Investimenti, la nullità scatta senza forma scritta e firma
La Corte d’Appello di Bologna dà ragione al detentore di bond argentini: il contratto non aveva forma scritta
Un’innovativa sentenza torna sul tema della nullità originata dalla mancanza di firma del contratto generale d’investimento da parte di un rappresentante d’istituto. L’ha scritta la Corte d’Appello di Bologna (numero 89/17 pubblicata il 13 gennaio) e riguarda l’acquisto di obbligazioni argentine. In primo grado, tra l’altro,era stata dedotta la nullità dell’ordine di acquisto per difetto di forma e il Tribunale aveva respinto la domanda del risparmiatore perché secondo la giurisprudenza della Cassazione l’ordine non è un contratto e non è soggetto a regole formali.
In appello è stato posto quale primo motivo invece il fatto che il contratto generale d’investimento, regolato dall’articolo 23 del Testo unico della finanza (Tuf), non era stato stipulato in forma scritta a causa della mancanza della sottoscrizione del legale rappresentante dell’istituto.
La difesa della banca ha eccepito l’inammissibilità di tale domanda a causa della sua novità (rispetto al primo grado). «La Corte ha però respinto tale eccezione perché, uniformandosi a una recente decisione della Cassazione a sezione unite, ha affermato che anche nullità come queste (relative, ossia deducibili solo da una parte: dal risparmiatore), sono rilevabili d’ufficio quando gli effetti si producano a favore del soggetto tutelato», fa notare l’avvocato Giovanni Franchi che ha difeso la risparmiatrice contro il Banco Popolare.
«Tale sentenza è importantissima perché per lungo tempo la Corte ha respinto domande come queste ritenendole nuove e non rilevabili ex officio e quindi non accertabili se non sollevate in primo grado entro i termini della prima memoria di cui all’articolo 183, comma 6. Il Tribunale di Parma, il quale aveva condannato la risparmiatrice a rifondere le spese di lite da restituirsi, è stato così nuovamente riformato», sostiene l’avvocato Franchi. Secondo il quale questo è un orientamento fondamentale, che potrà essere utilizzato per gli acquisti di titoli Carife, Banca Etruria e Banca Popolare di Vicenza.
Ma c’è anche chi nutre forti perplessità. «La sentenza in commento segna un drastico cambio di rotta rispetto all’orientamento sempre prevalso finora nella giurisprudenza anche di legittimità», spiega l’avvocato Emanuele Grippo, dello studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners. «La decisione presa dalla Corte tuttavia non può che lasciare più di qualche perplessità, a tacer d’altro per la ragione che sembra non tener conto affatto della peculiarità dei contratti in questione appiattendosi invece sull’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di perfezionamento dei contratti in generale per i quali é prevista la forma scritta ad substantiam e il relativo onere della prova».
Secondo l’esperto di questo settore l’atteggiamento della Corte bolognese sembra eccessivamente formalistico e soprattutto non tiene conto della ratio seguita dal legislatore nel prevedere la nullità prevista dall’art. 23 Tuf. «Trattasi infatti di nullità cosiddetta “di protezione” che può essere fatta valere solo dal cliente: protezione finalizzata in particolare a garantire la conoscibilità, da parte del cliente, in primis del tipo di attività che verrà prestata in suo favore e anche delle condizioni contrattuali applicabili per la prestazione dei servizi di investimento».
Ora, secondo Grippo, nel caso in cui il contratto-quadro venga sottoscritto solo dal cliente appare chiaro che la finalità di protezione in favore dell’investitore sia stata pienamente rispettata, al punto che non si riesce a comprendere quale sia a questo punto l’effettivo interesse meritevole di tutela: l’investito- re in questo caso è privo di interesse ad agire, posto che le sue esigenze di tutela sono state pienamente rispettate. La sottoscrizione anche della Banca in questo caso è completamente inutile.
Non a caso, peraltro, la norma parla di “redatto” per iscritto e non “stipulato”, laddove la redazione indica la stesura del testo contrattuale mentre la stipulazione ha un significato più specifico di assunzione del vincolo negoziale.
«Questo nuovo orientamento sbilanciato verso un’eccessiva e ingiustificata tutela dell’investitore rischia quindi di non difendere un’effettiva esigenza meritevole di tutela, favorendo invece azioni meramente opportunistiche introdotte soltanto in caso di perdite dovute alla normale aleatorietà dei mercati. Con ciò andando contro anche ai generali principi di buona fede nella conclusione dei contratti e nella loro esecuzione. Principi che verrebbero violati ancora di più se si seguisse quell’ulteriore orientamento secondo cui il cliente avrebbe addirittura la facoltà di scegliere gli effetti di tale nullità: ossia di scegliere quali operazioni porre nel nulla e quali no, in aperta violazione appunto dei più basilari principi di buona fede nell’agire», conclude Grippo. «Alla luce di quanto sopra appare quindi auspicabile che nelle successive decisioni la giurisprudenza ripensi in maniera più attenta alla questione in commento, prendendo una posizione decisamente più equilibrata (magari seguendo posizioni che pure sono state espresse in giurisprudenza e dottrina), nell’interesse sia degli stessi investitori che del mercato finanziario in generale».