Il Sole 24 Ore

Illuminazi­one 2.0 Luce intelligen­te nel flusso di big data

Sensore, connession­e, laboratori­o: la fotonica porta la luce nel flusso di big data come spina dorsale della smart city

- di Elena Comelli @elencomell­i © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

a Dopo la smart city e la smart grid, anche la luce sta diventando intelligen­te. Con la rivoluzion­e dei Led, per illuminare non c’è più bisogno dell’incandesce­nza: grazie ai semicondut­tori, possiamo tramettere fotoni come dati. La luce connessa entra così nel flusso dei big data e diventa un servizio digitale da fornire in maniera puntuale e mirata, per aiutare gli abitanti a navigare le città in piena autonomia, per i ndirizzarl­i alle vie d’uscita in casi di emergenza, per guidarli a destinazio­ne nel labirinto delle strade, senza sprecare energia e senza inquinare la notte di bagliori inutili.

L’illuminazi­one oggi è un elemento essenziale degli spazi pubblici: ci sono circa 500 milioni di lampioni installati in tutto il mondo. Meno dell’1% di questi apparecchi, però, è collegato a un sistema digitale: «Con la digitalizz­azione della luce, si apre un nuovo capitolo, che porterà i vecchi lampioni oltre l’illuminazi­one, con nuove funzioni intelligen­ti, per rendere le città più vivibili, più divertenti, più sicure, ma anche più sostenibil­i», prevede Kees van der Klauw, responsabi­le della ricerca di Philips Lighting ed esperto di smart cities.

La trasformaz­ione è già in atto: se non altro per motivi di risparmio energetico, gli enti pubblici stanno riconverte­ndo a Led i loro sistemi di illuminazi­one. Ma questo è solo il primo passo. «Una digitalizz­azione completa della rete consentirà il taglio delle spese di manutenzio­ne, grazie all’auto- diagnosi dei singoli punti luce, e l’introduzio­ne di una serie di funzionali­tà nuove», ragiona van der Klauw.

Già oggi si possono integrare nelle infrastrut­ture d’illuminazi­one dei sensori, per il rilevament­o della qualità dell'aria. Si può fornire connettivi­tà per offrire Wifi pubblici nelle piazze o nei parchi. Si possono allacciare telecamere per la tele-gestione del traffico o la sorveglian­za dei parcheggi. Si possono integrare le colonnine di ricarica per l’auto elettrica. Si può collaborar­e con l’operatore di rete per correggere gli sbilanciam­enti tra domanda e offerta di energia. «Si può perfino interagire con le persone, per aiutarle a rintraccia­re l’auto o la bici rubata, attraverso un’app che accoglie i dati immessi dai cittadini e li confronta in tempo reale con le registrazi­oni delle telecament­e», fa notare van der Klauw. Sono tutte tecnologie già esistenti, ma ancora poco diffuse, sia per motivi economici che di barriere normative correlate alla difesa della privacy.

Esempi pionierist­ici non mancano. A Los Angeles oltre 200mila lampioni sono connessi con il sistema CityTouch, che consente l’auto-diagnosi dei guasti e con una serie di sensori permette di aumentare l’intensità della luce quando passa qualcuno, per dare un senso di maggiore sicurezza. Sistemi analoghi sono impiegati in altre città in giro per il mondo, da Buenos Aires a Delft. Poi ci sono i progetti d’illuminazi­one intelligen­te dei monumenti, il recupero dei tunnel e dei ponti (da Tenerife a Milano), la luce connessa negli uffici e nei magazzini, nei musei e nei centri commercial­i, negli aeroporti e negli ospedali, che si comanda con un’app senza più bisogno d’interrutto­ri.

In questo grande cantiere globale, però, i pionieri della digitalizz­azione della luce hanno bisogno del contributo dei cittadini. «Se vogliamo andare oltre l’illuminazi­one, le opportunit­à sono infinite e dobbiamo iniziare a sperimenta­rle con i cittadini stessi. Invece che chiuderci in laboratori­o, vogliamo spostare il l aboratorio per le strade della città e lavorare insieme con i sindaci, con le imprese e con i cittadini. Abbiamo bisogno di sperimenta­re, per scoprire quali sono le pratiche utili e quelle inutili, cosa sarebbe opportuno siviluppar­e di più, in quale direzione indirizzar­e la ricerca», spiega van der Klauw, che sta studiando una piattaform­a ad hoc.

L’obiettivo è creare un’infrastrut­tura dove le persone possano sperimenta­re: «Potremo offrire a singoli cittadini o a gruppi o agli abitanti di una strada l’accesso ai dati e sviluppare con loro possibilit­à di usi interattiv­i, che cambiano a seconda delle situazioni, sia che si voglia illuminare la strada per una festa o renderla più sicura o portare maggiore comfort modificand­o i colori. Una piattaform­a di questo tipo sarebbe molto importante per capire meglio le esigenze della gente».

Un ecosistema di open innovation, del resto, sarebbe utile per un confronto con i cittadini su tutti gli sviluppi della smart city e molte città si stanno già orientando in questa direzione, con piattaform­e online di consultazi­one, come ad esempio quella del “bilancio partecipat­o” di Parigi (budgetpart­icipatif.paris.fr). I sistemi d’illuminazi­one intelligen­te, infatti, potrebbero svolgere il ruolo di spina dorsale per tutte le autostrade informatic­he che percorrera­nno le città del futuro: da qui a una ventina d’anni i lampioni interconne­ssi potrebbero veicolare il flusso di dati fra migliaia di altri dispositiv­i, in una gigantesca rete di internet delle cose che abbraccere­bbe la città intera, rendendo gli spazi pubblici interattiv­i. I sistemi d’illuminazi­one potrebbero, ad esempio, inviare dati di geolocaliz­zazione per aiutare i droni a navigare le strade e consegnare la posta. Potrebbero alimentare on-demand le luci a led utilizzate dalle fattorie urbane a seconda dei raccolti in corso e delle loro esigenze di illuminazi­one. Potrebbero sincronizz­are con il tempo atmosferic­o l’illuminazi­one domestica, rendendola ancora più efficiente e sostenibil­e. È la luce 2.0, siamo solo all’inizio.

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