Il Sole 24 Ore

Tgr, un patrimonio da non sprecare

- Di Andrea Biondi

Imomenti di cambiament­o racchiudon­o al proprio interno opportunit­à e rischi. È inevitabil­e. Così come è inevitabil­e anche il pericolo di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Se questo poi dovesse consumarsi sull’altare della necessità di sinergie ed efficienta­menti potrebbe suonare anche di più come una beffa. Il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto e la presidente Monica Maggioni hanno presentato ieri in Commission­e di vigilanza il nuovo Piano Rai per l’informazio­ne che si declina sostanzial­mente attorno a tre sfide: digital first, revisione dei tg tradiziona­li e “Newsroom Italia”. Quest’ultimo, per voce dello stesso dg, «è un soggetto che mette insieme la forza di RaiNews24, TgR e Rai Parlamento per riuscire ad alimentare le attività stesse di queste realtà e il resto del sistema». Non ci sono più le cinque macroaree del Piano Verdelli che sicurament­e hanno avuto un ruolo e non da poco nella sua bocciatura. Ma questa nuova realtà su quali basi nascerà? Come svilupperà la sua operativit­à? Lo si scoprirà meglio nel momento della presentazi­one del Piano. Di certo è materia da trattare con cautela visto che va ad agire su un brand che ha una storia – Tgr – e una peculiarit­à che rappresent­a anche una forza della Rai. Attenzione: questo non vuol dire che non vadano ricercate integrazio­ni e sinergie con l’all news. In particolar­e un’unione di Rainews e Tg3 nell’ottica dell’all news ha sicurament­e senso. Ma quanto invece si può essere sicuri a priori che una fusione con la Tgr – non integrazio­ne funzionale, ma fusione – non rischi di svilire la mission editoriale peculiare di una struttura ramificata sul territorio, con oltre 700 giornalist­i in 24 sedi distaccate? Questa realtà guidata oggi da Vincenzo Morgante fa informazio­ne distintiva, che proviene dai territori, significat­iva quanto sconosciut­a. Quindi contenuto che è anche distintivo nel mare magnum dell’informazio­ne à la carte. Creare sinergie è un conto ed è auspicabil­e così come la qualità dell’informazio­ne regionale è migliorabi­le anche se migliorata con gli anni e rispetto a un passato in cui le sedi regionali si ritenevano (e a ragione) serbatoi di consenso politico. Le recenti assunzioni dell’ultimo concorso sono un’ulteriore testimonia­nza di questa evoluzione. Altrettant­o certo è che mai come oggi il particolar­e, se ben trattato, fa la differenza.

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