L’import scende, Tokyo in surplus
Il r itiro della firma degli Stati Uniti dalla Tpp rappresenta un colpo per la politica commerciale di Abe che ora punta su un accordo bilaterale Gli acquisti in diminuzione dal Medio Oriente hanno pilotato il cedimento - Sceso anche l’export
pD opo cinque anni di disavanzo, il Giappone torna al surplus commerciale, ma non può rallegrarsene di fronte al calo delle esportazioni e a uno scenario incerto in cui il Paese trova difficoltà, nell’era di Trump e della Brexit, a proporsi - come desidererebbe in quanto “trading nation” - nel ruolo di nuovo campione delle liberalizzazioni commerciali.
Nel 2016 l’avanzo di oltre 4mila miliardi di yen è stato determinato soprattutto dal calo del 32% delle importazioni dal Medio Oriente che ha pilotato il cedimento del 15,9% dell’import totale. L’export - un pilastro delle strategie di crescita dell’Abenomics - risulta in regresso del 7,4% a poco più di 70mila miliardi di yen, anche se a dicembre si è registrato il primo aumento (+5,4%) in 15 mesi.
Tpp e fattore Trump
Sul piano simbolico, Tokyo ha lanciato un segnale forte ma velleitario in due mosse: il governo Abe ha fatto ratificare dalla Dieta la Tpp proprio all’indomani dell’elezione del presidente Usa e ha poi notificato il 20 gennaio alla Nuova Zelanda (“custode” del patto) il completamento delle procedure di ratifica, poche ore prima dell’insediamento ufficiale di Trump. Lodando l’accordo multilaterale anche come «strategicamente significativo in termini di perseguimento di una ulteriore stabilità regionale», Tokyo ha sottolineato di essere il primo Paese a ratificare la Tpp e dichiarato che «intende continuare a incoraggiare tenacemente gli altri firmatari a completare tempestivamente le loro procedure domestiche, alla luce del significato della Tpp». Senonché Trump ha subito firmato la ri- nuncia americana al patto e ha anche accumunato il Giappone alla Cina come Paese che consegue un avanzo commerciale con gli States attraverso pratiche commerciali sleali, citando in particolare il settore dell’auto. Tokyo conta per meno del 10% dei disavanzo commerciale statunitense, sceso sul piano bilaterale del 4,6% l’anno scorso a 6.835 miliardi di yen (60 miliardi di dollari), con un calo delle importazioni dal Giappone del 7,1% in yen a 14.143 miliardi. Ma in volumi il trend è positivo da due mesi e nell’intero anno, in termini di dollari, il deficit Usa con Tokyo dovrebbe restare più o meno sui livelli del 2015 (68,9 miliardi di dol- lari). Inoltre non sfuggirà a Trump che l’import negli Usa di autoveicoli “made in Japan” è salito per il secondo anno consecutivo: +7,7% a 1,75 milioni di unità.
L’addio Usa alla Tpp rappresenta uno schiaffo per il premier Shinzo Abe, che ha speso molto capitale politico per farla digerire agli oppositori interni. Dopo l’irrituale ed inconcludente primo incontro alla Trump Tower del 18 novembre, Abe contava di correre a Washington già entro fine gennaio, ma dovrà mettersi in coda e aspettare il 10 febbraio. Intanto, la parte americana ha chiesto per il prossimo vertice la presenza anche del ministro delle Finanze Taro Aso. C’è la possibilità che l’alfiere di “America First” non solo chieda a Tokyo di contribuire maggiormente alle spese per il dispositivo militare americano in Giappone, ma che esiga una riduzione del deficit commerciale, minacciando di sollevare l’accusa di manipolazione valutaria. Anche se Tokyo non interviene direttamente da anni sul mercato dei cambi, attua una politica monetaria ultraespansiva e centra due criteri sospetti: un forte avanzo commerciale con gli Usa e un ampio surplus delle partite correnti.
In Parlamento, Abe ha detto che cercherà di far capire a Trump l’importanza strategica della Tpp: una battaglia che sembra aperta in partenza. Ieri per la prima volta il premier non ha escluso del tutto la possibilità di negoziare un trattato bilaterale, se richiesto. Una opzione che era sempre stata considerata ardua ed è resa oggi ancora più complicata dall’insistenza con cui Trump proclama il suo “sacro egoismo” nazionale. Mentre alcuni ambienti di destra già invocano uno speculare “Japan First”, Abe ha sottolineato che in ogni caso sarà data priorità alla salvaguardia dell’agricoltura.
Brexit e Ue
Il governo giapponese, inoltre, si era speso, come mai aveva osato fare in faccende straniere, contro la Brexit. Poi ha avvertito Londra della sua una perdurante responsabilità verso un Paese che ha fatto del Regno Unito la destinazione principale dei suoi investimenti esteri diretti proprio sul presupposto di un libero accesso al mercato europeo. Il nuovo ambasciatore britannico Paul Madden ha già suonato pubblicamente la sirena di un possibile e «più avanzato» accordo commerciale bilaterale, su cui iniziare colloqui informali (formalmente non sono possibili negoziati finché il Re- gno Unito non uscirà dalla Ue). Tokyo è riluttante, come lo era stata l’amministrazione Obama, a dare prematuri segnali di interesse, nella consapevolezza che sarebbe deleterio per la stabilità della Ue avallare l’idea che ogni stato secessionista possa perseguire sul piano bilaterale intese internazionali più favorevoli. Brexit e Tpp hanno complicato le trattative di Tokyo per una Economic Partnership con Bruxelles, la cui conclusione è slittata saltando anche la seconda “deadline” di fine 2016. Il Giappone resta riluttante a concedere all’Europa più di quanto offerto nella Tpp (specie per i dazi su formaggi e carne suini, mentre per la pasta ha ceduto), mentre è ovvio che i vantaggi sperati con la partnership sarebbero più che annullati da una eventuale linea dura di Bruxelles con Londra.
In questo contesto, si allontana l’obiettivo di avere entro il 2018 il 70% del trading coperto da intese di libero scambio. La stessa Europa conta comunque solo per un terzo della Tpp nel panorama commerciale giapponese. Le alternative non appaiono entusiasmanti, tanto più che Tokyo ha sempre considerato la Tpp ben più di un accordo commerciale. Si tratterebbe di piegarsi ad accelerare le trattative su patti multilaterali - oltretutto meno “ambiziosi” - incentrati sulla Cina , come la Rcep o una intesa a tre con la Corea del Sud. «Sarebbero patti con effetti solo sul lungo termine, con attaccato un rischio geopolitico», osserva Satoshi Osanai, senior economist al Daiwa Research Institute. Più imminente è il rischio di una guerra commerciale UsaCina, di cui anche il Giappone farebbe le spese, a causa dell’intreccio delle catene logistiche e del sicuro effetto rialzista sullo yen.
IL FATTORE LONDRA Il dietrofront di Trump ha complicato le trattative per una partnership con la Ue e i vantaggi sperati sarebbero annullati da una hard Brexit
Gli scambi internazionali
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