Contro l’Italia meno cause a difesa dei diritti dell’uomo
pL’Italia esce della “top five” degli Stati col maggior numero di casi pendenti davanti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Con 6.180 richieste, pari al 7,8% dei casi pendenti, l’Italia è sesta nella classifica degli Stati meno virtuosi nel rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nel 2015 era quarta, con 7.567 ricorsi, pari all’11,69% del totale. Diminuisce anche il numero delle sentenze che riguardano l’Italia: nel 2015 erano 24, (20 condanne) mentre nel 2016 le sentenze sono 15 con 10 condanne.
Nella “classifica” che si ricava dal Rapporto della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2016 la “maglia nera” va all’Ucraina con 18.171 “cause” pendenti, seguita dalla Turchia (12.575), dall’Ungheria (8.962) dalla Russia (7.821) e dalla Romania (7.402).
Il trend positivo dell’Italia si conferma, rispetto allo scorso anno, ma il cambio di passo è decisamente evidente se il confronto avviene con il 2014. Nel 2015 i casi introdotti erano 1.885 a fronte dei 1.409 del 2016, mentre nel 2014 per l’Italia le richieste attribuite a una formazione giudiziaria erano 5.490. Positivamente in caduta libera, a dimostrazione della maggiore conoscenza dei meccanismi della Corte europea, il numero di ricorsi irricevibili che passa dai 4.438 del 2015 ai 2.695 di quest’anno (erano 9.625 nel 2014).
«Il governo italiano ci ha messo molta buona volontà – spiega al Sole 24 Ore il presidente della Corte Guido Raimondi – si è incentivato l’uso del regolamento amichevole e della dichiarazione unilaterale». Per l’Italia pesa l’effetto delle leggi retroattive che, violando l’articolo 6 della Convenzione, hanno messo a rischio dei “diritti acquisiti”, «incidono sul numero dei casi, i ricorsi per le cosiddette pensioni svizzere – afferma il presidente Raimondi – e quelli relativi al personale Ata. Per il resto il contenzioso non è ormai molto diverso da quello dei paesi della “vecchia” Europa. C’è pendente una questione importante sulle coppie omosessuali che si sono sposate all’estero, ma si tratta di casi precedenti la legge Cirinnà». Soddisfatto il ministro della Giustizia Andrea Orlando: «Siamo lieti che i nostri sfrozi siano riconosciuti – afferma Orlando – ho sempre ritenuto inaccettabile che in una nazione considerata la culla del diritto potessero essere omessi, anche occasionalmente diritti fondamentali».