Parlamento fermo, si attendono le motivazioni
pA prevalere per ora è l’inerzia. La parola d’ordine è «attendere le motivazioni della Consulta». Lo conferma la decisione dell’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali della Camera di ieri durante il quale nessun gruppo parlamentare ha chiesto di calendarizzare il confronto sulla legge elettorale. Anche al Senato tutto tace. Tant’ che anche la scelta del nuovo presidente della I commissione chiamata a pronunciarsi sul dopo Italicum resta in stand by. Un galleggiamento che favorisce quanti, a partire da Matteo Renzi ma anche Grillo e Salvini, tifano per il ritorno alle urne prima dell’estate adducendo proprio lo stallo parlamentare. La data cerchiata in rosso dal segretario dem è l’11 giugno. Obiettivo che richiederebbe lo scioglimento delle Camere en- tro metà aprile.
Il Capo dello Stato mantiene il più stretto riserbo. Sergio Mattarella non esclude la fine anticipata della legislatura ma ha già detto e ripetuto che fondamentale è l’omogeneità del sistema di voto tra Camera e Senato per garantire maggiore stabilità al governo che verrà. Una posizione non distante da quella espressa ieri con forza dalla Cei e ribadita dal presidente del Senato Pietro Grasso che invi- ta i partiti a trovare «un’intesa» perché i due modelli sono troppo disomogenei e mettono a rischio la «governabilità»e che da forza a quanti ritengono indispensabile un passaggio parlamentare. «Non è pensabile che in una democrazia sia un organo giurisdizionale, e non un organo legislativo, a scrivere la legge elettorale», conferma Silvio Berlusconi in un’intervista a «Il Foglio» oggi in edicola. Il Cavaliere vuole pren- dere tempo perché costretto a giocare in difesa . E non solo e non tanto per la nuova indagine giudiziaria sul caso Ruby, quanto per il rischio marginalizzazione. Salvini e Meloni domani a Roma lanceranno il nuovo listone del centrodestra del quale una parte rilevante degli azzurri - a partire da Giovanni Toti che sarà con loro sul palco - non vuole essere tagliata fuori. Berlusconi però non ha alcuna intenzione di rimanere ostaggio dell’asse lepenista e vuole tornare protagonista attraverso il confronto sulla legge elettorale. Una strategia che può poggia sulla consapevolezza che una parte significativa del Pd, pur rimanendo silenziosa, è tutt’altro che entusiasta di seguire Renzi nella corsa verso le urne così come anche i centristi e quanti - anche nell’opposzione - vorrebbero allontanare la data del voto. Non solo perché rinunciare allo scranno parlamentare costa sempre fatica, ma anche perché il voto con i due Consultellum ( al Senato quello uscito dalla sentenza sul Porcellum e alla Camera quello post Italicum) rende quanto mai incerta la prospettiva politica. Non a caso Giuliano Pisapia, leader della nascente sinistra dialogante con il Pd, insiste sulla necessità di «intervenire sulla legge elettorale prima di andare al voto». Un intervento che per Romano Prodi dovrebbe concretizzarsi nel ritorno ai collegi uninominali «il più possibile piccoli, da 70mila elettori» per obbligare i partiti a mettere in competizione «persone di livello», al contrario di quanto avverrebbe con le preferenze.
In questo stallo, continua il pressing di Grillo che ieri ha chiesto al Capo dello Stato di «sciogliere le Camere immediatamente», o di esortare tutte le forze politiche ad appoggiare la proposta del M5s di estendere il sistema della Camera al Senato, convinto di poter raggiungere il premio del 40% previsto dall’Italicum e confermato legittimo dalla sentenza della Corte costituzionale. In Parlamento però anche i 5Stelle si sono ben guardati ieri dal chiedere la calendarizzazione della legge elettorale.