Tutte le possibili rappresaglie del Messico ferito dal tycoon
ALCUNI PROVVEDIMENTI POTREBBERO RICADERE SUGLI USA
America first. Questo l’abbiamo capito, l’America prima di tutto. La presidenza Trump riflette le istanze dei suoi elettori, della pancia dei suoi elettori. A costo di dichiarare guerre commerciali e inaugurare una stagione di crisi umanitarie conseguenti al Muro.
Ma il Messico che fa? Può solo assistere inerme allo smantellamento del Nafta ? Patire ritorsioni economiche e ingoiare provvedimenti capestro? Registrare gravi contrazioni economiche senza reagire ?
Non proprio, sotto il sombrero albergano varie rappresaglie. Alcune di queste sono micidiali: l’eventuale disintegrazione del Nafta, accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada, in vigore dal 1994, provocherebbe danni ai messicani ma soprattutto agli americani. L’intesa poggia su tre pilastri: territorio, energia, manodopera. Senza Nafta, con i dazi istituiti da Trump i primi a perdere sono i produttori americani che perderebbero competitività sui mer- cati e i consumatori, sempre americani, costretti a pagare di più per beni e servizi prodotti negli Stati Uniti dove il costo del lavoro è più alto.
Le potenziali rappresaglie del Messico non sarebbero solo di carattere economico. Ecco tutte le altre frecce nella faretra messicana: la prima è la fine dell’accordo di contenere in Messico la guerra dei narcos, senza mai farlo esondare a Nord. Gli 80mila morti registrati negli ultimi dieci anni, in quell’interminabile scontro tra cartelli, sono “censiti” e sepolti a sud del Rio Bravo. L’accordo sotto traccia è stato quello di evitare che la mattanza avvenisse (anche) negli Stati Uniti. Reggerà ancora con i toni esacerbati e gli annunci shock di Trump ? È possibile che d’ora in poi parte di questa carneficina venga “delocalizzata” negli Usa.
Un’altra freccia all’arco del Messico di Enrique Peña Nieto: il nazionalismo dei messicani, mai sopito, potrebbe detonare, e divenire davvero pericoloso. Il Messico non è un Paese pacifico come il Brasile e l’effetto Trump potrebbe alimentare uno spiccato sentiment antiamericano: i due princi- pali partiti, il Pri e il Prd, contengono l’aggettivo «rivoluzionario». Il primo è il Partido revolucionario institucional, il secondo è il Partido de la Revolucion democratica.
E infine: il Papa. Che dirà di quest’approccio così poco dialogico con il Messico, Paese cattolico di 122 milioni di abitanti ?
Insomma le ritorsioni messicane potrebbero avere costi altissimi per gli americani, ben superiori agli (apparenti) benefici conseguenti al protezionismo di Trump. Anche perché molte cit- tà americane, situate l ungo i 3mila chilometri di confine, non supportano né condividono la politica di rimpatrio degli immigrati illegali messicani. Le due economie, così intrecciate, ne patirebbero. E quello messicano, visto dagli Stati Uniti, è un vero esercito industriale di riserva, per riesumare un concetto marxiano. Contrarietà quindi alla deportazione di messicani, anche a costo di rinunciare ai fondi federali che Washington eroga agli Stati meno ricchi.
Le rappresaglie del Messico sono quindi potenzialmente molto pericolose anche se la intellighenzia messicana non risparmia autocritiche al Paese e alle politiche degli ultimi 30 anni: un Paese, scrive Hector Aguilar Camin - uno degli economisti che gravitano attorno al polo culturale Nexos di Città del Messico - ricorda che il Messico «si è adagiato in un’apparente comodità, subordinata ed esclusivamente dipendente dal ciclo economico americano». La vitalità del Nafta, come unico volano, affiancata alla litigiosa convivenza per la migrazione illegale, è stata la cifra di una collaborazione economico sociale che ha coperto l’insufficienza di programmi economici e la mancanza di una visione strategica di medio-lungo periodo. «Chissà mai che proprio il nemico Trump aiuti il Messico a risorgere».