Tassi a zero, l’eredità dieci anni dopo la crisi
Il debito globale resta molto elevato e i rendimenti bassi sono un’anomalia Usa meglio dell’Europa
Sono trascorsi esattamente dieci anni. Tra il gennaio e il febbraio 2007 le prime società Usa attive nel settore dei mutui subprime (quelli ad alto rischio) cominciarono a fallire per colpa del rallentamento del mercato immobiliare: si trattava di Mortgage Lenders Network Usa e Ownit Mortgage Solutions, nomi sconosciuti ai più. Ma quello che sembrava un piccolo incidente di percorso un anno e mezzo dopo sarebbe sfociato, in un crescendo incontrollabile, nel crack di Lehman Brothers. Dieci anni dopo la crisi può dirsi complessivamente rientrata a livello globale. La regolamentazione dei mercati finanziari è migliorata, ma resta ancora un debito (pubblico e privato) molto elevato e soprattutto, in vista di una prossima crisi, la politica monetaria ha esaurito buona parte delle munizioni con i tassi ancora oggi vicini allo zero.
«La prima lezione del 2007 — spiega Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos — è che ancora una volta nella storia il sistema non è riuscito a governare quello che stava accadendo sul versante banche/credito. Tutti gli scenari previsivi erano appiattiti su prospettive economiche confortanti basate su crescita stabile, invece è esplosa la peggiore crisi finanziaria dal dopoguerra». A dieci anni di distanza possiamo dire che il sistema bancario internazionale è più solido. «Le banche Usa — continua Fugnoli — sono sane anche se la loro importanza è inferiore, in termini relativi, rispetto all’Europa visto che le imprese Usa per tre quarti si finanziano con le emissioni obbligazionarie mentre nel Vecchio Continente è esattamente il contrario. Questo spiega perché in Europa i nodi del sistema bancario non sono stati ancora risolti». La leva finanziaria non si è ridotta e il debito globale, sia pubblico che privato, è cresciuto sul Pil. «Negli ultimi dieci anni — conclude Fugnoli — sono state sperimentate per la prima volta nella storia recente alcune terapie, penso al quantitative easing e ai tassi negativi, che in futuro andranno riservate solo a crisi acute. Soprattutto i tassi negativi, applicati in Europa e Giappone, hanno mostrato effetti collaterali pesanti per il sistema economico».
Dal 2007 le abitudini dei rispar- miatori italiani sono cambiate: è aumentata vistosamente la liquidità e il ricorso al canale postale, sono scesi i titoli di Stato ed è aumentato il risparmio gestito (si veda a pagina 9): nel 2007 i flussi furono negativi per circa 50 miliardi, mentre lo scorso anno il risultato è stato positivo della stessa entità con un patrimonio che punta verso 2mila miliardi.
La normalizzazione porterà a un rialzo dei tassi, avviato già negli Usa. Dieci anni fa il BTp decennale e il Treasury Usa rendevano rispettivamente il 4,2% e il 4,7%: in questi giorni si attestano circa alla metà. «Probabilmente nel 2007 — sottolinea Davide Ongaro, deputy Cio - head of traditional portfolios Amundi — i rendimenti dei Treasury Usa erano troppo alti, mentre oggi sono troppo compressi. Per l’investitore obbligazionario lo scenario è di cautela anche in Europa, visto che la Bce sta già comprando meno titoli nell’ambito del Qe. Meglio puntare su titoli a tasso variabile o indicizzati all’inflazione. Sarà importante monitorare se il rialzo dei rendimenti avverrà con una ripresa della crescita e dell’inflazione: queste ultime due variabili attenueranno l’effetto di un debito che è cresciuto a livello globale rispetto al 2007».
Anche per Paul Brain, responsabile reddito fisso di Newton Im (gruppo Bny Mellon) è «in atto un cambiamento significativo sui mercati obbligazionari. Gli investitori abbandonano le previsioni deflattive e di politiche monetarie accomodanti per allinearsi a uno scenario di inflazione più alta e stimoli fiscali. Tra le opportunità più interessanti individuiamo le obbligazioni delle società che potrebbero prosperare in un contesto di investimenti infrastrutturali crescenti, i titoli indicizzati all’inflazione Usa(Tips) e i titoli a duration media, che risentono in misura minore della volatilità di lungo periodo e presentano rendimenti più interessanti rispetto a quelli di breve scadenza».