Il Sole 24 Ore

«Competitiv­ità a rischio per il settore auto Usa»

GLI ITALIANI PRESENTI NEL NAFTA PRONTI AD AGGIUSTARE LA PRODUZIONE

- Di Andrea Malan

Durante la ripresa economica Usa dal 2009 al 2014, il settore auto Usa (componenti compresi) ha aumentato l’occupazion­e del 40% rispetto ai minimi post-crisi; in Messico il balzo è stato del 72 per cento. Il forte rimbalzo delle vendite di auto negli Stati Uniti (+65% dai poco più di 10 milioni del 2009 al record di 17,5 dell’anno scorso) ha quindi beneficiat­o in termini di occupazion­e più il Messico degli Usa. Il trend era finora destinato a proseguire: secondo uno studio del centro studi americano Car, grazie agli investimen­ti avviati negli ultimi anni la capacità produttiva di veicoli in Messico è destinata a salire dai poco più di 4 milioni attuali ai 6 previsti per il 2020. Riuscirà la politica protezioni­stica annunciata da Donald Trump a invertire la tendenza? Quali conseguenz­e avrà sulle aziende (numerose delle quali italiane) che già operano in Messico? Secondo Aurelio Nervo, presidente dell’Anfia - l’Associazio­ne della filiera autoveicol­istica - «la competitiv­ità del settore auto Usa è a rischio: chi garanti- sce che i big di Detroit riescano a produrre a prezzi competitiv­i lavorando solo negli Stati Uniti? Si rischia di tornare agli anni in cui i costruttor­i giapponesi erano tenuti a bada con i dazi».

Nervo ricorda che «la politica della nuova amministra­zione Usa potrebbe avere effetti sia a breve che a lungo termine. A breve, chi ha investito in Messico per produrre componenti potrebbe perdere commesse o essere costretto a lavorare con margini ancora più bassi; se poi dovesse affermarsi un protezioni­smo spinto, molte aziende rivedranno i piani di investimen­to». Per Massimo Bravin, ex amministra­tore delegato della Automotive Lighting (gruppo Magneti Marelli) e della Olsa (fanali per auto), «gli investimen­ti nel nostro settore vengono normalment­e valutati in un’ottica di medio-lungo periodo anche se il tempo che passa fra la decisione e l’avvio produttivo, nel settore dei componenti, è di uno-due anni». Sulla stessa linea Matteo Tiraboschi, vice-presidente esecutivo della Brembo, il quale spiega che «noi di Brembo non abbiamo mai deciso investimen­ti in base a incentivi, bensì seguendo logiche di tipo industrial­e: uno stabilimen­to deve durare vent’anni e potersi reggere da solo».

Tiraboschi ricorda che «Brembo ha presenze produttive importanti sia negli Usa che in Messico, ed è in grado di bilanciare la produzione a seconda dell’evolversi della congiuntur­a e dei contesti normativi». Olsa è invece presente solo in Messico dove produce fanali sia per fabbriche messicane (per il numero uno Nissan, per esempio, e per il modello Vw Golf Variant) che per quelle Usa (il nuovo Suv Vw Atlas); è quindi fra le aziende che potrebbero pagare le conseguenz­e di una politica di «buy american» da parte del governo Usa. La misura avrebbe però degli inevitabil­i tempi tecnici: non si potrebbero certo buttare via gli stampi, per i modelli già in produzione, stampi che hanno una vita utile di 3-4 anni.

Il settore automotive nordameric­ano ha vissuto dopo l’entrata in vigore del Nafta (1994) un rapido processo di integrazio­ne. Nel 2015 gli Usa hanno importato componenti auto dal Messico per oltre 50 miliardi di dollari, esportando­ne per 30 miliardi con un deficit di 20; solo tra il 2010 e il 2015 l’import Usa è cresciuto del 76%, ma anche l’export ha fatto un balzo del 72%; entrambi sono cresciuti più della produzione Usa di veicoli nello stesso periodo (+57%) e di quella messicana (+54%). Il grado di integrazio­ne raggiunto renderà più difficile smontare e riorganizz­are la filiera.

Dal punto di vista finanziari­o, qualche analista ha iniziato a fare i conti: per gli esperti di ExaneBnp Paribas l’introduzio­ne di una tariffa all’import del 20% (non solo dal Messico) peserebbe per 30 miliardi di dollari sui profitti dei costruttor­i di auto (americani e non), compensati da 10 miliardi di vantaggi valutari (la svalutazio­ne del peso, per esempio, è già iniziata); un impatto minore avrebbero invece due misure limitate all’area Nafta: una rinegoziaz­ione del trattato, con tariffe del 2,5% (costo stimato, 4 miliardi) o una tassa sulle nuove fabbriche fuori dagli Usa (5 miliardi).

LE PROSPETTIV­E Nervo (Anfia) avverte sul possibile impatto nel lungo periodo. A breve possibili ripercussi­oni per chi ha investito in Messico

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