Il Sole 24 Ore

Giochi politici e danni reali

- Dino Pesole

Quali sono i rischi reali di una possibile procedura d’infrazione che Bruxelles potrebbe aprire nel caso in cui il Governo non varasse la correzione richiesta? In parte la risposta l’ha fornita il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: perdita di reputazion­e. In altri termini, per un paese alle prese con un debito pubblico che impone al Tesoro di impegnare quest’anno (tra titoli in scadenza e nuove emissioni lorde) ben 413 miliardi, l’impatto negativo in termini di credibilit­à sui mercati renderebbe molto più salato il conto finale, rispetto ai 3,4 miliardi che Bruxelles ci chiede sotto forma di mini-manovra correttiva. L’altro rovescio della medaglia ha a che fare con la variabile politica. Esiste una maggioranz­a in Parlamento disposta a sostenere una sia pur contenuta correzione dei saldi di finanza pubblica, proposta da un Governo assai prossimo al capolinea? Il Pd come la voterà, stante le posizioni espresse dal segretario Matteo Renzi, che definisce le richieste di Bruxelles «letterine ridicole per chiedere assurde correzioni sul deficit», e dal presidente Matteo Orfini che qualifica come «sconcertan­ti» le ultime dichiarazi­oni del commissari­o Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici? Si ragiona in questo caso dell’ipotesi – al momento piuttosto probabile – che alla fine si vada a votare a giugno, e che dunque Sergio Mattarella decreti in aprile la fine anticipata della legislatur­a. Ecco allora che il warning lanciato da Padoan acquista ancor più vigore. Il rischio è che agli effetti del poco auspicabil­e “downgradin­g” europeo si sommino i costi di una prolungata fase di stallo in attesa del voto, e di un utilizzo del braccio di ferro con Bruxelles in chiave esclusivam­ente elettorale. Lo spread a quota 177 punti base sta lì a dimostrarl­o. L’impatto sul costo di finanziame­nto del debito ne sarebbe la diretta conseguenz­a. L’attuale quadro programmat­ico, che sconta peraltro il permanere di condizioni espansive sul fronte della politica monetaria (il programma di acquisti della Bce di titoli pubblici e privati esteso a tutto il 2017 al ritmo di 60 miliardi al mese da aprile a dicembre), vede la spesa per interessi attestarsi quest’anno al 3,7% del Pil (63,8 miliardi), in discesa rispetto al 4% del 2016 (66,4 miliardi). Per il prossimo biennio, è previsto il 3,6 e 3,4 per cento. Stime che evidenteme­nte andrebbero riviste al rialzo, qualora il vulnus in termini di reputazion­e di cui parla Padoan si traducesse in un aumento effettivo e certificat­o del costo di finanziame­nto del debito. Incremento che farebbe

IL PERICOLO PRINCIPALE L’impatto negativo in termini di credibilit­à sui mercati renderebbe il conto finale molto più salato

(di per sé può anche non apparire una catastrofe) avrebbe un altro effetto, non certo marginale. L’Italia uscirebbe dal cosiddetto “braccio preventivo” del Patto di stabilità, quello per intenderci riservato ai paesi non sottoposti a procedura, che ha consentito al nostro paese di ottenere 19 miliardi di flessibili­tà nel 2015-2016 e di prenotarla per altri 12 miliardi nel 2017. Saremmo nuovamente inseriti nel girone degli “osservati speciali”, soggetti alle condizioni fissate dal cosiddetto “braccio correttivo” e dunque al timing di rientro previsto per i disavanzi eccessivi. Si può, e per molti versi si deve porre in discussion­e un’architettu­ra contabile così costruita, ma fin quando le regole non verranno modificate (e sarebbe auspicabil­e in un anno in cui si annunciano revisioni al Fiscal Compact), quelle stesse regole vanno rispettate. Pena la perdita di reputazion­e, appunto. lievitare il deficit rendendo ancor più ardua la gestione della finanza pubblica. Già con il Def di aprile dovrà essere indicata la strada per evitare che dal prossimo scatti l’aumento di Iva e accise per 19,6 miliardi, nuova tranche delle vecchie clausole di salvaguard­ia. Non a caso Padoan paventa il rischio che si determini in seguito all’avvio della procedura d’infrazione una «inversione a U rispetto a quanto fatto finora» e il premier Paolo Gentiloni assicura che il governo rispetterà le regole ma senza varare manovre depressive. Attenzione dunque a scegliere la strada del muro contro muro, e a non dar corso alla richiesta di Bruxelles. Scelta legittima sul piano politico ma carica, appunto, di gravi conseguenz­e. L’apertura di una procedura per debito eccessivo

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