Se da Berlino l’Europa rimescola le carte
Ese in settembre, alla fine delle elezioni, si dovesse scoprire che sarà il socialdemocratico Martin Schulz e non la popolare Angela Merkel il prossimo cancelliere tedesco?
Più che realistico, l’interrogativo oggi appare un’intrigante provocazione. E quasi certamente lo è. Ma dopo un 2016 che ha visto materializzarsi l’incredibile, la storia marciare a ritroso tra la vittoria di Brexit e quella di Donald Trump. Dopo un 2017 cominciato con la clamorosa inversione delle parti nella commedia mondiale, la Cina protezionista che predica a Davos il libero scambio globale e l’America liberal-capitalista pronta all’introversione dirigista, tutto diventa possibile.
È possibile che il premier britannico Theresa May affermi convinta davanti al Congresso americano che Brexit e Trump offrono ai rispettivi Paesi la chance dell’auto-rinnovamento, del recupero dell’antica relazione speciale per «tornare a guidare insieme la ricostruzione del mondo libero», come accadde nell’immediato dopoguerra. Come se l’Europa di oggi fosse il cumulo di macerie di ieri e nel frattempo il mondo e i suoi protagonisti non fossero radicalmente cambiati.
Ed è perfino possibile che, malgrado l’euroscetticismo in crescita ovunque, la carriera politica tutta europea di Schulz, nata e cresciuta per 23 anni tra Bruxelles e Strasburgo, si transustanzi all’improvviso in carriera nazionale, e non il contrario come è sempre accaduto, per vincere. Esagerazioni?
Stando ai sondaggi di ieri la popolarità personale di Merkel e di Schulz oggi sarebbero alla pari, 41%, anche se per competenza il cancelliere batte l’ex-presidente del parlamento Ue di 10 punti, 78% contro 68%, la Cdu-Csu sopravanza la Spd di 15 punti e il 65% dei tedeschi interrogati confessa di ignorare il programma del nuovo candidato alla cancelleria.
In attesa dell’esito del duello, che per ora vede favorita Merkel ma non necessariamente la replica della grande coalizione, è l’irruzione in campagna elettorale dell’Europa e di un suo volto noto che non intende suicidarsi, a scompigliare le carte in tavola, in Germania come nell'Unione.
Del resto anche alle presidenziali francesi di aprile-maggio l’europeismo è all’arrembaggio con la voce del terzo incomodo in gara, l’indipendente Emmanuel Macron.
Con gli ingorghi elettorali in programma in diversi Paesi, in Olanda e forse anche in Italia, qualsiasi importante decisione europea dovrà attendere l’anno prossimo. Ma dietro le quinte e in sordina si prova già a simulare un nuovo futuro per l’Europa e per l’euro o quel che resterà di entrambi, visto che le pressioni esterne aumentano in modo esponenziale: minacce dal protezionismo commerciale e dalla conclamata obsolescenza della Nato secondo la dottrina Trump, insidie dall’attivismo militar-diplomatico della Russia di Vladimir Putin da Est a Sud, instabilità e migranti alle frontiere e incognite, anche esistenziali, del divorzio da Londra.
Per ora nessun coordinamento né eviden- ti sintonie, in ogni Paese si coltivano idee e progetti tra loro diversi. Il volto della nuova Europa dipenderà da chi vincerà le elezioni. Ma l’entrata in campo di un europeista dichiarato come Schulz, personaggio sanguigno e ambiziosissimo, linguaggio diretto e a volte brutale, è destinato a scuotere il ritmo compassato del dibattito tedesco.
Nelle campagne elettorali, l’Europa in genere è l’ultima delle preoccupazioni, molto spesso non è nemmeno oggetto di discussione, un po’ perché chi la tocca muore e un po’ perché, a torto, resta il grande alieno della politica nazionale. In questa lunga tornata non sarà così: saranno populisti ed euroscettici a sbatterla in prima linea più o meno dovunque ma il gioco al massacro paradossalmente potrebbe finire per favorire la sua ricostruzione accelerata. Facendo riscoprire ai cittadini europei, sotto il pungolo delle pressioni esterne, la sua utilità in un mondo più labile e insicuro, dove non sono i muri ma l’unione a fare la forza.
Il condizionale è d’obbligo, perché anche i fermenti della disgregazione sono all’opera e spesso appaiono soverchianti. Però chi giustamente vuole una Germania europea e non un’Europa tedesca, che è poi il solo modo di salvare l’Europa, deve sapere che la si può avere solo condividendo comportamenti responsabili a tutti i livelli. Non è più tempo di solidarietà gratuita per nessuno: prima che dall’America di Trump, il messaggio chiaro è arrivato da Berlino e non cambierà, chiunque conquisti la cancelleria.