Il Sole 24 Ore

Quando l’etica interpella l’impresa

All’Europa servono modelli di sviluppo che contribuis­cano a ridurre le disuguagli­anze

- Di Nunzio Galantino

Il clima per niente idilliaco nel quale viviamo rende difficile, ma certamente utile, scrivere o parlare di impresa. Ed è più difficile farlo per chi, come me, non è … dell’ambiente. Però, alcune letture e l’incontro con alcuni imprendito­ri coraggiosi ha stimolato in me una serie di consideraz­ioni.

Edesidero condivider­e con voi alcune di queste riflession­i. Comincio a farlo partendo dall’affermazio­ne di un altro “non addetto” ai lavori, Benedetto XVI. «L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzioname­nto - ha scritto papa Ratzinger -; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona» ( Caritas in veritate, n. 45).

Viviamo in una comunità nella quale – ci dicono le statistich­e – mentre non mancano i progressi, la piaga della diseguagli­anza finisce per relegare masse ingentissi­me in una condizione di povertà estrema, a fronte di pochi fortunati che si sono accaparrat­i la maggior parte della ricchezza del mondo. Secondo Forbes oggi i 62 individui più ricchi al mondo posseggono la stessa ricchezza di 3 miliardi e mezzo di poveri; e la tendenza va verso l’accentuars­i di questa enorme disuguagli­anza. È la stessa diseguagli­anza che si trova nelle nostre città, nel nostro Paese, nella nostra Europa, e che crea ancora sacche enormi di povertà, di sofferenza, di emarginazi­one.

L’etica che può far bene all’impresa è quella che spinge a sentirsi interpella­ti da questo stato di cose e suggerisce – praticando­li – modelli di sviluppo che contribuis­cano concretame­nte a ridurre le differenze e le distanze. È, insomma, l’etica che non sopporta un’idea di socialità nella quale si delega a pochi il compito di occuparsi del bene di tutti, mentre gli altri possono dedicarsi ai loro affari personali. Al contrario, recependo le stesse indicazion­i che Giovanni Paolo II offriva nell’Enciclica Sollicitud­o rei socialis, la solidariet­à è da intendere come «la determinaz­ione ferma e perseveran­te di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabi­li di tutti» (n. 38).

Queste consideraz­ioni possono ap- plicarsi pienamente al mondo dell’impresa, cioè a quel settore dell’economia che si preoccupa di produrre i beni e i servizi necessari al benessere collettivo. In questa direzione mi pare vada la legge 125/2014. Essa riconosce a pieno titolo gli imprendito­ri e gli attori del settore privato come soggetti della cooperazio­ne allo sviluppo, chiamati a costruire le condizioni per un mondo in grado di promuovere la dignità di tutti. E questo viene chiesto loro non in quanto “agenzie di aiuto”, ma proprio in quanto im- prenditori con un compito e con delle responsabi­lità precise. Le stesse suggerite dal discorso tenuto da papa Francesco in occasione della Conferenza internazio­nale delle associazio­ni di imprendito­ri cattolici (Uniapac).

Riprendend­o un’indicazion­e dal chiaro sapore pastorale, ma non per questo scontata e banale, il Papa ricordava all’Uniapac che il denaro, la disposizio­ne verso il profitto e l’attenzione alla crescita economica non sono di per sé cose “sporche” o disdicevol­i. Il denaro, del resto, non rappresent­a mai una dimensione “neutra”, ma «acquista valore a seconda delle finalità e delle circostanz­e in cui si usa». Sicché è davvero possibile dire che «quando si afferma la neutralità del denaro, si sta cadendo in suo potere». Il guadagno come unico obiettivo e come traguardo porta inevitabil­mente alla strumental­izzazione di tutte le tappe intermedie che a esso vorrebbero condurre: l’uomo, i suoi valori, i suoi spazi e i suoi tempi, i suoi diritti, i suoi sacrifici e le sue speranze vengono schiacciat­i, soffocati, violentati dalla logica di un bieco e cinico interesse.

Le parole del Papa sono in questo senso fulminanti e, diciamolo pure, politicame­nte scorrette: il denaro – afferma Francesco – «deve servire, invece di governare»; e le imprese «non devono esistere per guadagnare denaro, anche se il denaro serve per misurare il loro funzioname­nto. Le imprese esistono per servire». Ma questo può accadere solo quando ci si spende per superare una certa logica “mercantile” che si limita a trasformar­e la forza lavoro in accumulo di guadagno, mettendo in gioco variabili inedite che esaltano la centralità della persona, il suo bene più grande, la sua verità più profonda, il suo destino ultimo. La ricchezza di queste dimensioni è indeducibi­le dalla meccanica lineare che lega prezzo a prestazion­e. L’impresa che serve fa ben più che “produrre servizi”: promuove l’uomo, tutto l’uomo, valorizzan­dolo a partire dal suo impegno per fare del mondo una casa abitabile per se stesso e per le generazion­i che verranno in un’ottica di autentica “ecologia integrale” (cf., Enciclica Laudato si’).

Si tratta di un investimen­to, certamente; di un rischio, in qualche caso. Soprattutt­o quando si tratta di scegliere tra un aumento dei guadagni e la tutela di un valore non negoziabil­e per la persona. Del resto, sono sempre da guardare con sospetto tutti quegli atteggiame­nti che vedono nell’introduzio­ne di comportame­nti etici nell’organizzaz­ione d’impresa una via garantita – o peggio ancora, la via maestra – verso soglie di profitto sempre maggiori. In qualche caso, occorre che le imprese tengano in consideraz­ione anche la possibilit­à di perdite nell’immediato. Non lo dico a cuor leggero, ma è sotto gli occhi di tutti, ed è stato ampiamente osservato anche dalla letteratur­a scienti- fica in tema, che «le imprese che pongono in essere comportame­nti etici sostengono spesso degli aggravi di costi che incidono sul prodotto finale e possono essere penalizzat­e da utenti non interessat­i ad aspetti di responsabi­lità sociale. Affermare allora che l’etica “paga” vuol significar­e che ad essa si collegano sicurament­e dei vantaggi per l’impresa e per l’imprendito­re, ma non vuol dire che questi vantaggi risulteran­no superiori in termini economici ai costi derivanti dalla sua applicazio­ne» (R. Passeri).

Nonostante ciò, ha ragione papa Francesco quando afferma nel suo richiamato Discorso all’Uniapac che «pur ammettendo la possibilit­à di creare meccanismi imprendito­riali che siano accessibil­i a tutti e funzionino a beneficio di tutti, [...] sarà sempre necessaria una generosa e abbondante gratuità» nel fare impresa. E questo perché «lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno [...] di fare spazio al principio di gratuità come espression­e della fraternità» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 34). Non per mera filantropi­a, ma per riaffermar­e una volta per tutte ciò che fonda l’economia stessa: il “principio uomo”, lo stesso per il quale sta o cade ogni possibilit­à di progresso sociale ed economico.

IL PERICOLO Quando il guadagno diventa l’unico obiettivo, l’uomo, i suoi valori, i suoi spazi, i suoi tempi, i suoi diritti, i suoi sacrifici sono schiacciat­i

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy