La strada giusta degli eurobond «sintetici»
Se sarà confermato che la Commissione europea e la Bce stanno progettando di promuovere il varo di un nuovo strumento finanziario, lo European Safe Bonds (EsBies) bisognerebbe davvero esserne molto lieti per almeno due ragioni. La prima è che si ridurrebbe il rischio dei debiti pubblici degli Stati membri dell’Eurozona più vulnerabili. La seconda è che si farebbe un passo avanti per politiche economiche europee tese a rafforzare l’economia reale di un’area che si troverà a breve confrontata dagli Stati Uniti con un impianto protezionista da un lato e dall’altro con una forte attrattività fiscale e infrastrutturale per le imprese.
G li European Safe Bonds (EsBies). La notizia è che la Commissione europea, in accordo con la Bce, starebbe progettando di raggruppare una parte del debito pubblico della eurozona in EsBies.
L’obiettivo sarebbe quello di ridurre il rischio dei debiti sovrani dei Paesi membri più esposti e quindi i pericoli di contagio che, coinvolgendo i sistemi bancari e finanziari che detengono grandi quantità di titoli di stato, metterebbero in pericolo la stessa Eurozona. Il progetto pare sia allo studio della Commissione che a marzo dovrebbe pubblicare un “libro bianco” in concomitanza con una analoga presa di posizione della Bce che ha messo al lavoro lo European Systemic Risk Board. Se è così, proposte di vari studiosi(alcuni dei quali, di elevata qualificazione, starebbero collaborando al progetto) troverebbero adesso sbocchi in soggetti istituzionali ai più alti livelli.
Tuttavia la prudenza è d’obbligo ricordando che nel 2011 la Commissione europea pubblicò un interessante progetto nel «Libro verde sulla fattibilità della introduzione di Stability Bonds», che fu anche avallato dal Parlamento europeo, ma poi bloccato dalla opposizione tedesca. La situazione attuale è diversa per almeno due ragioni.
La prima è che la Bce e il Sebc di fatto detengono già un “Eurobond sintetico”, come argomento io stesso con Attilio Bertini in uno studio che abbiamo in fase avanzata (anche in prosecuzione a quello che Romano Prodi e chi scrive pubblicarono su queste colonne nel 2011 e 2012). Si tratta dei titoli di stato acquistati con il Qe, nel rispetto delle quote al capitale Bce, che proseguendo secondo i programmi arriveranno entro la fine del 2017 a circa 1.700 miliardi più 300 miliardi di titoli sovranazionali( Bei, Esm, Efsf). Il portafoglio di BceSebc arriverebbe così a circa 2mila miliardi di titoli.
La seconda ragione è che questi titoli non possono essere riversati dopo il 2018 sui mercati perché si creerebbero delle turbolenze troppo forti per quelli dei Paesi con il debito pubblico più esposto. La soluzione allo studio sarebbe quella di cedere i titoli all’Esm e alla Bei che li raggrupperebbero in Safe Bonds (EsBies) da mettere sul mercato in tranche senior (per un 70%) e Junior (30%)con un merito di credito da stabilire. I Safe bond sono dunque una c arto larizzaz ione che non implica la mutualizzazione del rischio ma certo accresce la sicurezza dell’Eurozona e crea un mercato di titoli europei che si aggiungono a quelli dell’ Esm.
Pare che il governo tedesco sia già in agitazione ritenendo che si tratti di una premessa per gli Eurobond. Se anche così fosse la Germania dovrebbe guardare un po’ più lontano per capire quanti rischi l’Eurozona e la Ue stanno correndo per cause interne ed internazionali.
La sfida internazionale. Ci sono infatti varie sfide che l’Eurozona e la Ue devono considerare. Tra queste i progetti di Trump sul protezionismo, sulle infrastrutture e sugli sgravi fiscali. Se tutto ciò accadrà, da un lato le esportazioni europee verso gli Usa verranno penalizzate e dall’altro la forza di attrazione esercitata sulle imprese europee per localizzarsi negli Usa diventerà potente per le due attrazioni della fiscalità e della domanda infrastrutturale.
Trump inizia il suo mandato con un debito sul Pil pari al 108% mentre l’Eurozona è al 91% e la Ue all’85,6%. La differenza è notevole e lo diventa ancora di più perché l’Europa ha come obiettivo il mitico 60% di debito sul Pil mentre il Presidente Usa per spingere la crescita pare intenzionato a non badare a quella del debito pubblico. Non azzardiamo previsioni sugli Usa ma constatiamo che la differenze tra loro e l’Europa sul livello del debito pubblico non ha angosciato i governanti americani. Ne li ha angosciati l’incremento di 35 punti percentuali dal 2008 al 2017 mentre nella Uem l’incremento di 23 punti nello stesso periodo ha portato ad un rigore fiscale eccessivo che ha concorso alla più grave crisi del dopoguerra. Gli Usa, forti del binomio dollaro-debito pubblico
IL PRECEDENTE DEL 2011 La Commissione presentò un libro verde con una proposta analoga che fu poi bocciata dalla Germania
federale, sono usciti dalla recessione già nel 2010, con ritmi di crescita negli anni successivi sopra il 2% , mentre l’Eurozona ha avuto la certezza d’essere uscita dalla crisi solo nel 2014 ma non ha alle viste crescite del 2%. Si badi. Non suggeriamo all’Europa una politica alla Trump ma auspichiamo che non ne subisca passivamente le conseguenze.
La sfida interna. L’Eurozona ha anche una sfida interna da fronteggiare che riguarda la diffusione dei movimenti populisti, protezionisti ed euroseparatisti emersi con forza durante la crisi con le sue conseguenze di bassa crescita e disoccupazione da un lato e di eccessiva enfasi sul rigore. Con la Commissione Juncker si sono fatti passi avanti anche per una migliore applicazione del principio di sussidiarietà. Il modo migliore per superare questa deriva è un rilancio della crescita anche con un forte ammodernamento ecocompatibile delle infrastrutture europee e con la messa in sicurezza dei territori dai rischi di calamità naturali. Questa proposta ci riguarda direttamente perché dopo la catastrofe naturale che ha colpito l’Italia troviamo incomprensibile che la Commissione ci chieda una rettifica del deficit sul Pil dello 0,2% riservandosi poi di concederci in futuro un ulteriore aumento di deficit per la ricostruzione e la messa in sicurezza.
Di questo dovrà parlare l’Italia nelle celebrazioni dei 60 anni dei Trattati europei evitando la retorica e sostenendo invece il potenziamento dei progetti comuni come il Piano Juncker e i titoli EsBies ma anche quello della difesa comune a fronte del rischio di una Nato indebolita. Sarebbe la continuità con i progetti di Spinelli e De Gasperi che il Presidente Sergio Mattarella ben conosce.