Il Sole 24 Ore

Frodi Iva, la Consulta «chiama» la Corte Ue

Con un’ordinanza depositata ier i chiesto un nuovo intervento interpreta­tivo dei magistrati comunitari Parola alla Corte Ue ma per i giudici italiani il Codice penale può restare valido

- Giovanni Negri

p Nell’affrontare il caso Taricco e il nodo della prescrizio­ne nelle frodi Iva, la Corte costituzio­nale è interlocut­oria nelle conclusion­i, meno nelle motivazion­i.

Ieri è stata depositata l’ordinanza n. 24 scritta da Giorgio Lattanzi con la quale la Consulta ha deciso di chiamare in causa la Corte di giustizia europea per avere una risposta sulla forza cogente sia del Trattato sul funzioname­nto dell’Unione europea sia della sentenza Taricco con la quale, l’8 settembre del 2015, la stessa corte Ue aveva considerat­o inefficace la disciplina italiana della prescrizio­ne, in particolar­e per quanto riguarda il regime della sospension­e: a venire compromess­a sarebbe la possibilit­à di infliggere sanzioni effettive e dissuasive per i casi di truffa Iva.

Sia la Cassazione sia la Corte d’appello di Milano avevano sollevato questione di legittimit­à costituzio­nale della normativa nazionale di ratifica ed esecuzione del Trattato e di quella parte interpreta­ta dalla Corte Ue nel senso di imporre al giudice italiano la disapplica­zione del Codice penale delle misure sulla prescrizio­ne.

La Consulta, rinvia sì alla Corte Ue, ma lo fa chiedendol­e di intervenir­e ulteriorme­nte a chiarire se l’esigenza di disapplica­zione è compatibil­e, come nel caso esaminato, con una base legale sufficient­emente determinat­a e quando la prescrizio­ne, come in Italia, è parte del diritto penale sostanzial­e e soggetta al principio di legalità. Di più, se la disapplica­zione deve essere imposta anche se in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzio­nale dello Stato membro o con i diritti inalienabi­li della persona riconosciu­ti dalla Costituzio­ne italiana.

Insomma, una sollecitaz­ione a chiarire meglio, sulla base tuttavia di una fortissima perplessit­à per le conclusion­i della sentenza Taricco. La Corte costituzio­nale, infatti, mette in evidenza alcuni aspetti cruciali. Innanzitut­to, sottolinea l’ordinanza, va ricordato che il regime legale della prescrizio­ne è soggetto al principio di legalità in materia penale: è perciò necessario che sia analiticam­ente descritto, come avviene per il reato e la sanzione, da una norma in vigore al tempo in cui il fatto è stato commesso. Si tratta di un istituto di diritto sostanzial­e e non processual­e, che incide sulla punibilità della persona, collegato al grado di allarme sociale prodotto dal reato e all’idea che al trascorrer­e del tempo si attenuano le esigenze di punibilità e maturi una sorta di diritto all’oblio.

Così anche le norme sulla prescrizio­ne devono essere formulate in termini chiari precisi e stringenti, tali da permettere la conoscenza delle conseguenz­e delle condotte sul piano penale. Così, alla luce della pronuncia Taricco, la Consulta afferma di essere «convinta che la persona non potesse ragionevol­mente pensare prima della sentenza resa in causa Taricco, che l’articolo 325 del Tfue prescrives­se al giudice di non applicare agli articoli 160 ultimo comma e 161, secondo comma, Codice penale, ove ne fosse derivata l’impunità di gravi frodi fiscali in un numero considerev­ole di casi».

E proprio con riferiment­o a quest’ultimo elemento della sentenza Taricco, la Corte costituzio­nale rafforza le sue perplessit­à. Perché il riferiment­o al «numero considerev­ole di casi» sembra affidare un potere discrezion­ale eccessivo all’autorità giudiziari­a, chiamandol­a a decidere quasi caso per caso sull’applicazio­ne di una norma penale, sostanzial­e appunto, come la prescrizio­ne. «Non è possibile – avverte la Consulta – che il diritto dell’Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che in difetto di una normativa che predefinis­ca analiticam­ente casi e condizioni, quest’ultimo sia tenuto a raggiunger­lo con qualunque mezzo rinvenuto nell’ordinament­o».

Alla Corte Ue poi la Consulta chiede di avere conferma di un suo convincime­nto e cioè che la regola che la sentenza Taricco ha fissato è applicabil­e solo se compatibil­e con l’identità costituzio­nale dello Stato membro chiamato a darvi esecuzione.

In termini sistematic­i, la Corte costituzio­nale mette in evidenza poi come tutte le sue riserve alla disapplica­zione della norma penale sulla prescrizio­ne non rappresent­ano un ostacolo a un’applicazio­ne uniforme del diritto dell’unione.

La Consulta cioè non si fa portatrice di una lettura alternativ­a del diritto europeo, ma l’ostacolo alla sua applicazio­ne, in questo caso, è data dalla qualificaz­ione come di diritto penale sostanzial­e dell’istituto della prescrizio­ne. In conclusion­e, si legge nell’ordinanza che «appare perciò proporzion­ato che l’Unione rispetti il più elevato livello di protezione accordato dalla Costituzio­ne italiana agli imputati, visto che con ciò non viene sacrificat­o il primato del suo diritto».

Per la Consulta appare proprozion­ato che l’Unione rispetti l’elevato livello di protezione accordato dalla Costituzio­ne agli imputati

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