L’affondo dei vescovi: leggi elettorali dettate dai giudici, la politica non fa il suo mestiere
La Cei interviene all’indomani della decisione della Consulta sull’Italicum: «Non è normale un Paese in cui la magistratura detta tempi e modi all'amministrazione, vuol dire che la politica non ha fatto il suo mestiere».
pUn richiamo forte alla politica a fare il suo mestiere. All’indomani della sentenza della Consulta sull’Italicum il segretario generale della Cei, il vescovo Nunzio Galantino, è netto: «Mi pare che sia sotto gli occhi di tutti che ci siano due leggi elettorali frutto del lavoro della magistratura. Non è normale un Paese in cui la magistratura detta tempi e modi all’amministrazione, vuol dire che la politica non ha fatto il suo mestiere», dice il numero due della Cei in una conferenza stampa al termine del consiglio permanente. Aggiungendo: «I politici si devono domandare: veniamo pagati per fare queste cose e c’è altra gente che le fa al posto nostro? Non è normale un Paese in cui per prendere decisioni si aspetta che sia qualcun altro a decidere, io lo trovo drammatico».
Anche sul tema in questo momento più delicato e divisivo, la possibilità cioè del voto anticipato, è chiaro: «Non sta a noi decidere la data del voto, quel che diciamo è che è importante che l’elezione non sia un diversivo, uno strumento con cui Tizio si prenda la rivincita su Caio, o solo un modo per misurare la forza di ciascuno, magari dentro una stessa compagine politica. Occorre risolvere i problemi e non rinviare le soluzioni». Le elezioni «possono cambiare il mondo, vedete l’America ma possono essere anche un diversivo per chi si vuole contare».
Sul tema del voto da registrare che l’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede, ha titolato «In Italia si apre la strada verso il voto» un articolo sulla sentenza della Consulta. «Una legge immediatamente applicabile, come specificano nel dispositivo gli stessi giudici», sottolinea il giornale vaticano. Al termine del consiglio permanente, Galantino ha ripetuto le richieste e le sollecitazione dei vescovi, con un’avvertenza iniziale, come a rimarcare che quanto detto non è una ingerenza: «La Chiesa non è un potere né parallelo né alternativo a chi ha la responsabilità di governo » . La Cei nell’incontro ha rimesso al centro le “emergenze” del Paese, in particolare sull’aumento del tasso di povertà assoluta: «Si rischia di stravolgere un invito in una ingiunzione o in una bacchettata. Quando un vescovo parla non lo fa per mettersi in alternativa a questo o quel governo, ma agisce per contribuire a rendere più vivibile questo nostro paese». Il parlamentino della Cei ha affrontato il tema della povertà, sottoline- ando i ritardi per l’attuazione di provvedimenti a sostegno delle famiglie: rinviare le misure per dare degli aiuti concreti significa «ritardare la vita serena delle stesse famiglie e finire in balia del primo populista che si alza. Non si risponde ai populismi con proposte a mezz’aria», ha detto Galantino facendosi anche portavoce di quanto detto dai vescovi nella riunione di questi giorni: «Come mai sono stati trovati 20 miliardi di euro per aiutare le banche, anche se come garanzie, e negli stessi giorni sono stati rinviati i decreti attuativi per i provvedimenti per le famiglie perché non si trovavano i soldi?». Galantino ha poi reso noto l’impegno della Cei sul fronte del ter-
LA DATA DEL VOTO Pert i vescovi non importa la data del voto: «Le elezioni non sono un diversivo, occorre risolvere i problemi e non rinviare le soluzioni»
remoto e del maltempo: alla Caritas, braccio operativo sul territorio, sono pervenuti 21,6 milioni di euro (in buona parte frutto di una colletta nazionale) incluso il milione messo a disposizione direttamente dalla Conferenza.
A maggio prossimo (22-25) si terrà l’assemblea annuale della Cei per l’elezione del successore del cardinale Angelo Bagnasco, rimasto al vertice per un decennio. «Non drammatizzate - ha scherzato Galantino rivolto ai giornalisti - non sono le elezioni americane». Infine una nomina in un posto chiave della Cei, quella dell’economo. È Mauro Salvatore, arriva da Brescia, e per la prima volta nella storia della Cei non è un sacerdote.