«Trumpeuforia» e la scommessa sul collasso dell’euro
Per meglio comprendere i motivi delle forti vendite sul Btp , è il caso di leggere le dichiarazioni del nuovo, probabile ambasciatore americano indicato da Trump presso la Ue: «in un anno e mezzo, l’euro collasserà». E per cercar di capire la rinnovata forza del dollaro (e di Wall Street) e l’acuita debolezza dei Treasury americani, è utile riconsiderare quanto forti siano, tra gli operatori professionali e, ora, tra i piccoli investitori, le suggestioni create dalla «rivoluzione» economica promessa dal nuovo presidente americano: un misto di razionali aspettative e di irragionevoli assunzioni, tenute insieme dalla fede in nuovo ordine delle cose.
È evidente come il collasso del Btp, con conseguente balzo del rendimento e dello spread, persino sul Bonos spagnolo (la bellezza di 26 centesimi in due settimane), sia imputabile alle condizioni politiche dell’Italia divenute più complicate, specie dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Ma l’ampiezza della reazione si spiega con l’inossidabile scommessa degli investitori anglosassoni sul disfacimento dell’unione monetaria, prima o poi. Con Trump alla Casa bianca, i tempi della scommessa si sono ridotti e le dichiarazioni incaute di Ted Malloch, candidato ambasciatore alla Ue, lo confermerebbero: alla Bbc, il professore ha detto che «andrebbe al ribasso» su un euro, destinato al collasso in 18 mesi. A coronare il tutto, è arrivato pure l’elogio della Brexit e l’offerta di «mutui vantaggi» alla Gran Bretagna. L’Italia, con tutti i suoi problemi, è il vero ventre molle dell’Europa ed è probabile che nei mesi prossimi, accanto agli attacchi sui mercati finanziari, si intensificheranno pure le azioni ostili della politica Usa.
Più articolate sono le scommesse sulla «grande America» promessa da Trump. I mercati hanno reagito nella suggestione di due fattori: la spesa per infrastrutture e il taglio delle tasse. Paradossalmente, pure le misure protezionistiche a favore dell’industria nazionale (che conta solo il 15% del Pil) sembrano a molti operatori una ritrovata virtù. Non c’è dubbio che la spesa pubblica rilancerà le imprese interessate, come è ovvio che tasse societarie dimezzate faranno crescere gli utili aziendali: circa 20 $ (il 17%), per il paniere dell’S&P, secondo l’analisi di un broker. In tal modo, una borsa che ha toccato le valutazioni del 2000 o del 2006, sarebbe d’improvviso conveniente, con utili per azione immaginati in crescita del 20- 30% nei prossimi 2 anni. Come succede quando domina l’euforia, non si bada alle eventuali conseguenze negative (tassi d’interesse e dollaro) e al fatto che il grosso dell’S&P è fatto da società globali e che il protezionismo è un’arma a doppio taglio. Ammesso che sia ragionevole un rialzo dell’indice del 10% da novembre, non si capisce perché un titolo come Boeing, che vende aerei in tutto il mondo, sia salito del 21% e che Marvell, società hitech che per il 60% fattura in Cina e appena l’1,5% negli Stati Uniti, sia volata anch’essa del 21%.