«Competitività a rischio per il settore auto Usa»
GLI ITALIANI PRESENTI NEL NAFTA PRONTI AD AGGIUSTARE LA PRODUZIONE
Durante la ripresa economica Usa dal 2009 al 2014, il settore auto Usa (componenti compresi) ha aumentato l’occupazione del 40% rispetto ai minimi post-crisi; in Messico il balzo è stato del 72 per cento. Il forte rimbalzo delle vendite di auto negli Stati Uniti (+65% dai poco più di 10 milioni del 2009 al record di 17,5 dell’anno scorso) ha quindi beneficiato in termini di occupazione più il Messico degli Usa. Il trend era finora destinato a proseguire: secondo uno studio del centro studi americano Car, grazie agli investimenti avviati negli ultimi anni la capacità produttiva di veicoli in Messico è destinata a salire dai poco più di 4 milioni attuali ai 6 previsti per il 2020. Riuscirà la politica protezionistica annunciata da Donald Trump a invertire la tendenza? Quali conseguenze avrà sulle aziende (numerose delle quali italiane) che già operano in Messico? Secondo Aurelio Nervo, presidente dell’Anfia - l’Associazione della filiera autoveicolistica - «la competitività del settore auto Usa è a rischio: chi garanti- sce che i big di Detroit riescano a produrre a prezzi competitivi lavorando solo negli Stati Uniti? Si rischia di tornare agli anni in cui i costruttori giapponesi erano tenuti a bada con i dazi».
Nervo ricorda che «la politica della nuova amministrazione Usa potrebbe avere effetti sia a breve che a lungo termine. A breve, chi ha investito in Messico per produrre componenti potrebbe perdere commesse o essere costretto a lavorare con margini ancora più bassi; se poi dovesse affermarsi un protezionismo spinto, molte aziende rivedranno i piani di investimento». Per Massimo Bravin, ex amministratore delegato della Automotive Lighting (gruppo Magneti Marelli) e della Olsa (fanali per auto), «gli investimenti nel nostro settore vengono normalmente valutati in un’ottica di medio-lungo periodo anche se il tempo che passa fra la decisione e l’avvio produttivo, nel settore dei componenti, è di uno-due anni». Sulla stessa linea Matteo Tiraboschi, vice-presidente esecutivo della Brembo, il quale spiega che «noi di Brembo non abbiamo mai deciso investimenti in base a incentivi, bensì seguendo logiche di tipo industriale: uno stabilimento deve durare vent’anni e potersi reggere da solo».
Tiraboschi ricorda che «Brembo ha presenze produttive importanti sia negli Usa che in Messico, ed è in grado di bilanciare la produzione a seconda dell’evolversi della congiuntura e dei contesti normativi». Olsa è invece presente solo in Messico dove produce fanali sia per fabbriche messicane (per il numero uno Nissan, per esempio, e per il modello Vw Golf Variant) che per quelle Usa (il nuovo Suv Vw Atlas); è quindi fra le aziende che potrebbero pagare le conseguenze di una politica di «buy american» da parte del governo Usa. La misura avrebbe però degli inevitabili tempi tecnici: non si potrebbero certo buttare via gli stampi, per i modelli già in produzione, stampi che hanno una vita utile di 3-4 anni.
Il settore automotive nordamericano ha vissuto dopo l’entrata in vigore del Nafta (1994) un rapido processo di integrazione. Nel 2015 gli Usa hanno importato componenti auto dal Messico per oltre 50 miliardi di dollari, esportandone per 30 miliardi con un deficit di 20; solo tra il 2010 e il 2015 l’import Usa è cresciuto del 76%, ma anche l’export ha fatto un balzo del 72%; entrambi sono cresciuti più della produzione Usa di veicoli nello stesso periodo (+57%) e di quella messicana (+54%). Il grado di integrazione raggiunto renderà più difficile smontare e riorganizzare la filiera.
Dal punto di vista finanziario, qualche analista ha iniziato a fare i conti: per gli esperti di ExaneBnp Paribas l’introduzione di una tariffa all’import del 20% (non solo dal Messico) peserebbe per 30 miliardi di dollari sui profitti dei costruttori di auto (americani e non), compensati da 10 miliardi di vantaggi valutari (la svalutazione del peso, per esempio, è già iniziata); un impatto minore avrebbero invece due misure limitate all’area Nafta: una rinegoziazione del trattato, con tariffe del 2,5% (costo stimato, 4 miliardi) o una tassa sulle nuove fabbriche fuori dagli Usa (5 miliardi).
LE PROSPETTIVE Nervo (Anfia) avverte sul possibile impatto nel lungo periodo. A breve possibili ripercussioni per chi ha investito in Messico