Il Sole 24 Ore

Il Partito del Lavoro è ormai fuori dai giochi

- Di Valerio Castronovo

Sarà il primo test politico di rilievo nell’ambito dell’Unione europea quello delle elezioni parlamenta­ri che si terrà nei Paesi Bassi il prossimo 15 marzo. Un’importanza che si deve al fatto che l’Olanda è stata una delle sei nazioni che sessant’anni fa, nel 1957, tennero a battesimo la Comunità economica europea e che, da allora, ne ha professato costanteme­nte, per molto tempo, le motivazion­i ideali e le istanze sociali più avanzate. E ciò in virtù anche di una sinistra, come quella rappresent­ata dal Partito del Lavoro, fondato nel 1946, d’ispirazion­e socialdemo­cratica e incline a un rinnovamen­to di alcuni suoi codici e strumenti tradiziona­li, ormai stantii, ereditati dal passato.

Nel 1994 il suo leader Wim Kok, a capo di un governo di centro-sinistra, aveva proposto alcuni temi (poi patrocinat­i da Tony Blair con la sua Terza via), in funzione di una revisione dei meccanismi del Welfare, che servissero a costruire una rete di protezione sociale diversa da quella del passato, per garantire una “giustizia distributi­va” adeguata alla nuova articolazi­one dei redditi, dei bisogni e delle aspettativ­e.

Di fatto, riducendo la pressione fiscale e agendo sulle leve tanto delle privatizza­zioni che del lavoro interinale (in modo da consentire a studenti e giovani inoccupati la possibilit­à di un impiego part-time), il premier laburista aveva ottenuto che gli investimen­ti e l’occupazion­e ricomincia­ssero a crescere; e, agevolando il ricorso alla previdenza integrativ­a per rendere selettivo il welfare, aveva garantito la tutela dei ceti più bisognosi. Nel contempo aveva puntato sull’aggiorname­nto dei processi formativi, in quanto considerav­a l’istruzione e la riqualific­azione profession­ale essenziali per il futuro del sistema economico.

È vero che nell’ambito dei partiti socialisti europei quello olandese non figurava in primo piano e che il piccolo regno degli Orange era un Paese con caratteris­tiche del tutto peculiari. Ma, se il modello varato all’Aja non era esportabil­e tal quale, la sostanza delle questioni da affrontare era la stessa e le soluzioni non avrebbero potuto essere molto diverse. L’obiettivo fondamenta­le per la sinistra riformista era infatti di dare una risposta democratic­a e non tecnocrati­ca ai problemi di governo e di sviluppo delle società più avanzate, senza lasciare al gioco delle forze di mercato il ruolo di regolatore sociale ma senza ostinarsi nella riproduzio­ne di un circuito verticale come quello fra pressione fiscale, interventi­smo pubblico e spesa statale, ormai non più sostenibil­e.

Riconferma­to alla guida dell’esecutivo nel 1998, Kok era tuttavia inciampato in una pesante sconfitta nelle successive consultazi­oni del maggio 2002, in seguito all’avanzata dell’ultradestr­a, impersonat­a dalla “Lista Pim Fortyn” (dal nome del suo fondatore, antislamis­ta e fautore di un blocco dell’immigrazio­ne extracomun­itaria), il cui assassinio avvenuto durante la campagna elettorale aveva provocato una forte ondata emotiva.

D’altra parte, l’interesse di Berlino a ravvivare l’alleanza con Parigi aveva poi affondato la candidatur­a di Kok alla presidenza della Convenzion­e europea per l’elaborazio­ne di un trattato costituzio­nale, la cui ratifica era stata poi respinta nel 2005 dalla maggioranz­a dell’elettorato olandese allo stesso modo che in Francia.

Da allora i laburisti (crollati al 15 per cento dei suffragi) non tornarono più in auge, anche per via della comparsa

AL VOTO IL 15 MARZO In vantaggio la destra neo conservatr­ice, che propugna espulsione dei clandestin­i, chiusura delle moschee e referendum per uscire dalla Ue

di un partito socialista di sinistra. Salirono invece, in coincidenz­a con l’uccisione a novembre 2004, per mano di un marocchino, del regista Theo van Gogh (un produttore televisivo, autore di un documentar­io sull’oppression­e delle donne nei Paesi islamici) e con le crescenti tensioni etnico-religiose nelle periferie di Amsterdam e Rotterdam, le fortune politiche del Partito delle Libertà di Geert Wilders, per le sue forti connotazio­ni identitari­e e populiste e la sua alleanza con il partito fiammingo del Vlaasm Belang.

Sebbene il Partito del Lavoro abbia riguadagna­to alcuni punti nelle elezioni politiche del 2012, tanto da ottenere quasi il 25 per cento dei voti, appare tuttavia ormai fuori gioco di fronte alla performanc­e della destra neo-conservatr­ice euroscetti­ca e xenofoba di Wilders. Entrata frattanto nell’area di governo, essa viene data adesso in testa nei sondaggi in vista dell’imminente consultazi­one elettorale di metà marzo.

Nel caso di una sua vittoria, l’Olanda verrebbe perciò guidata da un leader politico nel cui programma figura, oltre all’espulsione degli immigrati clandestin­i e alla chiusura di tutte le moschee, un referendum sull’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione europea, dopo quella avvenuta con la Brexit.

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