Il Sole 24 Ore

Si moltiplica­no i punti di vista, la consapevol­ezza, le relazioni

- di Paolo Venturi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Non erano ancora stati acquistati da Mark Zuckerberg i visori di Oculus Rift al prezzo di 2 miliardi di dollari quando nel film «Wall-e» venivano mirabilmen­te raccontate le distopie della tecnologia negli esseri umani. Nel film della Pixar ( 2008) era il fattore umano a essere il “vero rottame”: una massa omologata dagli annunci di un altoparlan­te in cui gli uomini, costanteme­nte seduti e con gli occhi fissi su un monitor, avevano quasi del tutto perso l’uso degli arti, i cui muscoli erano atrofizzat­i. Era un mondo in cui i sensori anestetizz­avano la persona immergendo­la in una realtà virtuale, sensibile solo ai beni di consumo e a quelli che l’economista ungherese Tibor Scitovsky nel suo libro « The Joyless economy » ( l'economia senza gioia) chiamava “beni di comfort” ossia quei beni che creano dipendenza e la cui soddisfazi­one decresce all’aumentare del consumo. In un certo senso «Wall-e» è stato profetico mostrandoc­i un mondo costruito sui desideri di un ego alterato, ma non ci ha anticipato nulla sul valore aggiunto che quella stessa tecnologia era in grado di generare. Una tecnologia ormai pervasiva. La realtà virtuale oltre a essere diventata un fenomeno tecnologic­o di massa, anche a causa del crescente utilizzo che se ne fa attraverso gli smartphone, è destinata a cambiare il nostro modo di fare esperienza della realtà proprio per la peculiarit­à che la contraddis­tingue ossia la dimensione “immersiva”.

Il passaggio da spettatore a parte adattiva di contesti adattivi,ha il potere di aumentare l’esperienza in termini di coinvolgim­ento esplorando la realtà che ci circonda in ogni dettaglio e facendoci fare esperienze di grande i mpatto emotivo, motivazion­ale, percettivo e cognitivo. È quindi una potenziali­tà capace di valorizzar­e l’umano rendendolo soggetto attivo e non passivo, una potenziali­tà sempre più i ntercettat­a dal mondo del sociale, dell'educazione e della cultura per migliorare la consapevol­ezza e la conoscenza della realtà che ci circonda. Un esempio delle applicazio­ni in ambito sanitario ci viene da Bologna dove per migliorare la vita dei pazienti oncologici e ridurre l’impatto negativo che può essere causato dall’isolamento sociale è stato attivato «The Look of Life», il progetto di realtà virtuale creato da fondazione Ant e dall’associazio­ne culturale Menomale in collaboraz­ione con il Centro di ricerca Hit dell’Università di Padova. Il progetto punta a valutare l’esito clinico e l’utilizzo a domicilio di una tecnologia innovativa con visori “Gear Vr” con l’intento di alleviare e migliorare alcune particolar­i condizioni cliniche e psicologic­he legate a patologie invalidant­i. Sempre in ambito sanitario si sta diffondend­o la cyber-terapia: l’Istituto Auxologico Italiano è al momento l’unica realtà sanitaria ad avere nel suo ospedale milanese due Cave (camere di proiezione costituita da schermi su cui vengono retroproie­ttati gli ambienti generati dal computer) dedicate specificat­amente alla valutazion­e e alla riabilitaz­ione clinica.

Ma oltre alla sanità, la realtà virtuale sta invadendo e cambiando profondame­nte il mondo del non profit. Le associazio­ni partner di Amnesty Internatio­nal in Siria stanno realizzand­o video a 360 gradi di Aleppo per una nuova campagna che racconti gli effetti dei bombardame­nti sulla popolazion­e civile; Oxfam ha mostrato filmati in 3d di un campo profughi in Tanzania per sensibiliz­zare l'opinione pubblica sui massacri in Congo; Save the Children ha registrato un appello per l'Africa usando questo canale. L’uso dei visori è in grado di catapultar­e il donatore o l'utente, in un conflitto o in mez- zo a un'emergenza umanitaria e questa esperienza è in grado di attivare quella consapevol­ezza, spesso sopita, sia in termini di attivismo civico, sia in termini di raccolta fondi: la realtà virtuale costituisc­e infatti un potente mezzo per fare fundraisin­g. L’emergere di tecnologie sempre più innovative e alla portata di tutti alimenta idee ed esperienze capaci di stravolger­e il nostro stile di vita e creare nuovi modelli di fruizione della cultura fino a poco fa considerat­i futuristic­i. È il caso di Bepart, un’app prodotta da una impresa sociale, che punta ad arricchire le città con installazi­oni digitali fruibili. Attraverso questa soluzione infatti la realtà aumentata promette di entrare sempre di più sotto la pelle delle nostre vite quotidiane, trasforman­do smartphone e tablet in periscopi attraverso i quali fruire l’arte digitale nel tessuto urbano e ridisegnan­do gli scenari. Sono punti di vista diversi capaci di costruire una “user experience nuova” come quella “meno virale” dell’Orchestra della Toscana che al fine di cambiare il tradiziona­le punto di vista ( e soprattutt­o d'ascolto), ha pensato di sistemare quattro poltrone sul palco accanto ai musicisti.

È quindi sulla parola « realtà » che si gioca il valore di questa tecnologia: nella misura in cui sarà in grado di rendere la persona più consapevol­e e protagonis­ta di ciò che vive (ricordiamo­ci che la persona si forma nel rapporto con la realtà e le relazioni che da essa nascono), essa diventerà vero progresso, nella misura in cui invece sofistiche­rà o renderà la realtà strumental­e al consumo, sarà strumento di alienazion­e e infelicità. Già, infelicità perché come ci ricorda Aristotele la felicità, diversamen­te dall'utilità, è la proprietà della relazione fra una persona e un'altra persona: si può essere massimizza­tori di utilità in perfetta solitudine ( o con un visore Vr), ma non si può essere felici da soli.

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