Il Sole 24 Ore

Se nasce un G2 come tra Reagan e Thatcher

- Mario Platero

«Di quelle persone - ha continuato - che lavorano moltissime ore, che fanno del loro meglio per le proprie famiglie, ma che nonostante il sacrificio sentono che il destino è contro di loro. Dobbiamo essere sicuri che le nostre scelte, il nostro governo e la nostra economia, aiutino davvero questa categoria sociale». È questo il messaggio politico chiave del vertice a due della prima visita di un leader straniero alla Casa Bianca di Donald Trump: ieri i due hanno promesso di essere pronti a compiere, insieme, la loro missione. Come? Con accordi commercial­i equi, con il recupero di forza lavoro che si è persa nei meandri della globalizza­zione, con la protezione dell’identità nazionale, con la difesa dei confini, sia da immigrati clandestin­i che dal terrorismo. Donald Trump ha vinto le elezioni americane e la Gran Bretagna ha votato per Brexit grazie a risposte molto semplici e molto aggressive a questa summa di paure che unisce una buona parte della popolazion­e occidental­e. Trump ha anche predetto uno sgretolame­nto dell’Unione Europea, perché la forza di questo messaggio è incontenib­ile ed è inascoltat­a dai burocrati centrali.

Ma è stata la May ad aver articolato per Trump la sua missione. È lei che ci ha fatto capire, senza mai dirlo direttamen­te perché dal punto di vista di Trump è necessaria la linea dura da parte americana contro gli squilibri commercial­i con il Messico: troppo disavanzo commercial­e che ricade sul lavoratore americano dimenticat­o. Trump a sua volta ci ha dimostrato di essere in grado di esibirsi in tripli salti mortali: dopo la clamorosa, pessima rottura su Twitter con il Messico ieri ha parlato per un’ora con il presidente messicano Nieto. C’è stato persino un comunicato congiunto. I due continuano a non essere d’accordo ma hanno parlato - ha detto Trump - «in amicizia… rifaremo il Nafta anche con il Canada nell’interesse di tutti».

La May ha anche offerto un entroterra giuridico che a Trump manca, quando si è parlato di Russia: è vero ed è importante recuperare un rapporto con Vladimir Putin, con cui Trump avrà oggi una conversazi­one telefonica, senza però sacrificar­e la sicurezza comune, ha detto la May. Ieri ad esempio circolavan­o indiscrezi­oni sulla possibilit­à che Trump potesse eliminare le sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina e l’annessione della Crimea. Farlo sarebbe stato una follia sotto ogni punto di vista. Ma di questi tempi, nell’era della politica fatta in 140 caratteri su Twitter, potevamo essere pronti a tutto. Trump in conferenza stampa ha negato che le sanzioni potessero essere eliminate, ha farfugliat­o un «ci vorrà tempo». Ma l’”assist” è venuto di nuovo da Theresa May: di fatto ha riaffermat­o a nome di entrambi quella continuità della politica estera americana che spesso sembrava vacillare. «Il percorso per togliere le sanzioni passa per gli accordi Minsk», ha tagliato corto.

La seconda “traduzione” ha riguardato la Nato. Di nuovo, Trump sembrava muoversi a tentoni: «Non possiamo spendere solo noi, dobbiamo riformare…»; tempo fa aveva persino detto la Nato è «obsoleta». La May ha tradotto: «Il presidente Trump mi ha detto di essere al 100% per una continuità della Nato… dovremo ragionare sulla redistribu­zione dei costi, sulla necessità di combattere meglio il terrorismo, sulla protezione delle nostre reti Internet». Nuove missioni per la Nato, che da sempre sono state introdotte nell’alleanza, non “chiusura” dell’alleanza con Trump, come avevano “letto” nelle parole di Trump molti media internazio­nali.

Con il primo vertice alla Casa Bianca di Donald Trump insomma, molte paure ad esempio quella per una guerra commercial­e, sono rientrate. Ma la sfida per una trasformaz­ione, per una evoluzione del multilater­alismo è partita e l’aver trovato in Theresa May un alleato ha improvvisa­mente rafforzato la presidenza Trump, ancora appena agli inizi dei primi 100 giorni.

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