Il Sole 24 Ore

L’inflazione? Una «tassa» da 11 miliardi per i risparmi

Il 32% della ricchezza degli italiani è su conti a tasso zero: il carovita li svaluta

- Morya Longo m.longo@ilsole24or­e.com

Non ci sono solo le bellezze architetto­niche minacciate da un territorio ad alto rischio sismico. Non ci sono solo monumenti su cui pesano l’incuria o la cattiva gestione. In Italia c’è anche un altro grande tesoro che rischia di essere dissipato: il risparmio delle famiglie. Una montagna di ricchezza finanziari­a che (escludendo gli immobili) la Banca d’Italia stima intorno ai 4mila miliardi di euro e Ubs Wealth Management Italy (che non conteggia le partecipaz­ioni nelle aziende di famiglia) calcola sui 3.500 miliardi. Un patrimonio enorme, certamente mal distribuit­o, che comunque costituisc­e la spina dorsale di un Paese iperindebi­tato. Un patrimonio, però, sempre più a rischio: l’inflazione, che presto arriverà anche in Italia (causa petrolio), potrebbe infatti “rubare” 11 miliardi l’anno alle famiglie senza che se ne accorgano. Come una tassa subdola. Che si somma alle tante frodi accadute negli ultimi anni.

L’allarme lo lancia Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs Wealth management Italy: gli italiani, a suo avviso, hanno i risparmi troppo concentrat­i sui conti correnti o sui contanti (che insieme raggruppan­o il 32% della ricchezza delle famiglie) e poco esposti al mondo azionario (su cui in Italia è inve- stito solo il 24% della ricchezza privata contro il 42% medio nel mondo occidental­e). Se questa, a prima vista, potrebbe apparire un’allocazion­e prudente dei risparmi, in realtà oggi rischia invece di diventare un boomerang: perché in un contesto in cui ritorna l’inflazione, avere una montagna tale di risparmi su contanti o conti correnti che rendono zero significa svalutare i risparmi stessi. Significa farli “mangiare” dalla diminuzion­e del potere d’acquisto.

«L’inflazione sta tornando in tutto il mondo - osserva Ramenghi -. Nei Paesi dinamici, come gli Stati Uniti, il costo della vita rincara grazie all’aumento dei consumi. Ma anche nei Paesi ancora in crisi, come l’Italia, l’inflazione tende a tornare per effetto del rincaro delle materie prime: noi stimiamo che anche nel nostro Paese il costo della vita possa superare l’1%». In questo contesto, dunque, Ramenghi vede con preoccupaz­ione il fatto che il 32% dei risparmi sia fermo in contanti o in conti correnti che rendono zero: «Per la prima volta non è più convenient­e tenere i soldi in depositi, perché l’inflazione è una tassa strisciant­e che ne riduce il potere d’acquisto - osserva -. Facendo un calcolo veloce, se un terzo dei 3.500 miliardi di risparmi è in conti correnti, significa che l’1% di inflazione porta via agli italiani qualcosa come 11 miliardi l’anno». Una tassa, una manovra finanziari­a silente. Strisciant­e.

E anche la parte investita in titoli di Stato rischia, in un contesto di inflazione in ripresa, di erodere il “tesoro” degli italiani. «Il fenomeno è molto evidente in Germania - osserva Ramenghi -. Il Paese ha un’inflazione all’1,7% ma il Bund decennale rende lo 0,46%: si tratta di una grande anomalia. Se solo il tasso dei Bund salisse all’1%, chi li possiede perderebbe il 7% in termini di prezzo». In Italia i rendimenti sono più elevati rispetto al caso limite tedesco, ma comunque con un’inflazione che tende a salire il mercato obbligazio­nario offre rendimenti reali sempre più risicati: addirittur­a negativi per le obbligazio­ni aziendali europee con elevati rating e intorno all’1% per i BTp. La soluzione, per Ramenghi (e per molti analisti), passa per l’unico mercato che - rischi a parte - potrebbe essere memunerati­vo quest’anno: quello azionario.

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