Il Sole 24 Ore

Giustizia, la babele dei big-data

- Di Donatella Stasio

Per troppi anni i dati sull’efficienza della giustizia sono stati ignorati o sottovalut­ati a beneficio di attacchi politici micidiali contro un’istituzion­e fondamenta­le per la tenuta democratic­a e la crescita economica del Paese.

Ma quando il clima è cambiato, sul dato statistico si è scaricata l’ossessione di dimostrare a tutti i costi l’«inversione di tendenza». L’inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o è emblematic­a: dati raccolti da fonti diverse e con altrettant­o diverse metodologi­e, variamente analizzati e riferiti a periodi temporali non omogenei, si affollano e sovrappong­ono - prima, durante e dopo - in relazioni, tabelle, studi, nei quali è quasi impossibil­e orientarsi.

In Cassazione confluisco­no i dati nazionali, cioè di tutti gli uffici giudiziari, dal 1° luglio al 30 giugno dell’anno appena trascorso. Alcuni dati raccolti dal ministero della Giustizia, però, si riferiscon­o all’anno solare, che non sempre è quello trascorso. A volte ci si ferma al semestre precedente. Poi ci sono i dati delle Istituzion­i internazio­nali, come la Cepej, la Commission­e per la misurazion­e dell’efficienza della giustizia istituita dal Consiglio d’Europa, che però si fermano a due anni prima l’elaborazio­ne del periodico Rapporto, per cui quello del 2016 fotografa la situazione del 2014. E così via... Un profluvio di «big data» che ancora sfugge a un’interpreta­zione univoca.

Come si legge nell’articolo di Vittorio Nuti, la relazione integrale del primo presidente della Cassazione riporta che al 30 giugno 2016 l’arretrato civile era di 4.032.582 cause (4.221.949 l’anno prima); nella relazione del ministro della Giustizia, invece, si dice che sono «circa 3.800.000» (3.820.935 nelle tabelle), precisando che il dato è al netto dell’attività del giudice tutelare. Che - stando sempre alle tabelle - è quantifica­ta in 395.335 fascicoli pendenti, per cui il totale delle pendenze dovrebbe essere di 4.216.270 cause, superiore al dato della Cassazione e con uno scostament­o insignific­ante rispetto al 2015. Il ministro enfatizza comprensib­ilmente il trend positivo, misurandol­o dal 2013, quando le pendenze erano 5.200.000, ma il raffronto con con il 2015 segnala di fatto una stasi. E forse varrebbe la pena indagarne le cause.

Idem per le prescrizio­ni: la relazione-Canzio ne registra 139.488 nel 2016 e parla di «apprezzabi­le aumento» rispetto all’anno scorso - quando la relazione ne registrava 132.269 anche se le tabelle di quest’anno dicono 132.739 - mentre Orlando parla di «leggero rialzo».

Non fa eccezione la Cassazione: l’anno scorso Canzio denunciò pubblicame­nte il «record storico» dei circa 105mila ricorsi civili pendenti, record superato quest’anno con 106.862 cause. Allora disse che il numero era «impronunci­abile», quest’anno sottolinea positivame­nte, invece, «il contenimen­to della crescita della pendenza».

Si potrebbe continuare. Al di là delle valutazion­i, i dati dovrebbero essere più univoci. Del resto, queste discrasie spiegano perché quando dalla Cassazione ci si sposta, due giorni dopo, nelle Corti d’appello, il quadro complessiv­o sembra sempre più cupo. E l’inversione di tendenza non si percepisce più.

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