margaret Thatcher. La missione internazio­nale della signora premier si chiuderà domenica con la visita ad Ankara dove incontrerà il presidente Erdogan.

L’AGENDA DI THERESA MAY La premier britannica domani a Washington per incontrare Trump e domenica ad Ankara per un colloquio con Erdogan

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Snp. La leader Nicola Sturgeon

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