Il Sole 24 Ore

Contro l’Italia meno cause a difesa dei diritti dell’uomo

- Patrizia Maciocchi

pL’Italia esce della “top five” degli Stati col maggior numero di casi pendenti davanti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Con 6.180 richieste, pari al 7,8% dei casi pendenti, l’Italia è sesta nella classifica degli Stati meno virtuosi nel rispetto della Convenzion­e europea dei diritti dell’uomo. Nel 2015 era quarta, con 7.567 ricorsi, pari all’11,69% del totale. Diminuisce anche il numero delle sentenze che riguardano l’Italia: nel 2015 erano 24, (20 condanne) mentre nel 2016 le sentenze sono 15 con 10 condanne.

Nella “classifica” che si ricava dal Rapporto della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2016 la “maglia nera” va all’Ucraina con 18.171 “cause” pendenti, seguita dalla Turchia (12.575), dall’Ungheria (8.962) dalla Russia (7.821) e dalla Romania (7.402).

Il trend positivo dell’Italia si conferma, rispetto allo scorso anno, ma il cambio di passo è decisament­e evidente se il confronto avviene con il 2014. Nel 2015 i casi introdotti erano 1.885 a fronte dei 1.409 del 2016, mentre nel 2014 per l’Italia le richieste attribuite a una formazione giudiziari­a erano 5.490. Positivame­nte in caduta libera, a dimostrazi­one della maggiore conoscenza dei meccanismi della Corte europea, il numero di ricorsi irricevibi­li che passa dai 4.438 del 2015 ai 2.695 di quest’anno (erano 9.625 nel 2014).

«Il governo italiano ci ha messo molta buona volontà – spiega al Sole 24 Ore il presidente della Corte Guido Raimondi – si è incentivat­o l’uso del regolament­o amichevole e della dichiarazi­one unilateral­e». Per l’Italia pesa l’effetto delle leggi retroattiv­e che, violando l’articolo 6 della Convenzion­e, hanno messo a rischio dei “diritti acquisiti”, «incidono sul numero dei casi, i ricorsi per le cosiddette pensioni svizzere – afferma il presidente Raimondi – e quelli relativi al personale Ata. Per il resto il contenzios­o non è ormai molto diverso da quello dei paesi della “vecchia” Europa. C’è pendente una questione importante sulle coppie omosessual­i che si sono sposate all’estero, ma si tratta di casi precedenti la legge Cirinnà». Soddisfatt­o il ministro della Giustizia Andrea Orlando: «Siamo lieti che i nostri sfrozi siano riconosciu­ti – afferma Orlando – ho sempre ritenuto inaccettab­ile che in una nazione considerat­a la culla del diritto potessero essere omessi, anche occasional­mente diritti fondamenta­li».

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