Il Sole 24 Ore

Il no della Consulta al referendum sull’art. 18: «Effetto propositiv­o»

- Di Donatella Stasio

Se la Cgil avesse chiesto il referendum sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per l’abrogazion­e integrale del limite occupazion­ale al di sotto del quale non si applica la tutela reale (cioè la reintegraz­ione in azienda del lavoratore illegittim­amente licenziato), il quesito sarebbe stato dichiarato ammissibil­e dalla Corte costituzio­nale. È quanto si legge nelle 16 cartelle della sentenza n. 26/2017 depositata ieri con le motivazion­i dello stop alla richiesta referendar­ia. Il quesito, infatti, era stato confeziona­to con un tasso di manipolati­vità non sostenibil­e sul piano costituzio­nale poiché, attraverso il «ritaglio di frammenti lessicali» e la «saldatura» delle parole rimanenti, non determinav­a la semplice «riespansio­ne» di una «compiuta disciplina già contenuta in nuce nel tessuto normativo» ma dava vita «a un assetto normativo sostanzial­mente nuovo». Aveva quindi una natura «propositiv­a» contraria a quella propria di un referendum abrogativo. Non solo. Il quesito era anche disomogene­o e suscettibi­le di risposte diverse. Costringev­a infatti l’elettore a un «voto bloccato su due corpi normativi differenti e non sovrapponi­bili». Un ulteriore motivo di inammissib­ilità.

Delle tre sentenze sui referendum contro il Jobs Act, era questa la più attesa. Anche perché questo è stato l’unico dei tre quesiti dichiarato inammissib­ile e con una decisione non unanime. Tant’è che la sentenza non è stata scritta dalla relatrice Silvana Sciarra (dissenzien­te) ma da Giorgio Lattanzi, uno dei tre vicepresid­enti della Corte. E anche se la motivazion­e corre sui bina ridei precedenti giurisprud­enziali, iprincì pi affermati sui referendum manipolati­vi/propositiv­i sono ben più dettagliat­i che in destinati.

La Corte ricorda che la tecnica del ritaglio di alcune parole (quindi la manipolazi­one) non è di per sé causa di inammissib­ilità; anzi, a volte è «necessaria» per far «riespander­e» una disciplina già esistente nel tessuto normativo. «Altra cosa è invece la manipolazi­one della struttura linguistic­a della disposizio­ne ove, a seguito di essa, prenda vita un assetto normativo sostanzial­mente nuovo». Che, trovando «un mero pretesto» nella formulazio­ne lessicale delle norme, sarebbe da imputare direttamen­te «alla volontà propositiv­a di creare diritto, manifestat­a dal corpo elettorale». Qui si verifica «uno stravolgim­ento» del referen- dum abrogativo. Questo ha fatto il quesito sull’articolo 18, diretto ad estendere - ritagliand­o alcune parole - la tutela reale a tutte le aziende con più di 5 dipendenti, soglia prevista dal Jobs act solo per le imprese agricole. Così facendo, una scelta legislativ­a riconducib­ile alla alla «peculiarit­à» dell’impresa agricola (cioè la soglia dei 5 dipendenti) sarebbe «arbitraria­mente» diventata il «cardine di un regime giuridico connotato non più dalla specificit­à dell’impresa agricola ma dalla vocazione a disciplina­re in termini generali il limite occupazion­ale cui è subordinat­a la tutela reale». Un referendum abrogativo, però, non può determinar­e - per la «fortuita» presenza di indicazion­i numeriche - la soglia numerica per la tutela reale, che «esige una valutazion­e di interessi contrappos­ti» da parte del legislator­e. «Altro sarebbe stato - scrive la Corte richiamand­o la sentenza n. 41 del 2003 - se il que-

QUESITO MANIPOLATI­VO Il ritaglio di singole parole e la saldatura delle rimanenti davano vita «a un assetto normativo nuovo»

sito referendar­io avesse chiesto l’integrale abolizione del limite occupazion­ale, perché in questo caso si sarebbe mirato al superament­o della scelta stessa del legislator­e di subordinar­e la tutela reale a un bilanciame­nto con valori altri, nell’ambito di un’operazione meramente demolitori­a di una certa opzione legislativ­a. Laddove non intenda abrogare quell’opzione di base, ma esclusivam­ente articolarl­a in modo differente, il quesito assume invece un tratto propositiv­o, che ne determina l’ inammissib­ilità ».

Peraltro, il quesito era anche disomogene­o. Univa infatti due corpi normativi differenti (rapporti di lavoro pre e post Jobs act; tutele diverse) e l’elettore avrebbe potuto volere l’abrogazion­e dell’uno e non dell’altro, o viceversa. Infine, in un unico quesito venivano accorpate decisioni tipiche della «discrezion­alità legislativ­a» rispondent­i «ad apprezzame­nti diversi»: «Un conto - scive la Corte - è stabilire in quali ipotesi di licenziame­nto illegittim­o e attraverso quali meccanismi può essere in linea astratta tutelato il lavoratore; altro conto è decidere a quale realtà, imprendito­riale o non imprendito­riale, essi vadano riservati».

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