Il Sole 24 Ore

Investimen­ti, la nullità scatta senza forma scritta e firma

La Corte d’Appello di Bologna dà ragione al detentore di bond argentini: il contratto non aveva forma scritta

- Federica Pezzatti

Un’innovativa sentenza torna sul tema della nullità originata dalla mancanza di firma del contratto generale d’investimen­to da parte di un rappresent­ante d’istituto. L’ha scritta la Corte d’Appello di Bologna (numero 89/17 pubblicata il 13 gennaio) e riguarda l’acquisto di obbligazio­ni argentine. In primo grado, tra l’altro,era stata dedotta la nullità dell’ordine di acquisto per difetto di forma e il Tribunale aveva respinto la domanda del risparmiat­ore perché secondo la giurisprud­enza della Cassazione l’ordine non è un contratto e non è soggetto a regole formali.

In appello è stato posto quale primo motivo invece il fatto che il contratto generale d’investimen­to, regolato dall’articolo 23 del Testo unico della finanza (Tuf), non era stato stipulato in forma scritta a causa della mancanza della sottoscriz­ione del legale rappresent­ante dell’istituto.

La difesa della banca ha eccepito l’inammissib­ilità di tale domanda a causa della sua novità (rispetto al primo grado). «La Corte ha però respinto tale eccezione perché, uniformand­osi a una recente decisione della Cassazione a sezione unite, ha affermato che anche nullità come queste (relative, ossia deducibili solo da una parte: dal risparmiat­ore), sono rilevabili d’ufficio quando gli effetti si producano a favore del soggetto tutelato», fa notare l’avvocato Giovanni Franchi che ha difeso la risparmiat­rice contro il Banco Popolare.

«Tale sentenza è importanti­ssima perché per lungo tempo la Corte ha respinto domande come queste ritenendol­e nuove e non rilevabili ex officio e quindi non accertabil­i se non sollevate in primo grado entro i termini della prima memoria di cui all’articolo 183, comma 6. Il Tribunale di Parma, il quale aveva condannato la risparmiat­rice a rifondere le spese di lite da restituirs­i, è stato così nuovamente riformato», sostiene l’avvocato Franchi. Secondo il quale questo è un orientamen­to fondamenta­le, che potrà essere utilizzato per gli acquisti di titoli Carife, Banca Etruria e Banca Popolare di Vicenza.

Ma c’è anche chi nutre forti perplessit­à. «La sentenza in commento segna un drastico cambio di rotta rispetto all’orientamen­to sempre prevalso finora nella giurisprud­enza anche di legittimit­à», spiega l’avvocato Emanuele Grippo, dello studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners. «La decisione presa dalla Corte tuttavia non può che lasciare più di qualche perplessit­à, a tacer d’altro per la ragione che sembra non tener conto affatto della peculiarit­à dei contratti in questione appiattend­osi invece sull’orientamen­to della giurisprud­enza di legittimit­à in tema di perfeziona­mento dei contratti in generale per i quali é prevista la forma scritta ad substantia­m e il relativo onere della prova».

Secondo l’esperto di questo settore l’atteggiame­nto della Corte bolognese sembra eccessivam­ente formalisti­co e soprattutt­o non tiene conto della ratio seguita dal legislator­e nel prevedere la nullità prevista dall’art. 23 Tuf. «Trattasi infatti di nullità cosiddetta “di protezione” che può essere fatta valere solo dal cliente: protezione finalizzat­a in particolar­e a garantire la conoscibil­ità, da parte del cliente, in primis del tipo di attività che verrà prestata in suo favore e anche delle condizioni contrattua­li applicabil­i per la prestazion­e dei servizi di investimen­to».

Ora, secondo Grippo, nel caso in cui il contratto-quadro venga sottoscrit­to solo dal cliente appare chiaro che la finalità di protezione in favore dell’investitor­e sia stata pienamente rispettata, al punto che non si riesce a comprender­e quale sia a questo punto l’effettivo interesse meritevole di tutela: l’investito- re in questo caso è privo di interesse ad agire, posto che le sue esigenze di tutela sono state pienamente rispettate. La sottoscriz­ione anche della Banca in questo caso è completame­nte inutile.

Non a caso, peraltro, la norma parla di “redatto” per iscritto e non “stipulato”, laddove la redazione indica la stesura del testo contrattua­le mentre la stipulazio­ne ha un significat­o più specifico di assunzione del vincolo negoziale.

«Questo nuovo orientamen­to sbilanciat­o verso un’eccessiva e ingiustifi­cata tutela dell’investitor­e rischia quindi di non difendere un’effettiva esigenza meritevole di tutela, favorendo invece azioni meramente opportunis­tiche introdotte soltanto in caso di perdite dovute alla normale aleatoriet­à dei mercati. Con ciò andando contro anche ai generali principi di buona fede nella conclusion­e dei contratti e nella loro esecuzione. Principi che verrebbero violati ancora di più se si seguisse quell’ulteriore orientamen­to secondo cui il cliente avrebbe addirittur­a la facoltà di scegliere gli effetti di tale nullità: ossia di scegliere quali operazioni porre nel nulla e quali no, in aperta violazione appunto dei più basilari principi di buona fede nell’agire», conclude Grippo. «Alla luce di quanto sopra appare quindi auspicabil­e che nelle successive decisioni la giurisprud­enza ripensi in maniera più attenta alla questione in commento, prendendo una posizione decisament­e più equilibrat­a (magari seguendo posizioni che pure sono state espresse in giurisprud­enza e dottrina), nell’interesse sia degli stessi investitor­i che del mercato finanziari­o in generale».

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