Tgr, un patrimonio da non sprecare
Imomenti di cambiamento racchiudono al proprio interno opportunità e rischi. È inevitabile. Così come è inevitabile anche il pericolo di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Se questo poi dovesse consumarsi sull’altare della necessità di sinergie ed efficientamenti potrebbe suonare anche di più come una beffa. Il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto e la presidente Monica Maggioni hanno presentato ieri in Commissione di vigilanza il nuovo Piano Rai per l’informazione che si declina sostanzialmente attorno a tre sfide: digital first, revisione dei tg tradizionali e “Newsroom Italia”. Quest’ultimo, per voce dello stesso dg, «è un soggetto che mette insieme la forza di RaiNews24, TgR e Rai Parlamento per riuscire ad alimentare le attività stesse di queste realtà e il resto del sistema». Non ci sono più le cinque macroaree del Piano Verdelli che sicuramente hanno avuto un ruolo e non da poco nella sua bocciatura. Ma questa nuova realtà su quali basi nascerà? Come svilupperà la sua operatività? Lo si scoprirà meglio nel momento della presentazione del Piano. Di certo è materia da trattare con cautela visto che va ad agire su un brand che ha una storia – Tgr – e una peculiarità che rappresenta anche una forza della Rai. Attenzione: questo non vuol dire che non vadano ricercate integrazioni e sinergie con l’all news. In particolare un’unione di Rainews e Tg3 nell’ottica dell’all news ha sicuramente senso. Ma quanto invece si può essere sicuri a priori che una fusione con la Tgr – non integrazione funzionale, ma fusione – non rischi di svilire la mission editoriale peculiare di una struttura ramificata sul territorio, con oltre 700 giornalisti in 24 sedi distaccate? Questa realtà guidata oggi da Vincenzo Morgante fa informazione distintiva, che proviene dai territori, significativa quanto sconosciuta. Quindi contenuto che è anche distintivo nel mare magnum dell’informazione à la carte. Creare sinergie è un conto ed è auspicabile così come la qualità dell’informazione regionale è migliorabile anche se migliorata con gli anni e rispetto a un passato in cui le sedi regionali si ritenevano (e a ragione) serbatoi di consenso politico. Le recenti assunzioni dell’ultimo concorso sono un’ulteriore testimonianza di questa evoluzione. Altrettanto certo è che mai come oggi il particolare, se ben trattato, fa la differenza.