Cessione quote non riqualificabile
Spetta al contr ibuente giustificare le ragioni extrafiscali dell’operazione straordinaria Il Fisco deve provare l’intento elusivo per contestare la vendita di ramo d’azienda
pL’amministrazione non può riqualificare un atto quando la situazione alternativa che intende contestare, pur essendo paragonabile sotto un profilo economico, ha differenti conseguenze giuridiche. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 2054 depositata ieri.
L’agenzia delle Entrate riqualificava alcuni atti relativi a operazioni straordinarie pretendendo così la maggiore imposta di registro. Più precisamente, venivano costituite delle società nelle quali erano conferiti dei rami di azienda. In seguito, le quote delle neo costituite venivano cedute ad altre società. L’amministrazione riteneva che fossero state attuate cessioni di ramo di azienda e non cessioni di quote, e liquidava così le relative imposte, oltre interessi e sanzioni.
I provvedimenti erano stati notificati a tutti i soggetti che avevano partecipato alle operazioni ed erano impugnati dinanzi al giudice tributario. Le società eccepivano, innanzitutto, l’inter- venuta decadenza del potere di accertamento, previsto in tre anni dalla data di registrazione degli atti di conferimento. In secondo luogo, rilevavano l’illegittimità della riqualificazione operata dall’Ufficio anche in considerazione dei differenti effetti giuridici degli atti rispetto a quanto presunto con i provvedimenti. Entrambi i giudici di merito, annullavano la pretesa.
L’agenzia delle Entrate ricorreva così per Cassazione rilevando, tra i diversi motivi, un’errata interpretazione dell’articolo 20 del Dpr 131/86. Tale norma, prevede che l’imposta sia applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presen- tati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.
I giudici di legittimità, confermando la decisione di appello, hanno preliminarmente rilevato che la norma introduce un generale principio antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto di operazioni lecite. Il disegno elusivo e le modalità di manipolazione e alterazione degli schemi negoziali, considerati irragionevoli in una normale logica di mercato, va provato dall’amministrazione, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative che giustifichino l’operazione. Il carattere abusivo, infatti, va escluso quando esistano delle ragioni extrafiscali non marginali. Nella specie, la Cassazione ha osservato che la riqualificazione operata dall’Ufficio non considera, in realtà, gli effetti giuridici (extrafiscali) delle operazioni. Infatti, gli atti erano formalmente qualificati come cessione di quote, mentre secondo l’Ufficio si trattava di cessioni di ramo di azienda. Tuttavia, dal punto di vista giuridico, l’acquisto di un’azienda è assolutamente diverso rispetto all’acquisto delle quote. Pertanto, se da un lato l’amministrazione può non considerare la «forma apparente» dell’atto, dall’altro l’eventuale riqualificazione non può trascurare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto stesso è inquadrabile e i conseguenti effetti giuridici che comporta.
La decisione appare particolarmente interessante perché “suggerisce” uno spunto difensivo per simili contestazioni. A ben vedere, infatti, sotto un profilo squisitamente giuridico, gli effetti di un atto sono sempre diversi rispetto a un altro. Va da sé quindi, che fermo restando l’obbligo di motivazione a carico dell’Ufficio, il contribuente potrà giustificare le proprie scelte anche alla luce delle differenti responsabilità, rischi e costi che possono conseguire da una tipologia contrattuale rispetto a un’altra.
IL PRINCIPIO L’amministrazione non può «ridefinire» un atto quando la situazione alternativa che vuole contestare ha differenti effetti giuridici