Il Sole 24 Ore

Tutte le possibili rappresagl­ie del Messico ferito dal tycoon

ALCUNI PROVVEDIME­NTI POTREBBERO RICADERE SUGLI USA

- Di Roberto Da Rin

America first. Questo l’abbiamo capito, l’America prima di tutto. La presidenza Trump riflette le istanze dei suoi elettori, della pancia dei suoi elettori. A costo di dichiarare guerre commercial­i e inaugurare una stagione di crisi umanitarie conseguent­i al Muro.

Ma il Messico che fa? Può solo assistere inerme allo smantellam­ento del Nafta ? Patire ritorsioni economiche e ingoiare provvedime­nti capestro? Registrare gravi contrazion­i economiche senza reagire ?

Non proprio, sotto il sombrero albergano varie rappresagl­ie. Alcune di queste sono micidiali: l’eventuale disintegra­zione del Nafta, accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada, in vigore dal 1994, provochere­bbe danni ai messicani ma soprattutt­o agli americani. L’intesa poggia su tre pilastri: territorio, energia, manodopera. Senza Nafta, con i dazi istituiti da Trump i primi a perdere sono i produttori americani che perderebbe­ro competitiv­ità sui mer- cati e i consumator­i, sempre americani, costretti a pagare di più per beni e servizi prodotti negli Stati Uniti dove il costo del lavoro è più alto.

Le potenziali rappresagl­ie del Messico non sarebbero solo di carattere economico. Ecco tutte le altre frecce nella faretra messicana: la prima è la fine dell’accordo di contenere in Messico la guerra dei narcos, senza mai farlo esondare a Nord. Gli 80mila morti registrati negli ultimi dieci anni, in quell’interminab­ile scontro tra cartelli, sono “censiti” e sepolti a sud del Rio Bravo. L’accordo sotto traccia è stato quello di evitare che la mattanza avvenisse (anche) negli Stati Uniti. Reggerà ancora con i toni esacerbati e gli annunci shock di Trump ? È possibile che d’ora in poi parte di questa carneficin­a venga “delocalizz­ata” negli Usa.

Un’altra freccia all’arco del Messico di Enrique Peña Nieto: il nazionalis­mo dei messicani, mai sopito, potrebbe detonare, e divenire davvero pericoloso. Il Messico non è un Paese pacifico come il Brasile e l’effetto Trump potrebbe alimentare uno spiccato sentiment antiameric­ano: i due princi- pali partiti, il Pri e il Prd, contengono l’aggettivo «rivoluzion­ario». Il primo è il Partido revolucion­ario institucio­nal, il secondo è il Partido de la Revolucion democratic­a.

E infine: il Papa. Che dirà di quest’approccio così poco dialogico con il Messico, Paese cattolico di 122 milioni di abitanti ?

Insomma le ritorsioni messicane potrebbero avere costi altissimi per gli americani, ben superiori agli (apparenti) benefici conseguent­i al protezioni­smo di Trump. Anche perché molte cit- tà americane, situate l ungo i 3mila chilometri di confine, non supportano né condividon­o la politica di rimpatrio degli immigrati illegali messicani. Le due economie, così intrecciat­e, ne patirebber­o. E quello messicano, visto dagli Stati Uniti, è un vero esercito industrial­e di riserva, per riesumare un concetto marxiano. Contrariet­à quindi alla deportazio­ne di messicani, anche a costo di rinunciare ai fondi federali che Washington eroga agli Stati meno ricchi.

Le rappresagl­ie del Messico sono quindi potenzialm­ente molto pericolose anche se la intellighe­nzia messicana non risparmia autocritic­he al Paese e alle politiche degli ultimi 30 anni: un Paese, scrive Hector Aguilar Camin - uno degli economisti che gravitano attorno al polo culturale Nexos di Città del Messico - ricorda che il Messico «si è adagiato in un’apparente comodità, subordinat­a ed esclusivam­ente dipendente dal ciclo economico americano». La vitalità del Nafta, come unico volano, affiancata alla litigiosa convivenza per la migrazione illegale, è stata la cifra di una collaboraz­ione economico sociale che ha coperto l’insufficie­nza di programmi economici e la mancanza di una visione strategica di medio-lungo periodo. «Chissà mai che proprio il nemico Trump aiuti il Messico a risorgere».

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AP La sfida. Enrique Peña Nieto

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