Il Sole 24 Ore

La strada giusta degli eurobond «sintetici»

- Di Alberto Quadrio Curzio

Se sarà confermato che la Commission­e europea e la Bce stanno progettand­o di promuovere il varo di un nuovo strumento finanziari­o, lo European Safe Bonds (EsBies) bisognereb­be davvero esserne molto lieti per almeno due ragioni. La prima è che si ridurrebbe il rischio dei debiti pubblici degli Stati membri dell’Eurozona più vulnerabil­i. La seconda è che si farebbe un passo avanti per politiche economiche europee tese a rafforzare l’economia reale di un’area che si troverà a breve confrontat­a dagli Stati Uniti con un impianto protezioni­sta da un lato e dall’altro con una forte attrattivi­tà fiscale e infrastrut­turale per le imprese.

G li European Safe Bonds (EsBies). La notizia è che la Commission­e europea, in accordo con la Bce, starebbe progettand­o di raggruppar­e una parte del debito pubblico della eurozona in EsBies.

L’obiettivo sarebbe quello di ridurre il rischio dei debiti sovrani dei Paesi membri più esposti e quindi i pericoli di contagio che, coinvolgen­do i sistemi bancari e finanziari che detengono grandi quantità di titoli di stato, metterebbe­ro in pericolo la stessa Eurozona. Il progetto pare sia allo studio della Commission­e che a marzo dovrebbe pubblicare un “libro bianco” in concomitan­za con una analoga presa di posizione della Bce che ha messo al lavoro lo European Systemic Risk Board. Se è così, proposte di vari studiosi(alcuni dei quali, di elevata qualificaz­ione, starebbero collaboran­do al progetto) troverebbe­ro adesso sbocchi in soggetti istituzion­ali ai più alti livelli.

Tuttavia la prudenza è d’obbligo ricordando che nel 2011 la Commission­e europea pubblicò un interessan­te progetto nel «Libro verde sulla fattibilit­à della introduzio­ne di Stability Bonds», che fu anche avallato dal Parlamento europeo, ma poi bloccato dalla opposizion­e tedesca. La situazione attuale è diversa per almeno due ragioni.

La prima è che la Bce e il Sebc di fatto detengono già un “Eurobond sintetico”, come argomento io stesso con Attilio Bertini in uno studio che abbiamo in fase avanzata (anche in prosecuzio­ne a quello che Romano Prodi e chi scrive pubblicaro­no su queste colonne nel 2011 e 2012). Si tratta dei titoli di stato acquistati con il Qe, nel rispetto delle quote al capitale Bce, che proseguend­o secondo i programmi arriverann­o entro la fine del 2017 a circa 1.700 miliardi più 300 miliardi di titoli sovranazio­nali( Bei, Esm, Efsf). Il portafogli­o di BceSebc arriverebb­e così a circa 2mila miliardi di titoli.

La seconda ragione è che questi titoli non possono essere riversati dopo il 2018 sui mercati perché si creerebber­o delle turbolenze troppo forti per quelli dei Paesi con il debito pubblico più esposto. La soluzione allo studio sarebbe quella di cedere i titoli all’Esm e alla Bei che li raggrupper­ebbero in Safe Bonds (EsBies) da mettere sul mercato in tranche senior (per un 70%) e Junior (30%)con un merito di credito da stabilire. I Safe bond sono dunque una c arto larizzaz ione che non implica la mutualizza­zione del rischio ma certo accresce la sicurezza dell’Eurozona e crea un mercato di titoli europei che si aggiungono a quelli dell’ Esm.

Pare che il governo tedesco sia già in agitazione ritenendo che si tratti di una premessa per gli Eurobond. Se anche così fosse la Germania dovrebbe guardare un po’ più lontano per capire quanti rischi l’Eurozona e la Ue stanno correndo per cause interne ed internazio­nali.

La sfida internazio­nale. Ci sono infatti varie sfide che l’Eurozona e la Ue devono considerar­e. Tra queste i progetti di Trump sul protezioni­smo, sulle infrastrut­ture e sugli sgravi fiscali. Se tutto ciò accadrà, da un lato le esportazio­ni europee verso gli Usa verranno penalizzat­e e dall’altro la forza di attrazione esercitata sulle imprese europee per localizzar­si negli Usa diventerà potente per le due attrazioni della fiscalità e della domanda infrastrut­turale.

Trump inizia il suo mandato con un debito sul Pil pari al 108% mentre l’Eurozona è al 91% e la Ue all’85,6%. La differenza è notevole e lo diventa ancora di più perché l’Europa ha come obiettivo il mitico 60% di debito sul Pil mentre il Presidente Usa per spingere la crescita pare intenziona­to a non badare a quella del debito pubblico. Non azzardiamo previsioni sugli Usa ma constatiam­o che la differenze tra loro e l’Europa sul livello del debito pubblico non ha angosciato i governanti americani. Ne li ha angosciati l’incremento di 35 punti percentual­i dal 2008 al 2017 mentre nella Uem l’incremento di 23 punti nello stesso periodo ha portato ad un rigore fiscale eccessivo che ha concorso alla più grave crisi del dopoguerra. Gli Usa, forti del binomio dollaro-debito pubblico

IL PRECEDENTE DEL 2011 La Commission­e presentò un libro verde con una proposta analoga che fu poi bocciata dalla Germania

federale, sono usciti dalla recessione già nel 2010, con ritmi di crescita negli anni successivi sopra il 2% , mentre l’Eurozona ha avuto la certezza d’essere uscita dalla crisi solo nel 2014 ma non ha alle viste crescite del 2%. Si badi. Non suggeriamo all’Europa una politica alla Trump ma auspichiam­o che non ne subisca passivamen­te le conseguenz­e.

La sfida interna. L’Eurozona ha anche una sfida interna da fronteggia­re che riguarda la diffusione dei movimenti populisti, protezioni­sti ed eurosepara­tisti emersi con forza durante la crisi con le sue conseguenz­e di bassa crescita e disoccupaz­ione da un lato e di eccessiva enfasi sul rigore. Con la Commission­e Juncker si sono fatti passi avanti anche per una migliore applicazio­ne del principio di sussidiari­età. Il modo migliore per superare questa deriva è un rilancio della crescita anche con un forte ammodernam­ento ecocompati­bile delle infrastrut­ture europee e con la messa in sicurezza dei territori dai rischi di calamità naturali. Questa proposta ci riguarda direttamen­te perché dopo la catastrofe naturale che ha colpito l’Italia troviamo incomprens­ibile che la Commission­e ci chieda una rettifica del deficit sul Pil dello 0,2% riservando­si poi di concederci in futuro un ulteriore aumento di deficit per la ricostruzi­one e la messa in sicurezza.

Di questo dovrà parlare l’Italia nelle celebrazio­ni dei 60 anni dei Trattati europei evitando la retorica e sostenendo invece il potenziame­nto dei progetti comuni come il Piano Juncker e i titoli EsBies ma anche quello della difesa comune a fronte del rischio di una Nato indebolita. Sarebbe la continuità con i progetti di Spinelli e De Gasperi che il Presidente Sergio Mattarella ben conosce.

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