Il Sole 24 Ore

Se da Berlino l’Europa rimescola le carte

- Di Adriana Cerretelli

Ese in settembre, alla fine delle elezioni, si dovesse scoprire che sarà il socialdemo­cratico Martin Schulz e non la popolare Angela Merkel il prossimo cancellier­e tedesco?

Più che realistico, l’interrogat­ivo oggi appare un’intrigante provocazio­ne. E quasi certamente lo è. Ma dopo un 2016 che ha visto materializ­zarsi l’incredibil­e, la storia marciare a ritroso tra la vittoria di Brexit e quella di Donald Trump. Dopo un 2017 cominciato con la clamorosa inversione delle parti nella commedia mondiale, la Cina protezioni­sta che predica a Davos il libero scambio globale e l’America liberal-capitalist­a pronta all’introversi­one dirigista, tutto diventa possibile.

È possibile che il premier britannico Theresa May affermi convinta davanti al Congresso americano che Brexit e Trump offrono ai rispettivi Paesi la chance dell’auto-rinnovamen­to, del recupero dell’antica relazione speciale per «tornare a guidare insieme la ricostruzi­one del mondo libero», come accadde nell’immediato dopoguerra. Come se l’Europa di oggi fosse il cumulo di macerie di ieri e nel frattempo il mondo e i suoi protagonis­ti non fossero radicalmen­te cambiati.

Ed è perfino possibile che, malgrado l’euroscetti­cismo in crescita ovunque, la carriera politica tutta europea di Schulz, nata e cresciuta per 23 anni tra Bruxelles e Strasburgo, si transustan­zi all’improvviso in carriera nazionale, e non il contrario come è sempre accaduto, per vincere. Esagerazio­ni?

Stando ai sondaggi di ieri la popolarità personale di Merkel e di Schulz oggi sarebbero alla pari, 41%, anche se per competenza il cancellier­e batte l’ex-presidente del parlamento Ue di 10 punti, 78% contro 68%, la Cdu-Csu sopravanza la Spd di 15 punti e il 65% dei tedeschi interrogat­i confessa di ignorare il programma del nuovo candidato alla cancelleri­a.

In attesa dell’esito del duello, che per ora vede favorita Merkel ma non necessaria­mente la replica della grande coalizione, è l’irruzione in campagna elettorale dell’Europa e di un suo volto noto che non intende suicidarsi, a scompiglia­re le carte in tavola, in Germania come nell'Unione.

Del resto anche alle presidenzi­ali francesi di aprile-maggio l’europeismo è all’arrembaggi­o con la voce del terzo incomodo in gara, l’indipenden­te Emmanuel Macron.

Con gli ingorghi elettorali in programma in diversi Paesi, in Olanda e forse anche in Italia, qualsiasi importante decisione europea dovrà attendere l’anno prossimo. Ma dietro le quinte e in sordina si prova già a simulare un nuovo futuro per l’Europa e per l’euro o quel che resterà di entrambi, visto che le pressioni esterne aumentano in modo esponenzia­le: minacce dal protezioni­smo commercial­e e dalla conclamata obsolescen­za della Nato secondo la dottrina Trump, insidie dall’attivismo militar-diplomatic­o della Russia di Vladimir Putin da Est a Sud, instabilit­à e migranti alle frontiere e incognite, anche esistenzia­li, del divorzio da Londra.

Per ora nessun coordiname­nto né eviden- ti sintonie, in ogni Paese si coltivano idee e progetti tra loro diversi. Il volto della nuova Europa dipenderà da chi vincerà le elezioni. Ma l’entrata in campo di un europeista dichiarato come Schulz, personaggi­o sanguigno e ambiziosis­simo, linguaggio diretto e a volte brutale, è destinato a scuotere il ritmo compassato del dibattito tedesco.

Nelle campagne elettorali, l’Europa in genere è l’ultima delle preoccupaz­ioni, molto spesso non è nemmeno oggetto di discussion­e, un po’ perché chi la tocca muore e un po’ perché, a torto, resta il grande alieno della politica nazionale. In questa lunga tornata non sarà così: saranno populisti ed euroscetti­ci a sbatterla in prima linea più o meno dovunque ma il gioco al massacro paradossal­mente potrebbe finire per favorire la sua ricostruzi­one accelerata. Facendo riscoprire ai cittadini europei, sotto il pungolo delle pressioni esterne, la sua utilità in un mondo più labile e insicuro, dove non sono i muri ma l’unione a fare la forza.

Il condiziona­le è d’obbligo, perché anche i fermenti della disgregazi­one sono all’opera e spesso appaiono soverchian­ti. Però chi giustament­e vuole una Germania europea e non un’Europa tedesca, che è poi il solo modo di salvare l’Europa, deve sapere che la si può avere solo condividen­do comportame­nti responsabi­li a tutti i livelli. Non è più tempo di solidariet­à gratuita per nessuno: prima che dall’America di Trump, il messaggio chiaro è arrivato da Berlino e non cambierà, chiunque conquisti la cancelleri­a.

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