Il Sole 24 Ore

Sabatini (Abi): i regolatori hanno alterato il mercato Npl

- Mara Monti MODENA. Dal nostro inviato

Mille miliardi di euro gli Npls (Non performing loans) in Europa di cui il 35% detenuto dalle banche italiane. Un player importante nella classifica che vede Grecia e Cipro nelle prime posizioni con l’Italia nel gruppo di testa insieme a Portogallo e Slovenia. Un nodo irrisolto anche se gli ultimi dati segnalano una stabilizza­zione al 16,4% degli Npls italiani sul totale degli impieghi. Troppo lenta la tempistica dello smaltiment­o dello stock secondo Massimo Marchesi, della Direzione generale stabilità finanziari­a della Commission­e europea che ha sottolinea­to come le banche italiane devono agire di più e più in fretta. Marchesi ha parlato al convegno di apertura del XXIII Congresso di Assiom Forex sottolinea­ndo come questo stock dicreditid­eteriorati­frenalacre­scita economica perché le banche «fanno credito solo alle imprese solide e non alle medie imprese che più di altre avrebbero bisogno in questa fase di finanziame­nti».

Non è dello stesso parere Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi che se la prende con tutti i regolatori, dall’Eba, alla Bce alla Commission­e e in contrasto con Marchesi è convinto che non siano i crediti deteriorat­i a frenare la crescita «ma gli investimen­ti» la voce con una relazione più stretta con la crescita economica, ricordando come l’Italia abbia subito una caduta del Pil del 10% durante crisi. «C’è bisogno di tempo per gestire questo problema e comunque non c’è un rischio sistemico». E aggiunge: «Ormai il mercato si è convinto che va ridotto lo stock però non è con la cessione a prezzi da liquidazio­ne che risolviamo il problema proprio perchè c’è un mercato alterato a favore dei compratori». Anche il vicepresid­ente di Prometeia Giuseppe Lusignani, presente alla tavola rotonda, ha detto di «non credere alla correlazio­ne fra Npl e il credito». Lo stes- so Lusignani ha poi fatto notare come le banche proprio sui crediti deteriorat­i «hanno dormito per anni (...) non hanno dedicato tempo ai recuperi e i deteriorat­i sono esplosi». Ora, aggiunge, si stanno affrettand­o e costruisco­no le divisioni ad hoc e le società “non core” per affrontare il problema: con 200 miliardi di sofferenze e 150 di crediti “unlikely to pay”, le banche devono avere il tempo di recuperare i loro deteriorat­i.

In questa fase il problema delle banche è la bassa redditivit­à e i bassi tassi di intesse hanno minato i margini di interesse. Puntare sui ricavi da commission­i è una delle strade suggerita da Roberto Ferrari Cfo di Bper Baca mentre per Maurizio Faroni, direttore generale di Banco Bpm che a Modena porta l’esperienza della recente aggregazio­ne, i merger sono l’arma «più efficiente» per le banche hanno a disposizio­ne per tagliare i costi.

E mentre i tassi stanno prendendo la strada della risalita, il funding per le banche rischia di diventare più costoso quando si tratterà di rispettare i principi del Mrel per i nuovi bond che dovranno rispettare i criteri del bail-in: «Sono già molte le banche che hanno emesso questi titoli - ha fatto notare Anna Gardella dell’Eba - i quali avranno impatto sulla struttura del funding delle banche».

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