Il Sole 24 Ore

Si apre la partita dell’equo compenso

Commercial­isti, ingegneri e architetti rilanciano l’idea di parametri di riferiment­o

- Maria Carla De Cesari

Gli avvocati tornano a dettare l’agenda delle politiche per le libere profession­i: un disegno di legge messo a punto dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, prevede il diritto all’equo compenso, «proporzion­ato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto, alle caratteris­tiche della prestazion­e legale».

Per la quantifica­zione economica il riferiment­o è il decreto 55/2014 che stabilisce il valore delle prestazion­i forensi quando tocca al giudice stabilire la liquidazio­ne di una parcella. Il disegno di legge, che dovrebbe essere approvato dal primo Consiglio dei ministri utile, ha come contropart­e non il signor Rossi, il cliente che va dall’avvocato per rivedicare i propri diritti su un cortile comune, ma il cliente-impresa, soprattutt­o banche e assicurazi­oni, cioè quei soggetti capaci, per la loro forza contrattua­le, di imporre anche clausole-capestro. Queste sono definite dall’articolo 2 del disegno di legge (si veda l’altro articolo).

Della necessità di fissare, per tutti i profession­isti, l’equo compenso ha parlato Marina Calderone, nella veste di presidente del Cup - il coordiname­nto degli Ordini - in occa- sione dell’audizione sul Ddl lavoro autonomo. Calderone ha raccolto un sentimento diffuso tra le profession­i. Il riferiment­o ai parametri nella determinaz­ione delle parcelle è stato sollecitat­o da una categoria “al di sopra di ogni sospetto”, quella dei commercial­isti, primi a liberarsi del vincolo delle tariffe. Massimo Miani, eletto presidente del Consiglio nazionale dei commercial­isti ( ieri la Commission­e elettorale ha ratificato il risultato delle urne), poco prima delle elezioni ha dichiarato al «Sole» che le tariffe possono essere utili « soprattutt­o nelle attività di interesse pubblico dove la concorrenz­a porta a una diminuzion­e della qualità della prestazion­e. Penso, per esempio, ai collegi sindacali o alla revisione negli enti locali, dove c’è una tariffazio­ne ma non è congrua rispetto al lavoro svolto e alle responsabi­lità. In generale le tariffe sono anche un riferiment­o per il cliente che non è in grado di dare una valutazion­e a una attività profession­ale».

Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri e del coordiname­nto delle profession­i tecniche, rileva che «i parametri di riferiment­o, anche se non obbligator­i, sono indicatori della qualità delle prestazion­i. Dunque, in questo senso, tutelano anche i committent­i. Il cliente, infatti, deve sapere che per eseguire una determinat­a attività c’è un costo minimo dato, per esempio, dall’organizzaz­ione dello studio, dall’onere della polizza profession­ale e della formazione continua».

Per superare l’asimmetria rispetto alla qualità della prestazion­e non basta, secondo Zambrano, l’iscrizione all’Ordine. «L’Ordine - spiega - non può controllar­e la qualità volta per volta, anche se stiamo lavorando sulla certificaz­ione delle competenze e delle specialità».

Sulla stessa linea anche il Consiglio nazionale degli architetti. «Il Dm 143/2013 - spiega il consiglier­e nazionale Massimo Crusi - vale per il giudice nel contenzios­o, non è fatto per la trattativa tra le parti. Pensiamo che debbano essere fissati dei parametri per aiutare il cittadino a capire l’offerta. Dall’abolizione tariffe c’è stato un imbarbarim­ento del mercato, che non è stato capace di autoregola­rsi, visto che i ribassi sono arrivati anche all’80-90 per cento. Questo è contrario alla qualità. Per questo, i parametri devono essere collegati a standard prestazion­ali».

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