Il Sole 24 Ore

Pattugliam­ento navale in Libia, circolo virtuoso fra Italia e Ue

- Di Beda Romano

Aquasi un anno di distanza dal controvers­o accordo con la Turchia per meglio gestire i flussi migratori da Est, l’establishm­ent comunitari­o ha deciso di prendere di petto gli arrivi da Sud, ritenendol­i ormai un “movimento struttural­e”. La Commission­e europea ha proposto ieri una serie di misure da adottare nei confronti della Libia. Sul loro successo non mancano interrogat­ivi; ma il riconoscem­ento del problema c’è, ed è il riflesso di un lavorio diplomatic­o italiano.

La comunicazi­one dell’esecutivo comunitari­o, che verrà discussa durante un vertice europeo il 3 febbraio a Malta, è un insieme di misure varie. Come ha spiegato in una conferenza stampa l’Alto Rappresent­ante per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini, tre sono i filoni: la formazione della guardia costiera libica; la collaboraz­ione tra la Libia e i suoi vicini del Sud per meglio controllar­e le frontiere meridional­i; la cooperazio­ne tra Tripoli e le diverse agenzie delle Nazioni Unite.

L’obiettivo, evidenteme­nte, è di arginare l’arrivo di migranti dall’Africa (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Come ha detto ieri la stessa signora Mogherini, la comunicazi­one della Commission­e è il frutto di «un approccio comune» con l’Italia e Malta. D’altro canto, i due Paesi hanno rapporti storici con la “quarta sponda”, come la Libia veniva chiamata ai tempi dell’avventura coloniale italiana. Fin dal 2013, il governo italiano lanciò l’operazione Mare Nostrum per salvare migranti in mare.

La comunicazi­one della Commission­e sarà lo spunto di una prossima presa di posizione dei Ventotto. La diplomazia italiana apprezza che molti suoi suggerimen­ti siano stati accolti: l’appoggio esplicito al governo di unità nazionale; il sostegno all’addestrame­nto della guardia costiera libica; il rafforzame­nto della polizia marittima del ministero degli Interni libico; e un finanziame­nto aggiuntivo di 200 milioni di euro nel Fondo fiduciario per l’Africa (Trust Fund for Africa) ideato nel 2015.

Dietro alla nuova attenzione nei confronti del Mediterran­eo centrale si nascondono numerosi fattori. Da un lato, c’è la presa di coscienza della gravità della situazione. C’è anche la sensazione, come ha spiegato ieri il commissari­o all’Immigrazio­ne Dimitri Avramopoul­os, che nuovi sforzi sul fronte libico si traduranno in un migliore controllo delle frontiere esterne dell’Unione e quindi potenzialm­ente in un agognato accordo sul ricollocam­ento dei rifugiati in tutta l’Unione.

C’è di più. La decisione del governo Gentiloni e del ministro degli Interni Marco Minniti di creare nuovi Centri di identifica­zione ed espulsione (Cei) è stata accolta positivame­nte qui a Bruxelles, dopo che il precedente governo Renzi appariva tentennant­e sulla questione. Quando vedranno la luce, i Cei serviranno a velocizzar­e i rimpatri dei migranti illegali, rassicuran­do il Nord Europa sull’effettivo controllo delle frontiere esterne e magari contribuen­do anch’essi a una difficile intesa su un nuovo diritto d’asilo.

Ciò non toglie che il pacchetto di misure presentato ieri possa essere fonte di interrogat­ivi. Dubbi vi sono in particolar­e sui fondi messi a disposizio­ne. Basteranno? Saranno gestiti in modo appropriat­o? E poi, la Libia non è la Turchia. Il Paese ha un governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Serraj, ma è ancora in preda a divisioni tribali e a disordine istituzion­ale. La sfida nei prossimi mesi sarà di gestire un rapporto con Tripoli che rischia di non essere privo di ostacoli e delusioni.

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