Senza una seria legge elettorale rischia di vincere la «post verità»
Ènaturale che dopo la sentenza della Consulta si vada alla “simulazione” di possibili prossimi risultati elettorali, ma non guasta una qualche riflessione sul contesto in cui si calerà la chiamata degli elettori alle urne secondo quanto dispone l’Italicum rivisto da quei giudici.
Ogni elezione è infatti determinata anche dal “clima” in cui si inserisce e già qui c’è un dato che non andrebbe preso sottogamba: il riflesso che avrà il contenzioso con Bruxelles sul nostro bilancio statale. Che si accetti di fare una qualche correzione o che si resista sfidando la procedura di infrazione ci saranno ricadute sia materiali che psicologiche sul nostro sistema economico e questo sposterà voti, ma ancor prima populismi vari per sfruttare quegli spostamenti. Non è una questione da poco, se si tiene conto che in un sistema di raccolta del consenso a impianto proporzionale i voti si distribuiscono per “appartenenze”.
È una lezione storica che si dimentica e che invece insegnerebbe molte cose. Quel sistema è nato per misurare il peso di componenti ideologiche o in alcuni casi addirittura etniche, ma si trattava di componenti in qualche modo antropologiche. Oggi non è più così e dunque quelle appartenenze si costruiranno attorno a immagini, slogan, pregiudizi, per dirla con una frase alla moda, a post-verità. E chi le fabbrica? Giustamente l’ex presidente dell’Istat ed ex ministro Enrico Giovannini ha detto ieri a Radio Radicale che si deve riflettere sulle fabbriche di queste post-verità, non più tanto i giornali, ma la mitica rete, i talk show, tutti strumenti poco adatti a produrre una presa di contatto ragionata e controllata coi problemi reali.
Oggi tutti scommettono che nessun partito potrà raggiungere il mitico 40% di consensi che darebbe diritto al premio di maggioranza. Molto probabile, a meno che una post-verità non riesca a insediarsi nel paese come sentimento maggioritario (Trump dovrebbe insegnare …): e ci potrebbero essere sorprese non esattamente gradevoli. In ogni caso tutti i partiti in lotta si butteranno su quei sentieri che sono obbligati per gestire un sistema proporzionale e ciò determinerà un clima elettorale che poi sarà difficilissimo archiviare una volta insediata la Camera prodotta da quel voto.
Aggiungiamoci un ulteriore elemento di riflessione: la posizione in questo contesto sia dei piccoli partiti che delle correnti dei maggiori. Quelli che una volta chiamavamo cespugli avranno difficoltà a far convergere su di loro un numero sufficiente di consensi, per la semplice ragione che il gioco delle “narrazioni” vincenti tende a restringerle a poche opzioni. Potranno certo provare a presentarsi come sottoprodotti più puri delle narrazioni dei maggiori, come faranno per esempio le correnti interne, ma è dubbio che questo paghi in un sistema che tenderà a reggersi su aggregazioni intorno a simboli e pregiudizi. La conseguenza è che queste formazioni minori saranno spinte a ricorrere a tutti i mezzi per sopravvivere: dalle varie specie di clientelismo (ce ne sono tante) ai casi estremi della corruzione.
Non è un bel panorama, piuttosto ci sarebbe da lavorare ad una seria legge elettorale, necessaria perché tutto quel che si è detto vale per la legge elettorale della Camera, anche se le elezioni sono un evento “unitario”, per cui alla fine quelle coordinate condizioneranno anche il sistema che al momento è vigente per il Senato. Non sembrano però esserci molte speranze in questa direzione, per la semplice ragione che ognuno è disposto ad un accordo solo se è favorevole a lui. Si perderà dunque tempo in bracci di ferro lasciando in piedi una legislatura incapace di sostenere a fondo un governo che deve vedersela con grandi problemi e perennemente percepita come prossima alla fine.