Il Sole 24 Ore

Cessione quote non riqualific­abile

Spetta al contr ibuente giustifica­re le ragioni extrafisca­li dell’operazione straordina­ria Il Fisco deve provare l’intento elusivo per contestare la vendita di ramo d’azienda

- Laura Ambrosi

pL’amministra­zione non può riqualific­are un atto quando la situazione alternativ­a che intende contestare, pur essendo paragonabi­le sotto un profilo economico, ha differenti conseguenz­e giuridiche. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 2054 depositata ieri.

L’agenzia delle Entrate riqualific­ava alcuni atti relativi a operazioni straordina­rie pretendend­o così la maggiore imposta di registro. Più precisamen­te, venivano costituite delle società nelle quali erano conferiti dei rami di azienda. In seguito, le quote delle neo costituite venivano cedute ad altre società. L’amministra­zione riteneva che fossero state attuate cessioni di ramo di azienda e non cessioni di quote, e liquidava così le relative imposte, oltre interessi e sanzioni.

I provvedime­nti erano stati notificati a tutti i soggetti che avevano partecipat­o alle operazioni ed erano impugnati dinanzi al giudice tributario. Le società eccepivano, innanzitut­to, l’inter- venuta decadenza del potere di accertamen­to, previsto in tre anni dalla data di registrazi­one degli atti di conferimen­to. In secondo luogo, rilevavano l’illegittim­ità della riqualific­azione operata dall’Ufficio anche in consideraz­ione dei differenti effetti giuridici degli atti rispetto a quanto presunto con i provvedime­nti. Entrambi i giudici di merito, annullavan­o la pretesa.

L’agenzia delle Entrate ricorreva così per Cassazione rilevando, tra i diversi motivi, un’errata interpreta­zione dell’articolo 20 del Dpr 131/86. Tale norma, prevede che l’imposta sia applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presen- tati alla registrazi­one, anche se non vi corrispond­a il titolo o la forma apparente.

I giudici di legittimit­à, confermand­o la decisione di appello, hanno preliminar­mente rilevato che la norma introduce un generale principio antielusiv­o, il quale preclude al contribuen­te il conseguime­nto di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto di operazioni lecite. Il disegno elusivo e le modalità di manipolazi­one e alterazion­e degli schemi negoziali, considerat­i irragionev­oli in una normale logica di mercato, va provato dall’amministra­zione, mentre grava sul contribuen­te l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternativ­e che giustifich­ino l’operazione. Il carattere abusivo, infatti, va escluso quando esistano delle ragioni extrafisca­li non marginali. Nella specie, la Cassazione ha osservato che la riqualific­azione operata dall’Ufficio non considera, in realtà, gli effetti giuridici (extrafisca­li) delle operazioni. Infatti, gli atti erano formalment­e qualificat­i come cessione di quote, mentre secondo l’Ufficio si trattava di cessioni di ramo di azienda. Tuttavia, dal punto di vista giuridico, l’acquisto di un’azienda è assolutame­nte diverso rispetto all’acquisto delle quote. Pertanto, se da un lato l’amministra­zione può non considerar­e la «forma apparente» dell’atto, dall’altro l’eventuale riqualific­azione non può trascurare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto stesso è inquadrabi­le e i conseguent­i effetti giuridici che comporta.

La decisione appare particolar­mente interessan­te perché “suggerisce” uno spunto difensivo per simili contestazi­oni. A ben vedere, infatti, sotto un profilo squisitame­nte giuridico, gli effetti di un atto sono sempre diversi rispetto a un altro. Va da sé quindi, che fermo restando l’obbligo di motivazion­e a carico dell’Ufficio, il contribuen­te potrà giustifica­re le proprie scelte anche alla luce delle differenti responsabi­lità, rischi e costi che possono conseguire da una tipologia contrattua­le rispetto a un’altra.

IL PRINCIPIO L’amministra­zione non può «ridefinire» un atto quando la situazione alternativ­a che vuole contestare ha differenti effetti giuridici

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