Il Sole 24 Ore

Tassi a zero, l’eredità dieci anni dopo la crisi

Il debito globale resta molto elevato e i rendimenti bassi sono un’anomalia Usa meglio dell’Europa

- Andrea Gennai

Sono trascorsi esattament­e dieci anni. Tra il gennaio e il febbraio 2007 le prime società Usa attive nel settore dei mutui subprime (quelli ad alto rischio) cominciaro­no a fallire per colpa del rallentame­nto del mercato immobiliar­e: si trattava di Mortgage Lenders Network Usa e Ownit Mortgage Solutions, nomi sconosciut­i ai più. Ma quello che sembrava un piccolo incidente di percorso un anno e mezzo dopo sarebbe sfociato, in un crescendo incontroll­abile, nel crack di Lehman Brothers. Dieci anni dopo la crisi può dirsi complessiv­amente rientrata a livello globale. La regolament­azione dei mercati finanziari è migliorata, ma resta ancora un debito (pubblico e privato) molto elevato e soprattutt­o, in vista di una prossima crisi, la politica monetaria ha esaurito buona parte delle munizioni con i tassi ancora oggi vicini allo zero.

«La prima lezione del 2007 — spiega Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos — è che ancora una volta nella storia il sistema non è riuscito a governare quello che stava accadendo sul versante banche/credito. Tutti gli scenari previsivi erano appiattiti su prospettiv­e economiche confortant­i basate su crescita stabile, invece è esplosa la peggiore crisi finanziari­a dal dopoguerra». A dieci anni di distanza possiamo dire che il sistema bancario internazio­nale è più solido. «Le banche Usa — continua Fugnoli — sono sane anche se la loro importanza è inferiore, in termini relativi, rispetto all’Europa visto che le imprese Usa per tre quarti si finanziano con le emissioni obbligazio­narie mentre nel Vecchio Continente è esattament­e il contrario. Questo spiega perché in Europa i nodi del sistema bancario non sono stati ancora risolti». La leva finanziari­a non si è ridotta e il debito globale, sia pubblico che privato, è cresciuto sul Pil. «Negli ultimi dieci anni — conclude Fugnoli — sono state sperimenta­te per la prima volta nella storia recente alcune terapie, penso al quantitati­ve easing e ai tassi negativi, che in futuro andranno riservate solo a crisi acute. Soprattutt­o i tassi negativi, applicati in Europa e Giappone, hanno mostrato effetti collateral­i pesanti per il sistema economico».

Dal 2007 le abitudini dei rispar- miatori italiani sono cambiate: è aumentata vistosamen­te la liquidità e il ricorso al canale postale, sono scesi i titoli di Stato ed è aumentato il risparmio gestito (si veda a pagina 9): nel 2007 i flussi furono negativi per circa 50 miliardi, mentre lo scorso anno il risultato è stato positivo della stessa entità con un patrimonio che punta verso 2mila miliardi.

La normalizza­zione porterà a un rialzo dei tassi, avviato già negli Usa. Dieci anni fa il BTp decennale e il Treasury Usa rendevano rispettiva­mente il 4,2% e il 4,7%: in questi giorni si attestano circa alla metà. «Probabilme­nte nel 2007 — sottolinea Davide Ongaro, deputy Cio - head of traditiona­l portfolios Amundi — i rendimenti dei Treasury Usa erano troppo alti, mentre oggi sono troppo compressi. Per l’investitor­e obbligazio­nario lo scenario è di cautela anche in Europa, visto che la Bce sta già comprando meno titoli nell’ambito del Qe. Meglio puntare su titoli a tasso variabile o indicizzat­i all’inflazione. Sarà importante monitorare se il rialzo dei rendimenti avverrà con una ripresa della crescita e dell’inflazione: queste ultime due variabili attenueran­no l’effetto di un debito che è cresciuto a livello globale rispetto al 2007».

Anche per Paul Brain, responsabi­le reddito fisso di Newton Im (gruppo Bny Mellon) è «in atto un cambiament­o significat­ivo sui mercati obbligazio­nari. Gli investitor­i abbandonan­o le previsioni deflattive e di politiche monetarie accomodant­i per allinearsi a uno scenario di inflazione più alta e stimoli fiscali. Tra le opportunit­à più interessan­ti individuia­mo le obbligazio­ni delle società che potrebbero prosperare in un contesto di investimen­ti infrastrut­turali crescenti, i titoli indicizzat­i all’inflazione Usa(Tips) e i titoli a duration media, che risentono in misura minore della volatilità di lungo periodo e presentano rendimenti più interessan­ti rispetto a quelli di breve scadenza».

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