Transparency, l’Italia risale (ma servono dati reali)
Sessantesima nel mondo, terz'ultima in Europa, l'Italia prova (con molte difficoltà) a risalire la classifica dei Paesi messi in fila in base al tasso di corruzione. Perlomeno di quella «percepita» da uomini d’affari e esperti internazionali. Niente a che vedere con un dato reale e misurabile della diffusione del metodo «mazzette e favori» o del prezzo pagato a causa delle prassi corruttive che, secondo una bufala spacciata per vera fino a pochi mesi fa, sarebbe stato stimato in 60 miliardi all'anno dalla Corte dei Conti. Lo ha precisato anche il presidente di Transparency Italia Virginio Carnevali, presentando la performance del nostro Paese tra i 176 Stati censiti nel consueto dossier annuale. Rispetto all’anno scorso l’Italia ha guadagnato un gradino nella graduatoria mondiale, salendo dal 61° al 60° posto. L’anno scorso ne aveva risaliti otto. Dal 2012, anno di battesimo della legge anticorruzione (legge Severino) le posizioni conquistate in classifica diventano 12. In testa alla graduatoria , con 90 punti, figurano ancora una volta Danimarca e Nuova Zelanda, seguite a stretto giro da Finlandia (89), Svezia (88) e Svizzera (86). All'estremo opposto stazionano Siria (13 punti), Nord Corea (12) Sudan (11) e Somalia (10).
Quello che colpisce è che tra i paesi europei sotto l'Italia figurano soltanto Grecia e Bulgaria. Mentre occupano posizioni migliori Ungheria e Romania (57° posto). Nel mondo siamo superati anche da paesi come Namibia (53° posto), Ruanda (50°) e Botswana (35°). E abbiamo solo 7 punti in più della Cina (che si trova al 79° posto). « È chiaro che ci sono Paesi che dovrebbero seguirci, non superarci in classifica», dice Carnevali. «Questo accade - ha spiegato - perché da altre parti la corruzione è più tollerata. Da noi è molto più indagata e questo ha effetti sulla percezione del panel», in cui figurano organizzazioni con come il World economic forum. A chiarire il punto, ci ha pensato il numero 1 dell’Anticorruzione Raffaele Cantone. Che non ha nascosto di essere «tra quelli che hanno espresso scetticismo nei confronti di queste graduatorie». «È chiaro - ha detto l’ex magistrato - . che la “percezione” dipende molto da quanto si discute di corruzione nel paese». Per questo, ha aggiunto, «il fatto che ci sia una piccola inversione di tendenza è un risultato doppiamente positivo». Cantone è anche tornato sulla missione quasi impossibile di individuare un metodo per stimare il fenomeno con dati reali. L’Anac lavora a un indicatore in grado di valutare l'anomalia di comportamenti delle Pa. Più che una misurazione «sarà un "alert" delle aree più a rischio». Comunque un passo in avanti rispetto alla percezione, che non può essere certo l’unica base per misurare gli effetti degli strumenti di prevenzione. L'ultima notazione riguarda proprio il ruolo dell’Anac. E il rischio che venga percepita come un ulteriore fardello burocratico. «Il bersaglio deve essere la corruzione non l'Anticorruzione», ha detto Cantone. «Il nostro sforzo - ha spiegato - è trovare un difficile equilibrio tra un tasso di controlli che non blocchi l’economia e una "deregulation" che porta a risultati peggiori dell'iper-regolazione». Ricordando che « i Paesi a più alto tasso di corruzione sono anche quelli che esibiscono i più bassi tassi di crescita».