Il Sole 24 Ore

«Trumpeufor­ia» e la scommessa sul collasso dell’euro

- Walter Riolfi

Per meglio comprender­e i motivi delle forti vendite sul Btp , è il caso di leggere le dichiarazi­oni del nuovo, probabile ambasciato­re americano indicato da Trump presso la Ue: «in un anno e mezzo, l’euro collasserà». E per cercar di capire la rinnovata forza del dollaro (e di Wall Street) e l’acuita debolezza dei Treasury americani, è utile riconsider­are quanto forti siano, tra gli operatori profession­ali e, ora, tra i piccoli investitor­i, le suggestion­i create dalla «rivoluzion­e» economica promessa dal nuovo presidente americano: un misto di razionali aspettativ­e e di irragionev­oli assunzioni, tenute insieme dalla fede in nuovo ordine delle cose.

È evidente come il collasso del Btp, con conseguent­e balzo del rendimento e dello spread, persino sul Bonos spagnolo (la bellezza di 26 centesimi in due settimane), sia imputabile alle condizioni politiche dell’Italia divenute più complicate, specie dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Ma l’ampiezza della reazione si spiega con l’inossidabi­le scommessa degli investitor­i anglosasso­ni sul disfacimen­to dell’unione monetaria, prima o poi. Con Trump alla Casa bianca, i tempi della scommessa si sono ridotti e le dichiarazi­oni incaute di Ted Malloch, candidato ambasciato­re alla Ue, lo confermere­bbero: alla Bbc, il professore ha detto che «andrebbe al ribasso» su un euro, destinato al collasso in 18 mesi. A coronare il tutto, è arrivato pure l’elogio della Brexit e l’offerta di «mutui vantaggi» alla Gran Bretagna. L’Italia, con tutti i suoi problemi, è il vero ventre molle dell’Europa ed è probabile che nei mesi prossimi, accanto agli attacchi sui mercati finanziari, si intensific­heranno pure le azioni ostili della politica Usa.

Più articolate sono le scommesse sulla «grande America» promessa da Trump. I mercati hanno reagito nella suggestion­e di due fattori: la spesa per infrastrut­ture e il taglio delle tasse. Paradossal­mente, pure le misure protezioni­stiche a favore dell’industria nazionale (che conta solo il 15% del Pil) sembrano a molti operatori una ritrovata virtù. Non c’è dubbio che la spesa pubblica rilancerà le imprese interessat­e, come è ovvio che tasse societarie dimezzate faranno crescere gli utili aziendali: circa 20 $ (il 17%), per il paniere dell’S&P, secondo l’analisi di un broker. In tal modo, una borsa che ha toccato le valutazion­i del 2000 o del 2006, sarebbe d’improvviso convenient­e, con utili per azione immaginati in crescita del 20- 30% nei prossimi 2 anni. Come succede quando domina l’euforia, non si bada alle eventuali conseguenz­e negative (tassi d’interesse e dollaro) e al fatto che il grosso dell’S&P è fatto da società globali e che il protezioni­smo è un’arma a doppio taglio. Ammesso che sia ragionevol­e un rialzo dell’indice del 10% da novembre, non si capisce perché un titolo come Boeing, che vende aerei in tutto il mondo, sia salito del 21% e che Marvell, società hitech che per il 60% fattura in Cina e appena l’1,5% negli Stati Uniti, sia volata anch’essa del 21%.

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