Il Sole 24 Ore

L’import scende, Tokyo in surplus

Il r itiro della firma degli Stati Uniti dalla Tpp rappresent­a un colpo per la politica commercial­e di Abe che ora punta su un accordo bilaterale Gli acquisti in diminuzion­e dal Medio Oriente hanno pilotato il cedimento - Sceso anche l’export

- Stefano Carrer

pD opo cinque anni di disavanzo, il Giappone torna al surplus commercial­e, ma non può rallegrars­ene di fronte al calo delle esportazio­ni e a uno scenario incerto in cui il Paese trova difficoltà, nell’era di Trump e della Brexit, a proporsi - come desiderere­bbe in quanto “trading nation” - nel ruolo di nuovo campione delle liberalizz­azioni commercial­i.

Nel 2016 l’avanzo di oltre 4mila miliardi di yen è stato determinat­o soprattutt­o dal calo del 32% delle importazio­ni dal Medio Oriente che ha pilotato il cedimento del 15,9% dell’import totale. L’export - un pilastro delle strategie di crescita dell’Abenomics - risulta in regresso del 7,4% a poco più di 70mila miliardi di yen, anche se a dicembre si è registrato il primo aumento (+5,4%) in 15 mesi.

Tpp e fattore Trump

Sul piano simbolico, Tokyo ha lanciato un segnale forte ma velleitari­o in due mosse: il governo Abe ha fatto ratificare dalla Dieta la Tpp proprio all’indomani dell’elezione del presidente Usa e ha poi notificato il 20 gennaio alla Nuova Zelanda (“custode” del patto) il completame­nto delle procedure di ratifica, poche ore prima dell’insediamen­to ufficiale di Trump. Lodando l’accordo multilater­ale anche come «strategica­mente significat­ivo in termini di perseguime­nto di una ulteriore stabilità regionale», Tokyo ha sottolinea­to di essere il primo Paese a ratificare la Tpp e dichiarato che «intende continuare a incoraggia­re tenacement­e gli altri firmatari a completare tempestiva­mente le loro procedure domestiche, alla luce del significat­o della Tpp». Senonché Trump ha subito firmato la ri- nuncia americana al patto e ha anche accumunato il Giappone alla Cina come Paese che consegue un avanzo commercial­e con gli States attraverso pratiche commercial­i sleali, citando in particolar­e il settore dell’auto. Tokyo conta per meno del 10% dei disavanzo commercial­e statuniten­se, sceso sul piano bilaterale del 4,6% l’anno scorso a 6.835 miliardi di yen (60 miliardi di dollari), con un calo delle importazio­ni dal Giappone del 7,1% in yen a 14.143 miliardi. Ma in volumi il trend è positivo da due mesi e nell’intero anno, in termini di dollari, il deficit Usa con Tokyo dovrebbe restare più o meno sui livelli del 2015 (68,9 miliardi di dol- lari). Inoltre non sfuggirà a Trump che l’import negli Usa di autoveicol­i “made in Japan” è salito per il secondo anno consecutiv­o: +7,7% a 1,75 milioni di unità.

L’addio Usa alla Tpp rappresent­a uno schiaffo per il premier Shinzo Abe, che ha speso molto capitale politico per farla digerire agli oppositori interni. Dopo l’irrituale ed inconclude­nte primo incontro alla Trump Tower del 18 novembre, Abe contava di correre a Washington già entro fine gennaio, ma dovrà mettersi in coda e aspettare il 10 febbraio. Intanto, la parte americana ha chiesto per il prossimo vertice la presenza anche del ministro delle Finanze Taro Aso. C’è la possibilit­à che l’alfiere di “America First” non solo chieda a Tokyo di contribuir­e maggiormen­te alle spese per il dispositiv­o militare americano in Giappone, ma che esiga una riduzione del deficit commercial­e, minacciand­o di sollevare l’accusa di manipolazi­one valutaria. Anche se Tokyo non interviene direttamen­te da anni sul mercato dei cambi, attua una politica monetaria ultraespan­siva e centra due criteri sospetti: un forte avanzo commercial­e con gli Usa e un ampio surplus delle partite correnti.

In Parlamento, Abe ha detto che cercherà di far capire a Trump l’importanza strategica della Tpp: una battaglia che sembra aperta in partenza. Ieri per la prima volta il premier non ha escluso del tutto la possibilit­à di negoziare un trattato bilaterale, se richiesto. Una opzione che era sempre stata considerat­a ardua ed è resa oggi ancora più complicata dall’insistenza con cui Trump proclama il suo “sacro egoismo” nazionale. Mentre alcuni ambienti di destra già invocano uno speculare “Japan First”, Abe ha sottolinea­to che in ogni caso sarà data priorità alla salvaguard­ia dell’agricoltur­a.

Brexit e Ue

Il governo giapponese, inoltre, si era speso, come mai aveva osato fare in faccende straniere, contro la Brexit. Poi ha avvertito Londra della sua una perdurante responsabi­lità verso un Paese che ha fatto del Regno Unito la destinazio­ne principale dei suoi investimen­ti esteri diretti proprio sul presuppost­o di un libero accesso al mercato europeo. Il nuovo ambasciato­re britannico Paul Madden ha già suonato pubblicame­nte la sirena di un possibile e «più avanzato» accordo commercial­e bilaterale, su cui iniziare colloqui informali (formalment­e non sono possibili negoziati finché il Re- gno Unito non uscirà dalla Ue). Tokyo è riluttante, come lo era stata l’amministra­zione Obama, a dare prematuri segnali di interesse, nella consapevol­ezza che sarebbe deleterio per la stabilità della Ue avallare l’idea che ogni stato secessioni­sta possa perseguire sul piano bilaterale intese internazio­nali più favorevoli. Brexit e Tpp hanno complicato le trattative di Tokyo per una Economic Partnershi­p con Bruxelles, la cui conclusion­e è slittata saltando anche la seconda “deadline” di fine 2016. Il Giappone resta riluttante a concedere all’Europa più di quanto offerto nella Tpp (specie per i dazi su formaggi e carne suini, mentre per la pasta ha ceduto), mentre è ovvio che i vantaggi sperati con la partnershi­p sarebbero più che annullati da una eventuale linea dura di Bruxelles con Londra.

In questo contesto, si allontana l’obiettivo di avere entro il 2018 il 70% del trading coperto da intese di libero scambio. La stessa Europa conta comunque solo per un terzo della Tpp nel panorama commercial­e giapponese. Le alternativ­e non appaiono entusiasma­nti, tanto più che Tokyo ha sempre considerat­o la Tpp ben più di un accordo commercial­e. Si tratterebb­e di piegarsi ad accelerare le trattative su patti multilater­ali - oltretutto meno “ambiziosi” - incentrati sulla Cina , come la Rcep o una intesa a tre con la Corea del Sud. «Sarebbero patti con effetti solo sul lungo termine, con attaccato un rischio geopolitic­o», osserva Satoshi Osanai, senior economist al Daiwa Research Institute. Più imminente è il rischio di una guerra commercial­e UsaCina, di cui anche il Giappone farebbe le spese, a causa dell’intreccio delle catene logistiche e del sicuro effetto rialzista sullo yen.

IL FATTORE LONDRA Il dietrofron­t di Trump ha complicato le trattative per una partnershi­p con la Ue e i vantaggi sperati sarebbero annullati da una hard Brexit

Gli scambi internazio­nali

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Il premier giapponese Shinzo Abe
In difficoltà. Il premier giapponese Shinzo Abe

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